Autore: Redazione
20/01/2017

Google, secondo il WSJ favorisce i propri prodotti nei risultati di ricerca a pagamento

L’inchiesta condotta a partire dai dati rilevati da SEMrush pone l’accento sul conflitto d’interesse di Big G, che compete per gli spazi con i suoi clienti. Ma la società di difende: le aset dipendono da qualità e pricing

Google, secondo il WSJ favorisce i propri prodotti nei risultati di ricerca a pagamento

Nuove accuse a Google: secondo un’inchiesta del Wall Street Journal condotta in collaborazione con SEMRush, il colosso della Silicon Valley favorirebbe i propri prodotti come i termostati Nest e gli smartphone Pixel. Nel 91% delle ricerche correlate, infatti, le soluzioni hardware di Big G sono finite in cime ai risultati di ricerca a pagamento, mentre nel 43% dei casi i risultati hanno premiato ben due prodotti Google.

L’analisi ha preso in esame 1000 ricerche ognuna suddivisa in 25 termini, tra cui  laptop, speakers, rilevatori di monossido di carbonio. SEMrush ha avviato la sua indagine da desktop lo scorso 1 dicembre cancellando lo storico della navigazione che avrebbe potuto influenzare i risultai restituiti dal motore di ricerca.

new-google-logo-e1468959285616

Google si difende

Il Wall Street Journal sostiene come siano chiare le modalità con cui Google usa la leadership del suo motore di ricerca per promuovere altre parti del suo business e superare la concorrenza dei suoi competitor, che tra le altre cose annovera alcuni tra i suoi più grandi advertiser. Ma Google si difende: un portavoce ha detto che la società ha ideato le sue attività marketing per non entrare in conflitto con gli altri inserzionisti. Un conflitto d’interessi comune a tutta la filiera del digital advertising: i più importanti fornitori d’inventory come Facebook, Google e Microsoft competono con i propri clienti per quelli stessi spazi.

I risultati dell’analisi

Le ricerche virtuali per “phones” cominciavano con tre annunci consecutivi dei telefoni Pixel. Tutte le 1.000 ricerche per “laptot” mostravano al top un messaggio promozionale relativo a Chromebook, mentre la query “watches” restituiva in cima ai risultati per il 98% delle volte lo smartwatch Android. E per “smoke detector” - rilevatore di fumo - appariva guarda caso una pubblicità dei dispositivi Nest, società acquisita tre anni fa da Google per 3,2 miliardi di dollari.

Quando il 15 dicembre il Wall Street Journal ha condiviso l’analisi con Google, gran parte degli annunci è “scomparso”. Una seconda indagine condotta il 22 dicembre ha dato in testa ai risultati i dispositivi Nest il 19% delle volte. Questa pratica è finita sotto la lente delle autorità regolatorie europee. Google Shopping, il servizio di comparazione prodotto, è oggetto di un contenzioso: l’Ue sostiene che anche in questo caso Google favorisca i propri servizi a quelli dei concorrenti quando vengono effettuate delle ricerche.

google-wsj-193x300

Qualità e pricing

Un altro tema di grande rilevanza è quello relativo alle aste: se Google vende pubblicità ai suoi concorrenti, ma prende parte direttamente ai bid influenzando il prezzo con cui un annuncio viene venduto. Google è intervenuto affermando che l’assegnazione degli spazi pubblicitari avviene in base a parametri come la qualità e il pricing, che non subirebbe l’influenza della partecipazione della società stessa alle aste. Quando Google compra spazi pubblicitari sul proprio motore di ricerca stanzia dei budget marketing, ma anche questa strategia ha un costo: toglie introiti alla raccolta pubblicitaria.

Ma secondo alcuni manager interpellati dal WSJ, gli annunci di Google influenzano il prezzo, il piazzamento e le performance delle pubblicità dei clienti, in quanto sono limitati e la pratica di Big G può alzare verso l’alto il costo dei messaggi. Ipotesi da prendere ancora di più sul serio se si pensa che Google ha in mano il 31% dell’advertising digitale globale e il 55% del segmento search, uno dei più remunerativi per chi vende annunci (fonte eMarketer).

Il comportamento di Facebook e Microsoft

Facebook, il secondo più grande rivenditore di pubblicità online, ha detto di partecipare alle aste per la sua inventory “come ogni altro advertiser”. Il social, infatti, promuove i suoi prodotti sul newsfeed: prova ne è una recente campagna condotta per Instagram.

Anche Microsoft sostiene di competere allo stesso livello per piazzare inserzioni dei propri prodotti su Bing. Nell’anno concluso a maggio del 2016, SEMrush ha rilevato 2,7 milioni di aste per mese da parte di Google, secondo solo ai 3,7 milioni di Amazon. In totale sono svariati trilioni le ricerche concluse ogni anno sul motore di Big G.