OBE Summit: il branded entertainment è una leva strategica, ora indispensabile una misurazione rigorosa
Ieri all’incontro annuale della industry si è svolta una tavola rotonda con i centri media che hanno sottolineato la necessità di affrontare il mercato con competenze specifiche
Il branded entertainment non è più la classica “ciliegia sulla torta”, qualcosa di ornamentale ma non necessario, è invece diventato uno strumento organico alle strategie di comunicazione. Lo dice la ricerca condotta da OBE – Osservatorio Branded Entertainment con BVA Doxa e RTI sul mercato del BE nel 2021, presentata ieri a Milano nel corso dell’OBE Summit. Circa l’80% degli spender pubblicitari fanno branded entertainment, che investono principalmente in televisione (37%) e social media (22%). Tv e digitale insieme assorbono oltre l’80% dei volumi. Tra i formati più in uso prevalgono i social media (66%), mentre la tv è “solo” terza, con il 43%. L’area audio oggi è al 17 mentre YouTube, partner attraverso la gold sponsorship di Google, al 35%. I contenuti più utilizzati sul digitale sono gli articoli redazionali (67%); in televisione funziona essenzialmente l’intrattenimento (64%), prevalentemente con produzioni originali (66%) anche se la brand integration è in crescita, dal 23% del 2019 al 34% del 2021.
Nel 2022 crescita del 9%
Tendenzialmente, la media più elevata della spesa in BE sta dentro i 100mila euro, mentre gli investimenti oltre i 500mila euro si fermano all’11%. C’è una tendenza a incrementare i budget dedicati: nel 2021 il 35% delle aziende ha aumentato gli investimenti fino al 10% e, il 38% tra il 10% e il 30%; e oltre il 30% delle aziende ha dichiarato di volerli incrementare nel 2022 allo stesso modo. Complessivamente, nel 2021 il valore del mercato BE è cresciuto del 14% sul 2020 a 568 milioni di euro, contro una stima del 12%. E crescerà anche quest’anno: del 9% raggiungendo i 620 milioni circa di ricavi complessivi.
La misurazione al centro
Una delle evidenze della ricerca è che le aziende non misurano ancora con precisione i risultati di una campagna di BE. Emerge infatti poca chiarezza tra gli obiettivi dichiarati, quali coinvolgimento del consumatore e costruzione della marca, ma non per spingere le vendite, mentre di fatto le misurazioni si concentrano proprio sulle vendite. Infatti il 62% degli intervistati dice di aver raggiunto gli obiettivi solo in parte. Sul tema della misurazione insistono i rappresentanti dei centri media che hanno partecipato alla tavola rotonda dedicata all’impatto del BE sul budget. «Il branded entertainment è oggi una scelta strategica che prescinde dai fondi a disposizione. I consumatori vogliono essere intrattenuti, e che i brand diventino ambasciatori di valori; i marchi hanno capito che l’approccio non può più essere “top down” ma “bottom up”, ossia i consumatori vanno ascoltati» afferma Francesca Costanzo, Managing Director di OMD. «I centri media – aggiunge – sono al fianco dei brand sulla definizione delle strategie con l’obiettivo di creare una integrazione e una storia unica per ogni brand».
Visione a lungo termine
Sottolinea Alessandra Giaquinta, Chief Client Officer di dentsu Italia: «Bisogna riportare i brand sulle strategie di medio periodo; inizialmente lo trattavamo da costola del media, ora lo consideriamo una intersezione tra approccio data driven, creatività, visione strategica, efficienza». Per Andrea di Fonzo, Chief Media Officer di Publicis Groupe Italy & CEO Publicis Media Italy, bisogna uscire dagli steccati delle definizioni: «Il branded entertainment è media o creatività? L’importante è costruire un mondo intorno ai brand. Il nostro compito è orchestrare tutti gli aspetti di queste attività, coordinando tutte le competenze coinvolte: per questo abbiamo dovuto riorganizzarci». «La cosa interessante – afferma Stefano Spadini, CEO di Havas Media Group – è vedere come il branded entertainment sia un elemento chiave per costruire il brand: senza la forza del brand si diventa solo rumore di sottofondo».
Il futuro del BE
Il futuro del branded entertainment è questione di competenze: «Abbiamo ridefinito i modelli organizzativi, stiamo cercando di mettere tutti i protagonisti intorno al tavolo - afferma Costanzo -; tra questi ci deve essere anche l’expertise sull’intrattenimento, che nasce in agenzia e quindi capace di offrire una visione transmediale e multidevice, amplificando la portata del branded entertainment. Questo farà la differenza, non il budget anche perché le buone idee non necessitano di tanti soldi per essere realizzate». Anche per Giaquinta le competenze verticali sono imprescindibili, insieme alla misurazione: «Le attività devono essere validate dai numeri» mentre Di Fonzo insiste sulla evoluzione del BE da iniziativa eclatante non sostenuta dai risultati ad azione strutturale mirata sia alla costruzione del brand, sia alle vendite. Per Spadini è necessario fare meno progetti e più consistenti, non inseguire il premio o la visibilità. Sul fronte agenzie «Mi aspetto che ci sia una selezione all’insegna della competenza nella filiera che oggi appare molto frammentata».