Digital Italy Summit 2025: l’analisi di TIG sull’evoluzione tecnologica del Paese
AI, sicurezza e competenze: le direttrici emerse nell’edizione 2025. La visione di Roberto Masiero, presidente di The Innovation Group
Roberto Masiero
L’intelligenza artificiale, la cybersicurezza e le infrastrutture digitali stanno ridefinendo le basi della competitività globale, e il Digital Italy Summit 2025, in programma a Roma nella due giorni del 19 e 20 novembre, si conferma anche quest’anno il principale osservatorio per comprendere come l’Italia possa affrontare le sfide della trasformazione tecnologica. Roberto Masiero (ospite di DailyOnAir - The Sound of Adv, presidente di TIG - The Innovation Group, che da oltre un decennio analizza l’evoluzione digitale del Paese, ci offre una lettura approfondita su AI, sicurezza, competenze e sulla direzione che l’Italia è chiamata a intraprendere nei prossimi anni.
L’edizione 2025 del Digital Italy Summit si è aperta con un focus sull’intelligenza artificiale. Perché oggi l’AI è considerata così strategica per il Paese?
«L’intelligenza artificiale è strategica per tre motivi. Primo, economico: aumenta la produttività, rende più efficienti i servizi pubblici e consente di trasformare grandi quantità di dati in servizi personalizzati. Secondo, geopolitico: è ormai centrale per la sicurezza nazionale, dall’analisi di immagini in tempo reale alla difesa delle reti digitali. Terzo, comportamentale: cambia la natura stessa dei servizi. Pensiamo ad Airbnb: non vende solo un alloggio, ma un’esperienza. L’AI abilita questo tipo di trasformazione in molti settori».
Nel suo intervento, ha parlato di “sbloccare il potenziale dell’innovazione”. Quali sono, secondo lei, le principali barriere che frenano l’Italia? E quali invece i punti di forza?
«La prima barriera è la frammentazione, che rende difficile far collaborare eccellenze scientifiche e industriali. La seconda è la carenza di competenze: servono molti più data scientist, esperti di sicurezza e ingegneri. I punti di forza però sono significativi: un tessuto di imprese tecnologiche di valore, investimenti sulla digitalizzazione dei servizi pubblici e un enorme patrimonio di saper fare che può essere trasferito nel mondo delle applicazioni digitali e dell’AI».
Nel rapporto Digital Italy 2025 avete evidenziato molte tendenze. Quali sono state le tre più rilevanti?
«La prima è che il dato è diventato un’infrastruttura al pari delle reti e dell’energia, e va utilizzato per servizi predittivi e personalizzati. La seconda è la convergenza tra digitale e sicurezza, con AI, satelliti, crittografia avanzata e robotica ormai centrali per la sicurezza europea. La terza è la corsa globale alle tecnologie avanzate, come il quantum computing, che negli ultimi dieci anni ha visto i brevetti crescere di cinque volte, soprattutto grazie a Stati Uniti e Cina. L’Europa, invece, deve accelerare.
Il tema della sovranità tecnologica viene spesso citato. Come si può trovare un equilibrio tra regolazione e innovazione?
«È un equilibrio delicato. Abbiamo bisogno di regolazione, ma senza soffocare lo stimolo innovativo. L’Europa possiede già un quadro normativo dettagliato, quindi appesantirlo ulteriormente a livello nazionale sarebbe rischioso. D’altra parte, l’Italia sta investendo: stanziamenti dedicati e due agenzie specifiche per l’AI sono segnali concreti».
Guardando alle opportunità: cosa può fare davvero la differenza per il sistema produttivo italiano?
«La nostra opportunità più grande è il saper fare. L’Italia non può competere con le big tech sulla creazione dei foundation models, ma può eccellere nel trasferire competenze verticali, moda, alimentare, meccanica, artigianato evoluto, in applicazioni di intelligenza artificiale per mercati specifici. È lì che possiamo costruire una leadership credibile».
Quali priorità dovrebbe adottare una politica industriale orientata all’innovazione nei prossimi dieci anni?
«Tre priorità. Primo, investire nelle tecnologie avanzate: AI, cybersicurezza, spazio, robotica, semiconduttori di nuova generazione, calcolo avanzato. Oggi in Europa investiamo troppo in tecnologie a medio valore aggiunto. Secondo, creare massa critica: superare la frammentazione, favorire aggregazioni e portare le tecnologie dal laboratorio al mercato. Terzo, potenziare le competenze: senza data scientist, ingegneri ed esperti di sicurezza, nessuna strategia funzionerà. Servono più dottorati industriali, corsi pratici e una collaborazione più stretta tra università e imprese».