Autore: Redazione
01/03/2018

Fake Follower: per Open Influence è arrivata l'ora di fare luce

Il caso “fake follower” è scoppiato negli Stati Uniti, dove il New York Times ha smascherato una serie di profili “gonfiati” e agenzie che proponevano ai brand collaborazioni a pagamento. Open Influence torna sul tema

Fake Follower: per Open Influence è arrivata l'ora di fare luce

di  Karim De Martino  -  karim@openinfluence.com
Lo scenario oggi

Se agli albori dell’influencer marketing, la sfida principale per i brand fosse trovare il “giusto” influencer, stando alle cronache sembra che il problema sia diventato trovare l’influencer “onesto”. Ovviamente quando un problema arriva sotto agli occhi dell’opinione pubblica (ne ha parlato anche La Repubblica e diversi quotidiani Italiani), si fa presto a fare di tutta l’erba un fascio e a demonizzare una categoria intera. Come sempre andando ad analizzare la situazione si capisce che non solo le “mele marce” sono poche, ma anche che le truffe potevano quasi sempre essere evitate con l’utilizzo di strumenti di verifica gratuiti e un po’ di buon senso.

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Karim De Martino
Una piaga per fashion e beauty

Tra gli articoli più interessanti vi invito a leggere un reportage pubblicato da WWD dal titolo Fashion World Grapples With Follower Fakes”. La storia inizia con un brand che si è accorto che l’influencer con 10 milioni di follower, con cui stavano chiudendo un contratto a 6 cifre, aveva una audience sospetta. In questo caso è bastato chiedere all’influencer gli analytics per accorgersi di anomalie nella distribuzione del pubblico, ma sono decine i servizi online che permettono di fare verifiche simili, con pochi click. Quello che emerge è che avere fake follower è la normalità e quella che viene definita la mentalità “everyone-else-is-doing-it-too” (“lo fanno anche tutti gli altri”) ha preso il sopravvento su trasparenza e buon senso. Anche in Italia abbiamo visto esempi di grosse aziende del beauty che hanno lavorato su campagne che includevano fino al 90% di fake follower e solo di recente (dopo lo scandalo in USA) queste aziende hanno dichiarato una nuova rotta di “trasparenza” e “tolleranza zero” verso fake e bot. La verità è però che nel 2017 nel mondo milioni di investimenti sono stati bruciati nel prevalere dei numeri sulla qualità.

Un danno per l'industria

Quello che succede quando si lavora con influencer che hanno fake follower è paragonabile all’acquistare uno spot tv in un programma che non va mai in onda, o una pagina su un giornale che non raggiunge mai l’edicola. I numeri (che determinano il prezzo) sono gonfiati e per questo rimangono solo numeri su file Excel o un report PowerPoint. Il risultato è che le campagne non performano (engagement deludente) o non convertono (acquisti pari a zero) e quindi il brand si dichiara insoddisfatto e sfiduciato dall’influencer marketing. Intanto però l’influencer che ha portato a termine la collaborazione ha la fila di altri brand che continuano a chiedere visibilità perché ha una grossa fanbase ed è estremamente conveniente. Questo, sia chiaro, è sempre il primo campanello di allarme!

Come si costruisce un'audience fake

Ci sono diversi modi di fare crescere la propria audience in maniera truffaldina. La strada più breve, ma anche più facilmente smascherabile, è affidarsi a siti che in poche ore popolano il nostro profilo di BOT. Basta fare una ricerca su Google per trovare questi servizi, che nonostante siano stati messi al bando da Instagram, continuano a lavorare con sedi nei paesi asiatici. Utilizzare questi servizi porta l’influencer ad avere dei gradini nel grafico della sua crescita, verificabile su SocialBlade.com (foto 1) e spesso molti dei follower sono basati in Paesi dove la pratica è diffusa (tra cui anche gli Stati Uniti).

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Foto 1 - il grafico di crescita di un influencer che ha comprato follower a “pacchetti”

Il secondo metodo è quello di automatizzare una serie di azioni sul proprio profilo, come seguire altri utenti, commentare o condividere post. Per ogni 10 persone che seguiamo, mediamente una o due tornano a seguirci, quindi questi servizi fanno in modo di farci seguire ogni giorno 5.000 nuove persone così da aumentare di 500 follower. C’è però un limite al numero di persone che possiamo seguire, quindi nella notte lo stesso software cancella le iscrizioni ad altri profili, così da ripartire da zero la mattina dopo. La tecnica si chiama “follow-unfollow” ed è più difficile individuare il trucco guardando la crescita, prima di tutto perché di solito è omogenea nel tempo, secondo perché questi servizi permettono di geo-localizzare (ad esempio se seguo 5.000 profili in Italia, ricevo follower dall’Italia). I KPI da considerare per accorgersi di cosa sta succedendo sono due: l’engagement che di solito è molto basso in quanto questi utenti ci seguono per ricambiare, non perché sono interessati, e il grafico di chi viene seguito/cancellato (sempre disponibile su SocialBlade.com): se la linea fa zig-zag significa che l’influencer sta usando questa tecnica (foto 2).

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foto 2 - il grafico tipico di chi adotta la tecnica follow-unfollow tramite BOT

Un terzo sistema è quello di entrare in delle community, spesso su Facebook, di influencer che si scambiano commenti e follower, le regole sono semplici: ogni membro posta un contenuto e gli altri sono tenuti a fare un like e lasciare un messaggio (di solito molto generico come “Wow che bello” o “Di che marca è?”). Questo comportamento è difficile individuare in maniera scientifica, non ci sono grafici a svelarci l’inghippo, ma ci sono alcuni indicatori. Ad esempio: l’engagement è troppo alto (sopra al 5-7% è sospetto) e i commenti sono molto simili, generici, di poche parole e arrivano sempre dalle stesse cerchie ristrette di utenti. Ovviamente lato influencer non si tratta di un processo scalabile, va gestito a mano, con tanta buona volontà e tempo da perdere, ecco perché spesso questo è il metodo preferito dai micro-influencer che vedono il tutto come un gioco finalizzato a ricevere prodotti omaggio, sconti o badge in una classifica.

L'importanza della tecnologia

Open Influence opera nel settore dell’influencer marketing dal 2013: cinque anni durante i quali la tecnologia ha fatto passi da gigante, permettendoci addirittura di eseguire analisi basate sui contenuti delle foto (grazie ad una partnership con l’Intelligenza Artificiale di Amazon Rekognition). Il “Quality Score” delle Audience è un elemento che è diventato la base di tutti i progetti, oltre ad una analisi dettaglia del sesso, età, location e interessi del pubblico per meglio targetizzare le campagne.  Nell’esempio in questa pagina possiamo vedere gli analytics di un influencer (il cui nome è stato cancellato). Si tratta di un profilo 100% Italiano (con post da Roma, Pescara, Chieti e Cesenatico), ma stranamente il pubblico è per il 35% Italiano, 14,5% Taiwanese, 14,5% Filippino e poi diviso tra paesi che vanno dagli Stati Uniti alla Romania). Senza voler insinuare un “illecito”, c’è da dire che i popolari brand menzionati da questo influencer, nell’eventualità che queste collaborazioni siano state effettuate a pagamento (cosa che non possiamo sapere) qualche domanda dovrebbero farsela… anche solo se gli avessero mandato un prodotto gratis!

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la piattaforma Open Influence analizza la audience di un influencer “sospetto”