Come collaborano mobile e desktop? Il problema del cross device sotto la lente del Dmexco
Sbagliato pensare a un dispositivo prioritario, ma è un errore usare le metriche desktop per valutare le performance di smartphone e tablet. È questo quello che dal panel “Today’s Marketing Maze”
Il proliferare dei dispositivi mobili, con cui non si intende solo la diffusione degli smartphone ma anche quella dell’Internet of Things in un numero sempre maggiore di oggetti e macchine, ha aumentato naturalmente la complessità nel coordinare l’identità di un solo utente sulle diverse destinazioni tecnologiche. Sono tanti, dunque, i dubbi che sorgono nella testa dei marketer, ma ancora di più dei loro clienti, gli stessi che Anna Bager, svp & general manager di IAB ha sollevato al cospetto di Andrè Ferrer, ceo & cofounder di inlocomedia, Michiel van Eldik, group coo di VimpelCom, Scott Shapiro, product marketing director di Facebook, Henk van Niekerk, head of publisher services di AOL, durante il dibattito “Today’s Marketing Maze – Solving the cross device problem” tenutosi a Colonia durante il Dmexco.
Non esiste un device prioritario
È subito chiaro che non esistono dispositivi più importanti di altri nell’ecosistema digitale, e nemmeno in quello tradizionale. Basti pensare alla condizione dei Paesi in via di sviluppo, «L’adozione degli smartphone è in forte crescita, ma siamo ancora lontani dalle percentuali di penetrazione registrate nei Paesi occidentali. Il punto, per esempio, è che la maggior parte dei possessori di device non ha mai avuto un computer. Quindi sarà diverso il loro modo di intendere il mezzo e anche l’utilizzo che ne faranno rispetto a un europeo. Inoltre, anche per gli stessi dispositivi ci sono prospettive differenti. L’età, per esempio, è spesso un parametro decisivo per capire le preferenze dei device, e dunque la loro importanza per la singola persona», ricorda van Eldik. «La connessione giocherà un ruolo forte negli equilibri tra i device. Il 5G sarà 40 volte più potente del 4G. Potrebbe succedere di tutto, specialmente a livello di engagement. I dati cross device diventerebbero ancora più importanti, ma quelli detereministici non quelli probabilistici. Infatti la stessa tv potrebbe essere riprodotta dallo smartphone e riconoscere l’utente diventerebbe fondamentale», aggiunge van Niekerk. C’è da dire però che “molti marketer stanno già spostando grossi budget sul mobile per offrire esperienze pubblicitarie a 360 gradi”, evidenzia Shapiro, e a pagarne pegno “sono stati cinema e radio”, continua Eldik.
Misurazioni: un problema di mentalità
I discorsi sul video advertising digitale non sono stati di lezione ai marketer che, sì, hanno capito l’inefficacia del formato televisivo in rete ma non hanno assimilato la cosa più importante, l’insegnamento generale: ciò che funziona per un dispositivo non funziona per un altro. Infatti, le misurazioni su mobile mantengono le metriche desktop, risultando il più delle volte inefficaci. «I marketer devono cambiare mentalità, pensare al desktop come al desktop e al mobile come al mobile. Le metriche devono essere diverse. Siamo in un momento storico in cui dobbiamo re-imparare quello che abbiamo imparato qualche anno fa sul desktop», ha ammesso Ferraz. «I dati che raccogliamo oggi sono molto utili per gestire il cliente in early stage, ma per guidarlo fino alla fine del percorso dobbiamo trovare nuovi modi per misurare», fa eco van Eldik. «In Verizon seguiamo questo dogma: portare l’utente all’interno del nostro ecosistema, che diventa un vero e proprio loop all’interno del quale c’è il consumatore e le sue preferenze», conclude van Niekerk.
Location, fondamentale per ads e targeting
La funzione del location marketing non si estingue nei banner relativi alla zona in cui ci si trova. Sotto la rilevazione della posizione si nascondono anche finalità diverse, che coinvolgono creativi e dati. «La location indica più della posizione in cui si trova un consumatore. Siamo in un momento in cui i marketer stanno cambiando mindset. Devono abbandonare dati e desktop per passare all’interazione diretta con la persona in tempo reale, prima, durante e dopo l’acquisto. Questo tipo di dati sono molto utili anche a documentare l’efficacia dell’advertising: Facebook, per esempio, utilizza i nostri report sugli acquisti effettuati offline per verificare il drive to store delle proprie ads», spiega Ferraz. «Non è necessario che appaia subito una ad, la location serve anche a capire chi sei e a dare informazioni ai creativi. Uno storico delle posizioni rilevate potrebbe ispirare una ad sulla location in cui sei, o su un posto frequentato spesso» aggiunge van Niekerk. «Nel programmatic, oggi, il 60% delle location sono false o molto imprecise. I livelli di accuracy non sono sempre alti e servono tecnologie migliori per renderli più precisi.
Il mondo è mobile first
Ma va capito dove mettere strumenti come i beacon», conclude Ferraz. «Un’inserzione ha valore solo se l’utente davanti a essa desidera cliccarla e poi magari comprare il prodotto», dice Sridhar Ramaswamy, svp of ads & commerce di Google. Ma ora siamo davanti a una rivoluzione che non è ancora iniziata. Il mondo è mobile-first, più di metà del traffico web proviene da smartphone e tablet. Un dato che non deve più fare chiedere ai marketer “se” investire su mobile, ma “come” allocare il proprio budget sul mezzo. «Lo smartphone è il primo oggetto che si prende in mano al mattino e l’ultimo a essere poggiato prima di dormire. Considerando le infinite occasioni in cui le persone interagiscono con i dispositivi, mai come ora i marketer hanno la possibilità di coinvolgere gli utenti», continua Ramaswamy nel suo speech “Building for a mobile-first world” . Ma questi devono scegliere il momento giusto in cui agganciarli. Gli strumenti di Google possono sicuramente dare una grossa mano ai marketer in questo senso, e allora Ramaswamy non perde l’occasione per riassumere la panoramica dei prodotti di Big G capaci di interpretare ed entrare nel “momento”. YouTube, Google Play e la cara vecchia search, core business di Google: «Sono questi gli strumenti per intercettare i momenti».
Le ultime soluzioni
Per quanto riguarda la search, Google ha rilasciato da poco le Expanded Text Ads, inserzioni dal titolo di due righe completate da una descrizione supplementare del prodotto. Google Play ha raggiunto il traguardo di 65 miliardi di app nel 2015 con l’obiettivo di mostrare le app più interessanti agli utenti interessati. Per farlo ha lanciato lo scorso anno “Universal App Campaign”, prodotto migliorato da un’avanzata tecnologia di machine learning. YouTube, invece, è stato sottoposto ad alcune ricerche con l’obiettivo di capire quanto le star del social siano influenti rispetto agli attori tradizionali. «Stando a una ricerca di Nielsen, il 70% degli iscritti considerano le star della piattaforma più influenti di quelle del cinema. E il 45% della popolazione USA afferma che lo stesso YouTube è un grande aiuto nella purchase decision», riporta Ramaswamy. «TrueView For Shopping, inoltre, nel 2015 ha visto un aumento del 50% degli advertiser, e un quarto dei brand che lo utilizzano hanno campagne perennemente attive», conclude.
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