Autore: Redazione
09/05/2019

We Are Social si racconta tra piattaforme, messaging, chat e gruppi privati

Partendo da un blogpost sul tema, pubblicato dall’agenzia, abbiamo chiesto a Gabriele Cucinella, Stefano Maggi e Ottavio Nava, Co-founder e CEO Italia e Spagna di fare un “approfondimento dell’approfondimento” per aiutarci a soddisfare un po’ di curiosità sullo stato dell’arte dei social network

We Are Social si racconta tra piattaforme, messaging, chat e gruppi privati

Ottavio Nava, Stefano Maggi, Gabriele Cucinella

“L’esperienza social è fatta sempre più spesso di conversazioni, relazioni e condivisioni private: social messaging, gruppi ristretti e “dark social” sono fenomeni in crescita per chiunque abbia accesso a una connessione. Fino a poco tempo fa, il news feed rappresentava invece “l’esperienza social” per definizione, il modo principale con cui le persone potevano dialogare, scoprire nuovi contenuti, condividere momenti o semplicemente informarsi su ciò che stava succedendo nella loro cerchia di amici”. Questo, il passo iniziale del nuovo blogpost pubblicato da We Are Social per offrire uno sguardo da insider sullo stato dell’arte del settore e su come stiano cambiando, in funzione di nuovi bisogni e interessi degli utenti, le logiche dello storytelling, delle strategie commerciali e di brand e le piattaforme stesse. DailyNet ha chiesto a Gabriele Cucinella, Stefano Maggi e Ottavio Nava, Co-founder e CEO di We Are Social Italia e Spagna, di fare un approfondimento dell’approfondimento, partendo proprio dal contenuto condiviso sui canali dell’agenzia che potete trovare a questo link 

Di seguito quello che emerso dalla nostra chiacchierata e tutte le nostre curiosità, che i tre manager ci hanno aiutato a soddisfare. 

Le novità in arrivo su Facebook e annunciate durante l’ultima conferenza del social network, F8, rispecchiano molte delle tendenze evidenziate in questo articolo. Da vostro punto di vista quali sono i cambiamenti più significativi per i brand? Quali sono i vantaggi e gli svantaggi che ne derivano da un punto di vista pubblicitario?

Le piattaforme si evolvono per adattarsi alle relazioni delle persone: nasce così la scelta di affiancare alla “piazza pubblica” un luogo social più privato, paragonabile al salotto di casa. In questi contesti, gli approcci di comunicazione basati sull’interruzione di un’esperienza si rivelano non più solamente sgradevoli, ma addirittura inaccettabili e inefficaci. Sviluppare idee creative ispirate dal comportamento sociale delle persone e di cui le persone vogliano parlare e sentirsi parte, invece, è una scelta obbligata per i brand che vogliono essere rilevanti e non desiderano essere percepiti come invasivi. Le marche che sapranno analizzare e capire le esigenze delle persone e delle community a cui si rivolgono saranno avvantaggiate e potranno divenire ancora più efficaci attraverso contenuti e idee ispirate direttamente dai gruppi a cui si rivolgono. Solo questo approccio, abbinato a una strategia di distribuzione ispirata dalle stesse logiche, permetterà una diffusione e una condivisione efficace, in modo da ispirare conversazioni, azioni, comportamenti e - in alcuni casi - veri e propri movimenti. Partendo oggi anche dal salotto, non solo dalla piazza.

La filosofia di Facebook si è spostata verso i gruppi, luoghi virtuali dove gli utenti tengono conversazioni con un piglio spesso più “privato” rispetto ai feed. Cosa dobbiamo aspettarci dal punto di vista strategico-commerciale?

