Tra nostalgie e nuove passioni: Brand Jam racconta le evoluzioni narrative che trasformano un marchio
Il licensing come nuova leva del marketing, il valore che si cela dietro una sigla, le diete mediatiche capovolte, un mercato in netta espansione: le parole di Paolo Lucci, founder della società di consulenza per il mondo del licensing, co-branding, e brand extension

Paolo Lucci
La cultura pop è sempre più una chiave narrativa trasversale: dai fumetti alla moda, dal food al design, conquista i brand per la sua forza di coinvolgere, fidelizzare e attivare l’effetto nostalgia, soprattutto attraverso le licenze. Il fenomeno non è solo culturale ma anche economico e i numeri lo confermano. Alcuni dati descrivono bene lo scenario: l’Italia tra i primi dieci paesi al mondo, con un valore di circa quattro miliardi di dollari; il segmento Entertainment & Characters domina la classifica con 147,6 miliardi, guidato da anime/manga, videogiochi e fenomeni generati dai social media; il segmento dei giocattoli vale oltre 1,5 miliardi di euro in royalties e rappresenta il 29% del fatturato; numeri che anticipano la 19esima edizione di Milano Licensing Day, che si svolgerà il 18 settembre presso NHOW Milano di Via Tortona, 35. Anticipiamo i tempi e ne parliamo con Paolo Lucci (ospite di DailyOnAir - The Sound Of Adv), founder di Brand Jam, società di consulenza per il mondo del licensing, co-branding, e brand extension.
Come si racconta oggi un brand? Come si è evoluta la narrativa negli ultimi 15 anni?
«C’è stato lo spostamento direi abbastanza evidente su tutto ciò che rappresenta la narrativa esperienziale emotiva. Il marchio è diventato in maniera chiara un contenitore di emozioni e di passioni ed è su questo tragitto che poggia l’evoluzione del brand. Dallo sviluppo dei prodotti alla comunicazione è evidente la forza della pop culture. Un esempio: la Formula 1, senza ombra di dubbio uno degli sport più prestigiosi e seguiti, nel corso delle stagioni si è trasformato in qualcosa di differente, una sorta di circo pop, che ospita e ingloba l’alta moda o, magari, sponsorizza il whisky, sfatando il mito del drink and drive; un gran premio muta pelle e si trasforma in un contenitore di varia natura, il pretesto per sviluppare veri e propri laboratori artistici; recentemente, abbiamo assistito all’alleanza stretta prima con Lego e poi con Disney; e allora, da sport con profonde radici elitarie siamo approdati su un territorio super pop. Il focus rimane la pista, ma nel frattempo accade anche qualcosa di differente ed è il potere della narrazione pop che ormai abbraccia tutto e tutti».
Se la pop culture è diventata una leva determinante sulla quale impostare strategie di comunicazione e di identificazione, quali devono le sue caratteristiche basilari?
«Il cambiamento più importante, sul fronte marketing e comunicazione, si è avuto nel passaggio da classico acquirente/consumatore a tifoso vero e proprio, da qui parte l’esigenza di raccontare storie e creare oggetti di desiderio che alimentino l’interesse del fan. Un nostro cliente, Montegrappa, che fabbrica penne, è sempre alla ricerca di nuove tribù di appassionati, a cui proporre veri e propri oggetti di desiderio: dalla penna di James Bond a quella di Frankestein, fino a quella di Freddie Mercury, non si tratta solo di semplici prodotti. Sono meccanismi noti anche nel campo della moda, pensiamo al concetto di qui e ora che porta alle celebri limited edition. In sintesi: nell’aria si respira sempre di più un effetto nostalgia che alimenta in maniera costante il mercato»
Il licensing è diventato un modo per fare marketing?
«A livello tradizionale, sfrutta un hype e ne ripete gli aspetti estetici e superficiali. La necessità di narrare porta però il licensing a un altro livello, molto più sofisticato. Un nuovo modello che raggruppa una serie di attività che si sedimentano sul singolo marchio e permettono di raccontare pezzi differenti di sé; intanto, il pubblico si allarga e può essere segmentato. Quindi sì, confermo tutto: il licensing è divenuto una vera e propria forma di marketing»
Come ci si muove in questo senso sul mercato nazionale?
«Le cifre che circolano sono quelle proposte da Licensing International e tracciano le raccolte di royalties, una cosa molto difficile, esiste un serio problema di misurazione. Abbiamo un osservatorio che da 13 anni studia il mercato italiano. I marchi, i personaggi sono definiti intellectual property, lo è di fatto tutto quello che può essere ‘licenziato’; ne abbiamo contato circa 8.500 di property intellettuali, oltre 200 agenti che le vendono e 3.000 aziende che hanno almeno una licenza nel loro portafoglio. I licenziatari sono aumentati del 18% nell’ultimo triennio sul mercato nazionale».
In un mondo sempre più avvinto dalle innovazioni tech, quanto potranno pesare le novità legate ad AI e dintorni? E quali tipologie di giochi vanno per la maggiore?
«Va molto forte tutto ciò che ruota attorno al mondo delle anime e dei manga; poi ci sono le serie tv e i brand che possono contare su una grande storia, dalla Coca-Cola all’Harley Davidson. C’è poi da considerare i nuovi modi di fruizione, dai tablet dati ai bambini al consumo dei cartoni, la cui programmazione prima cadeva nel pomeriggio, mentre oggi la decide il consumatore. Mi viene in mente Peppa Pig: era trasmesso dalla Rai ed è stato l’ultimo fenomeno legato alle antiche modalità di fruizione. Oggi come oggi, è cambiata la dieta mediale e i social hanno trasformato tutto. Sul fronte AI, c’è un rovescio della medaglia da considerare: la clonazione dei contenuti, dovuto a un utilizzo incontrollato dell’intelligenza artificiale. L’AI però può produrre contenuti buoni anche sul fronte del licensing, ma serve tempo, occorre radicare, mentre l’AI viaggia veloce e non credo abbia prodotto fino a ora qualcosa di rilevante e realmente raccontabile».
E voi di Brand Jam, come operate?
«Andiamo a cercare i valori di marchi, le affinità con categorie merceologiche e servizi e progettiamo brand extension; oppure facciamo brand collaboration, un’attività di licensing di breve periodo. Lavoriamo con marchi che cercano la prossima storia, la stessa che si costruisce con i valori di marca».