Autore: Redazione
22/10/2018

La transizione verso aste in first price ha alzato i prezzi delle inventory in programmatic

Secondo i test svolti dall’agenzia Hearts & Science, durante le aste in second price le SSP aumentano il floor price dopo aver ricevuto i primi bid, in modo da incassare cifre maggiori da advertiser e DSP. Il passaggio al first price, dunque, sembra non aver risolto il problema della trasparenza

La transizione verso aste in first price ha alzato i prezzi delle inventory in programmatic

Le piattaforme programmatic stanno cambiando il modo in cui assegnano il prezzo alle inventory, e questo sta portando a un aumento del loro valore. Le aste automatiche funzionavano in una logica di second pricing, in cui il secondo bid più alto determinava il prezzo che il vincitore era tenuto a pagare. Molte company però hanno abbandonato questo modello in favore delle aste in first price, dove invece la puntata più alta corrisponde al prezzo da pagare. Questa transizione ha dato una spinta alla popolarità dell’header biding, una modalità che permette a più piattaforme di competere simultaneamente per la stessa inventory. I test condotti da Hearts & Science L’agenzia Hearts & Science ha condotto recentemente un test - per tre settimane nel secondo trimestre del 2018 -, comprando inventory da 15 editori differenti attraverso aste in first e second price. È emerso che il CMP delle first price auction è più alto del 59% rispetto a quello del modello second price. Dalla prospettiva di un publisher questo comporta un vantaggio, perché un valore più alto corrisponde a maggiori revenue. Ma per un buyer l’impennata dei prezzi si traduce nel pagare più di quanto non sia equo. Hearts & Science ha anche provato a comprare inventory con una DSP che utilizza il bid shading, ovvero una tecnologia capace di riconoscere le differenze tra una vittoria in first e una in second price. In questo secondo test i prezzi del CPM sono meno alti rispetto al primo, ma sono comunque maggiori del 54% rispetto al valore di un acquisto in second price. Ben Hovaness, Executive Director of Digital Activation di Hearts & Science, è convinto che con il miglioramento degli algoritmi di bid shading il gap tra i due modelli di asta si assottiglierà. Le mosse oscure delle SSP La transizione verso il first price è avvenuta per garantire più trasparenza nelle aste programmatiche. Per esempio, nel modello second price, alcune SSP hanno aumentato i floor price dopo aver ricevuto i primi bid, in modo da ricevere puntate più alte e incassare cifre maggiori dagli advertiser e dalle DSP. Nel marzo del 2018 la DSP Getintent ha analizzato 338 miliardi di impression su 39 SSP statunitensi e ha scoperto che circa un quarto di esse è stato venduto in second price presentando questo tipo di anomalie. In quel mese il 43,3% delle impression è stato venduto in first price. La tendenza a gonfiare il floor price è stata significativamente più diffusa nel dicembre del 2017, quando solo il 5,8% delle inserzioni sono state vendute in first price. Il problema della trasparenza rimane Hovaness ha notato che, nonostante i vari richiami alla trasparenza, gli advertiser non possono ancora vedere i bid dei loro competitor. Le DSP non tracciano le puntate di altre DSP e le SSP non possono avere tutti i dati sulle offerte ricevute dalle altre SSP che concorrono per la stessa inventory. E i publisher hanno spesso solamente la possibilità di vedere i bid vincenti che la loro SSP invia all’adserver. Lo spostamento verso la logica del first price, tirando le somme, ha lasciato ai buyer la necessità di ottenere più informazioni sulle aste in cui investono le loro risorse. La proposta di Hearts & Science Diventa necessario dunque ripensare alla struttura delle aste e a un modo per ottimizzare la spesa in quelle in first price. Hearts & Science propone di inserire un attore di terza parte che svolga la funzione di “arbitro”: “Finche non raggiungeremo un buon livello di trasparenza e non avremo un supervisore esterno è difficile pensare a quali riforme andrebbero fatte per ristrutturare le aste”, spiega Hovaness. Un lavoro di rinnovamento dovrebbe andare anche a proteggere le entrate degli editori dalla scarsità artificiale di bid, dovuta alle DSP che inviano solo un bid per cliente a un exchange. Ogni exchange conduce un’asta e passa un bid al publisher, il cui ad server lavora scegliendo l’offerta più alta tra tutti gli exchange. “Una proposta è passare agli ad exchange tutti i bid, così che l’asta non sia più condotta su DSP o SSP. Queste diventeranno dunque dei canali per le offerte, e l’editore potrà condurre una asta in second price pulita - continua -. È importante che tutti i bid concorrano all’asta… altrimenti i ricavi degli editori collasserebbero”. Questi cambiamenti avvicinerebbero le aste in open programmatic a dei sistemi di asta disintermediati, come Facebook, Snapchat, Google Search o Pinterest.