Bisogna considerare il concetto di “gruppo” nel modo più ampio possibile: oltre ai Facebook Group, molti strumenti consentono di connetterci con una logica più ristretta, basata su interessi verticali. Gli hashtag su Instagram e su Twitter hanno spesso questa caratteristica, così come - ad esempio - i thread su Reddit, le challenge su TikTok, le community su Patreon o le chat su WhatsApp. Non esiste una soluzione unica per tutti questi contesti, ma il comune denominatore è senza dubbio l’individuazione di quegli interessi e punti di contatto tra le persone in cui il brand può offrire un valore, in cambio dell’attenzione e del coinvolgimento di chi fa parte dei gruppi. Nella fase di studio, è ancora più importante scegliere tecniche e strumenti per comprendere al meglio le community, in modo non invasivo, studiandone gli aspetti culturali più rilevanti per il brand.

Relativamente all’ascesa della comunicazione più intima nella dimensione di gruppo, indicate che è importante “pensare al contenuto come oggetto sociale, che possa facilmente essere passato da una persona all’altra, anche attraverso più canali, con una dinamica di diffusione liquida e non legata alla piattaforma”. Resta però il problema dei limiti da porsi per il rispetto della privacy, oggi sempre più caro agli utenti. In quest’ottica, come cambiano le strategie di targeting e personalizzazione dei messaggi? Si sta forse tornando a una dimensione più “di massa”?

Il targeting è importantissimo nel contesto dei gruppi, perché è lo strumento che consente di costruire messaggi rilevanti in modo specifico per una cerchia di persone. Il lavoro di studio alla base della definizione dei target può essere sviluppato con strumenti di indagine che consentono di definire un profilo demografico, psicografico e etnografico, che non hanno alcun bisogno di superare limiti di privacy, ma che si basano su aggregazioni di dati, per sviluppare insight. Lo sviluppo di un approccio per gruppi va nella direzione opposta della massificazione del messaggio: si propone invece di rivolgersi a nicchie di interesse, con cui condividere contenuti e esperienze. Un esempio in questa direzione è il progetto Tango Squad che abbiamo lanciato per adidas.

Ci sono settori che spiccano per raccogliere maggiore traffico attraverso i dark social rispetto alle modalità di sharing più “pubbliche”? Come si dovrebbe tenere sotto controllo il traffico “dark” e quali sono le strategie che secondo voi risultano vincenti per monetizzarlo?

Un nostro studio recente sviluppato insieme a GlobalWebIndex in US e UK ha evidenziato che il 63% delle persone utilizzano applicazioni di messaggistica privata (come Facebook Messenger o WhatsApp) per condividere contenuti. I contenuti più condivisi sono legati alle industry dell’entertainment, come musica e film (51%), games (48%), abbigliamento (47%), electronics (46%), food and drink (42%) e viaggi (41%). Il traffico “dark” non è tracciabile direttamente perché avviene in ambienti privati, ma è possibile identificare il successo di un contenuto attraverso alcuni indicatori alternativi. Alcuni si basano su osservazione diretta (come il numero di visualizzazioni di un video a un link pubblico, ad esempio), altri si fondano invece su indagini ex post sul target, misurando “a valle” gli effetti delle campagne.

In un passo dell’articolo spiegate che “le persone con un numero di follower più contenuto possono essere percepite come più spontanee e degne di fiducia, specie se si rivolgono a pubblici più ristretti, in contrasto alle personalità social più mainstream, con reach molto ampia”. Dunque, mirare a una nutrita fanbase potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio. Si sta verificando un’inversione di tendenza che potrebbe far nascere la necessità di nuovi modelli di social storytelling? Persino, si è vociferato, che Instagram potrebbe decidere di eliminare dai profili l’indicazione del numero di like e follower, uniformando tutto e tutti. Quali potrebbero essere i risvolti di un cambiamento così estremo? Quale la nuova forma del racconto?

