Influencer marketing 2026: micro-influencer e AI, la visione di Kolsquare
Federico Spinelli, country manager per l’Italia del gruppo, ci guida nell’analisi dei trend chiave del settore, dalla crescita dei micro-influencer all’uso dell’AI, dal ROI, alle strategie di lungo periodo, sino alle best practice per i brand
Federico Spinelli
Il 2026 si profila come un anno cruciale per l’influencer marketing, con un ruolo sempre più strategico nelle scelte dei brand. Non si parla più solo di branding, ma di misurabilità, conversione e community fidelizzate. I micro-influencer continuano a guadagnare terreno grazie alla loro capacità di creare engagement autentico. Le campagne richiedono disciplina, precisione e investimenti mirati, con un’attenzione crescente ai costi dei creator e agli strumenti tecnologici. L’AI e le piattaforme integrate stanno rivoluzionando la gestione delle campagne e il social commerce apre nuove opportunità di vendita diretta. In Asia, le pratiche più innovative dettano trend che lentamente arrivano anche in Europa e negli Stati Uniti. Per i brand, costruire relazioni durature con i consumatori significa bilanciare tecnologia e autenticità, contenuti di qualità e interazioni reali. Per orientarsi al meglio in questo scenario, ci facciamo prendere per mano da Federico Spinelli, country manager Italia di Kolsquare (ospite di DailyOnAir - The Sound Of Adv).
Come vede l’evoluzione dell’influencer marketing nel 2026 rispetto agli ultimi anni, soprattutto in termini di impatto sulle vendite?
«Siamo in una nuova era dell’influencer marketing. In Italia, dopo casi come quello della Ferragni, i brand puntano sempre più sui micro-influencer e su risultati concreti, non solo sul branding. Il settore cresce circa del 9% annuo negli investimenti e integra sempre più sistemi di social commerce, come TikTok Shop, trasformando l’influencer in un vero e proprio venditore. Lavorare con creator tra 5k e 100k follower permette di ottenere risultati tangibili su e-commerce, senza dipendere solo dal nome del brand».
Quali vantaggi concreti hanno i micro-influencer rispetto ai grandi nomi o ambassador?
«Il primo vantaggio è il costo: sono molto più accessibili di mega-influencer o celebrity. Possono diventare una vera squadra di talent fedeli al brand, con un legame autentico con la loro community. La loro autorevolezza è maggiore: spesso le persone credono più a un micro-influencer che a una celebrity. Questo trend, ormai consolidato, valorizza la credibilità e permette di costruire relazioni più solide e durature. La misurabilità resta però un elemento centrale: senza KPI chiari, anche i migliori contenuti rischiano di non generare risultati».
Quali strumenti e KPI considera più efficaci per misurare il ROI delle campagne?
«Serve partire da obiettivi chiari: awareness, conversione o mix. Poi si utilizzano strumenti di tracciamento come codici sconto e link personalizzati su e-commerce. Oggi emergono KPI evoluti come Learn Media Value, che quantifica l’awareness generata dagli influencer, combinandola con dati di vendita e engagement. Con questi parametri si costruisce un funnel completo, dall’awareness alla conversione, e si calcola un ROI reale della campagna».
In che modo l’intelligenza artificiale sta cambiando il mercato?
«L’AI trasforma la gestione dei dati e delle campagne. Aiuta a individuare i creator giusti, analizzare performance e trend, e gestire collaborazioni in maniera più efficiente. In Asia già si usa per streaming e persino influencer virtuali; in Europa il fenomeno cresce lentamente, con attenzione a privacy e regolamentazioni. L’AI permette di ridurre tempi e costi, ma il successo dipende sempre dall’autenticità del contenuto e dalla fiducia della community».
Quali pratiche innovative stanno emergendo, soprattutto dai mercati asiatici?
«Il social commerce è l’esempio più rilevante: gli influencer vendono direttamente sulle piattaforme, riducendo i passaggi e aumentando la conversione. L’Asia anticipa trend come influencer virtuali e gestione automatizzata, che in Europa si adattano più lentamente per motivi culturali e legali. Il focus europeo resta sull’autenticità e sull’autorevolezza, valori fondamentali per costruire fiducia e relazioni durature con i follower».
Quanto conta creare community affezionate?
«La community è il vero motore del marketing d’influenza. Serve coltivare fan che non acquistano subito ma lo faranno in futuro, tramite canali privati come WhatsApp o Instagram Channels. Anche un volto interno all’azienda può diventare influencer, aumentando credibilità e percezione del brand. È il caso di Veralab, dove il personaggio aziendale ha trasformato prodotti e brand in riferimenti affidabili per la sua audience».
Quali elementi chiave definiscono una strategia di influencer marketing sostenibile e misurabile?
«Obiettivi chiari, KPI misurabili e piattaforme affidabili per raccogliere dati sulle campagne sono essenziali. Bisogna puntare sull’autenticità: gli utenti respingono contenuti palesemente promozionali. Contenuti coerenti e misurazioni precise permettono di scalare campagne, valorizzando i micro-influencer e costruendo strategie sostenibili che generano awareness, engagement e conversioni reali».