OBE: i valori dei brand e la loro comunicazione incidono sempre di più sulle scelte del consumatore contemporaneo
L’Osservatorio Branded Content e Fastweb hanno organizzato un convegno sul ruolo delle marche nel cambiamento sociale
Laura Corbetta
I brand devono essere sempre più attenti al ruolo che svolgono nel contesto sociale e all’impatto che esercitano sulla comunità; infatti, non sono più semplicemente entità commerciali, ma attraverso la loro azione sono in grado di influenzare l’immaginario collettivo e di contribuire alla costruzione sociale. Così, si assumono una responsabilità nei confronti della popolazione e dei territori in cui operano, e non solo: la loro modalità di comunicazione ma soprattutto i loro valori sono elementi cruciali, perché definiscono il metro di giudizio del consumatore contemporaneo, che effettua le sue scelte in base anche a questi elementi.
La responsabilità dei brand
Perciò, come si devono comportare i brand? Ci hanno riflettuto OBE – Osservatorio Branded Entertainment e Fastweb, che hanno organizzato ieri a Milano il convegno ‘Be the change have an impact – Qual è il ruolo dei brand oggi’ con il patrocinio del Comune di Milano. “OBE è un’associazione che negli anni si è trasformata anche in impresa sociale, e siamo molto felici di questa collaborazione con Fastweb, da anni nostro partner. Abbiamo aderito a questo evento con entusiasmo, perché crediamo che oggi per le aziende sia fondamentale lavorare sulla trasformazione sociale e culturale, con un impatto decisivo, soprattutto quando ci rivolgiamo alle generazioni più giovani” afferma la Presidente di OBE Laura Corbetta. “Sarà sempre più cruciale per i brand riconoscere l’impatto della propria voce all’interno della società, non è più solamente una questione di business. Bisogna comunicare con consapevolezza l’impatto sociale, affrontare i temi contemporanei con responsabilità e innescare un cambiamento autentico che generi sempre più valore per le persone; è necessario promuovere una cultura aziendale che integri le cause sociali nella comunicazione e nelle azioni quotidiane, solo così le imprese possono realmente contribuire al cambiamento e fare la loro parte nella società» afferma Roberta Artuso, Manager of Brand Empowerment di Fastweb. Anna Vitiello, Direttore Scientifico di OBE, ha spiegato che il passaggio da una comunicazione tradizionale alla creazione di strategie più impegnate sul fronte sociale permette ai brand, soprattutto con lo sviluppo del branded entertainment, di raccontarsi in maniera più coraggiosa e di prendere posizione. Tale contesto però comporta dei rischi: il washing, ovvero strategie di marketing ingannevoli (greenwashing, woke washing, pinkwashing e altri...), o l’hushing, cioè non parlare dei propri progetti per paura di essere criticati. La nuova comunicazione aziendale deve tenere in considerazione quatto punti: chiarezza e trasparenza della comunicazione, che attiva un circolo virtuoso tra consumatori, dipendenti, stakeholder. Questo comporta parlare anche degli inciampi. Scegliere tematiche su cui si può fare la differenza ed essere coerenti. Rispettare la continuità, per dimostrare agli stakeholder che il brand crede davvero nei valori e nei progetti che vengono avviati. E infine, ridurre il ‘say – do gap’: è il momento dell’attivismo.
Tutti gli attori coinvolti
Un passaggio che risulta essere fondamentale è quello della ‘coopetizione’, ovvero il coinvolgimento di tutti gli attori del cambiamento: cittadini, aziende, terzo settore e istituzioni. “In una società in cui i bisogni sociali si manifestano in maniera sempre più potente e la forbice delle disuguaglianze si acuisce, è fondamentale costruire sistemi integrati di risposta che vedano la collaborazione tra tutti gli attori che operano in una città: dalle istituzioni al Terzo settore al tessuto produttivo. I sistemi di welfare del futuro devono necessariamente mantenere una forte componente di regia pubblica ma, contemporaneamente, integrare l’offerta avvalendosi del contributo di tutti e tutte. È un modello che a Milano mettiamo in campo con successo da diverso tempo: sono diverse, infatti, le aziende che si sono messe a disposizione con progetti a supporto delle persone più fragili e l’obiettivo è proseguire nel rafforzamento di questa preziosa alleanza” afferma Lamberto Bertolè, Assessore al Welfare del Comune di Milano. Il secondo passaggio, come sottolineato da Vitiello, è l’azione concreta: trasformare lo storytelling in storydoing determina la credibilità aziendale e del brand e il marketing si evolve in societing, mettendo al centro l’impegno sociale. Di questo tema, insieme a Bertolé, hanno parlato Francesco Morace (Sociologo e saggista), Giancarla Pancione (Direttrice Brand, Marketing & Fundraising di Save the Children), Claudia Spinelli (Head of Brand Marketing Italy Red Bull), Lucio Berta (Group Head of Brand Marketing Communication & Social Media Reale Group). Ma sulla nuova comunicazione legata a questi ‘purpose’ Paolo Iabichino, scrittore Pubblicitario, Direttore Creativo e fondatore Osservatorio Civic Brands con Ipsos (intervistato da Giampaolo Colletti) avverte: il brand activism può essere un modo per deresponsabilizzare il consumatore perché trasforma la militanza in un target commerciale.