È importante valutare diversi parametri quando si prende in considerazione un potenziale influencer. Il numero di persone raggiunte è importante solamente nel contesto di un alto livello di credibilità e una forte connessione con la community. Un influencer con un numero di follower limitato ma che ha una relazione autentica con i propri follower può, in molti casi, avere un impatto maggiore rispetto ai personaggi mainstream. Non si tratta di un’inversione di tendenza, ma piuttosto di una presa di coscienza sempre maggiore, da parte di persone e brand, riguardo al valore delle relazioni all’interno di una community. Su questo concetto abbiamo costruito la campagna per IKEA “Victims of Fashion Victims”, in cui i partner degli influencer hanno assunto il ruolo di protagonisti. Puntare l’attenzione su loro ha permesso di avvicinare maggiormente le community di riferimento per la campagna ai temi proposti, facendo leva su dinamiche di coppia comuni a molte situazioni familiari. Gli influencer non sono una semplice soluzione per distribuire contenuto, ma piuttosto partner e co-creatori di un messaggio. La potenziale rimozione del conteggio pubblico dei like può essere un passo importante per mettere in secondo piano le cosiddette “vanity metric”, indicatori che non hanno un impatto sulla relazione, ma che possono inquinare la genuinità di alcuni rapporti sui canali social. Il risultato principale non sarebbe creare uniformità, perché il funzionamento delle piattaforme proporrebbe comunque i contenuti più rilevanti in base al profilo dell’utente, ma sarebbe teso a focalizzare la conversazione e lo scambio su contenuti diversi dal puro conteggio numerico delle reazioni.

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Nell’articolo si cita un’esperienza di condivisione sempre più casual, sostenuta dalle Stories, contenuti non permanenti che permettono una tendenza a pubblicare in modo meno strutturato. Quale impatto ha una dimensione del genere sullo storytelling? E come vengono riconsiderati i dark social partendo da questi presupposti?

 

I contenuti non permanenti e più frequenti proposti dalle stories rappresentano la forma di contenuto in crescita più forte, se consideriamo le varie piattaforme dove è possibile incontrarli, tra cui WhatsApp, Facebook, Messenger, Instagram e Snapchat. Il modo di costruire una narrazione continua da parte dei brand è cambiato di conseguenza, per avvicinarsi al modo di esprimersi delle persone. Le stories hanno cambiato lo standard di comunicazione per moltissimi progetti editoriali e stanno espandendo il proprio impatto su vari formati di comunicazione. Le strategie editoriali si sono adattate per considerare un tipo di contenuto più dinamico, aggiornato frequentemente e sempre più mirato in termini tematici. L’interazione consentita agli utenti delle stories è più privata (arriva direttamente all’autore della story, ma non alle altre persone) e consente un rapporto più diretto. Anche in questo senso, l’approccio dei brand si evolve per integrare strategie di dialogo che permettono di raccontare la storia della marca non solo nel contenuto principale, ma anche nello scambio conversazionale attivato dalla story, sotto forma di commento o di interazione con gli sticker.

“Per alcune community può essere una scelta molto importante fare in modo che le persone si incontrino dal vivo”, che la nuova frontiera dei social sia quella di portare più persone fuori piuttosto che trattenere semplicemente le community connesse? Del resto i confini tra online e offline sono più che mai labili, anche tecnologicamente parlando, con l’ascesa di AR, VR, MR e così via. Facebook, infatti, punta a diventare un ecosistema completo, anche per gli acquisti, ad esempio. A giudicare dai trend emersi, questo ecosistema può prescindere la dimensione offline?

I canali social sono uno strumento che permette di connettere community. In alcuni casi, la relazione è più significativa quando ha una componente di incontro dal vivo. In altri casi, la concretizzazione dei messaggi si realizza in un’azione (come l’acquisto) che nasce sui canali social, ma si concretizza al loro esterno. Questo tipo di canali è spesso un punto di contatto che si estende fuori dallo schermo e permette di generare relazioni significative a prescindere dal mezzo in cui si sviluppano, per questo è molto importante considerare le piattaforme come integrate con la dimensione offline e definire strategie che si ispirino a questo principio. Il progetto “Beyond the Body” che abbiamo recentemente sviluppato con Discovery Italia va in questa direzione, estendendo lo storytelling del format TV su diversi canali, tra cui una mostra fotografica, per veicolare un messaggio che prevede una forte partecipazione da parte della community.

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