Autore: Redazione
15/11/2016

Facebook e Google non forniranno più pubblicità ai siti che diffondono bufale

È questa la risposta dei giganti hi tech alle polemiche emerse dopo l’elezione di Trump. Ma se sul fronte advertising qualcosa è stato fatto, a livello editoriale tutto rimane come prima: le notizie false continueranno a circolare su social e motore di ricerca

Facebook e Google non forniranno più pubblicità ai siti che diffondono bufale

“Senza Twitter, Trump non avrebbe vinto le elezioni”. Lo ha detto Marc Benioff, ceo di Salesforce, società che è stata interessata a rilevare l’azienda dietro alla piattaforma dei 140 caratteri, sul palco della Code Conference in corso questi giorni a San Francisco, facendo emergere ancora una volta un tema di grande attualità negli Stati Uniti e nel mondo. Sì, perché nell’ultima settimana diverse testate si sono interrogate su come i social media e i motori di ricerca hanno influito sul risultato finale delle presidenziali, specialmente in relazione alle bufale circolate in rete prima e dopo le elezioni. Perché se è vero che è scaturita un’intensa polemica attorno a Facebook, reo di aver permesso la circolazione di notizie false prima delle elezioni dell’8 novembre e di aver così alterato le decisioni di voto degli americani, anche Google è incappata in un incredibile autogol. Big G, infatti, ha messo in cima ai risultati di ricerca per le keyword “election final count” il sito 70news.wordpress.com, non certo comparabile a più autorevoli fonti come il New York Times, con informazioni errate in merito alle elezioni. Per questo i due colossi hi tech hanno affermato di voler modificare la propria policy pubblicitaria, per interrompere la fornitura di servizi che consentono di monetizzare il proprio traffico ai siti che diffondono bufale. Nel frattempo in Europa, secondo un report di Euractiv, la Commissione sarebbe pronta a chiedere maggiore trasparenza ai giganti del web californiani in merito al funzionamento degli algoritmi, in modo da rendere pienamente consapevoli i miliardi di utenti che in qualche modo vi entrano in contatto quotidianamente.  

Facebook

Di particolare interesse è il ruolo di Facebook, la prima fonte di informazione per la maggior parte degli americani. Un portavoce della società ha affermato che l’azienda “bannerà” i siti contenenti bufale, inserendoli nella categoria che comprende i portali fuorvianti, illegali e ingannevoli di Facebook Audience Network. Questa scelta mira a danneggiare questa tipologia di editori, tagliandone le fonti di monetizzazione. "Facciamo rispettare rigorosamente le nostre politiche e agiamo rapidamente contro i siti e le applicazioni che si trovano a essere in violazione. Il nostro team continuerà a controllare da vicino tutti i potenziali editori e monitorare quelli già esistenti per garantirne la conformità", ha spiegato un portavoce.

Via la pubblicità, non le bufale

Dunque Facebook corre ai ripari ma i suoi problemi sono abbastanza grandi, considerando anche che il social non sta assolutamente pensando di rimuovere le notizie false sul news feed ma solo di colpire gli editori a livello pubblicitario. Addirittura, secondo Gizmodo, Facebook ha sviluppato un tool per individuare le bufale ma ha deciso di non usarlo perché lo strumento bocciava una serie di siti legati a una visione politica di destra. Eppure Zuckerberg è intervenuto in prima persona affermando che il 99% delle notizie sulla piattaforma sono vere. Una percentuale alta ma le meccaniche di condivisione del social fanno pensare che la penetrazione di una bufala possa essere molto più grande. È vero, infatti, che solo 1 notizia su 100 non è vera ma se questa è condivisa da un maggior numero di utenti i suoi valori diffusionali cambiano, smentendo le dichiarazioni di Zuckerberg. La risposta di Facebook a Gizmodo è arrivata per mezzo di uno statement: “Non costruiamo né tratteniamo alcuna modifica al NewsFeed a causa del suo potenziale impatto su qualsiasi partito politico. Lavoriamo sempre per rendere il News Feed più significativo e informativo, e ciò include l'esame della qualità e della precisione degli elementi condivisi, come clickbait, spam e bufale. Mark (Zuckerberg, ndr) stesso ha detto ‘Voglio fare tutto il possibile per assicurarmi che i nostri team mantengano l'integrità dei nostri prodotti’. Ciò include la continua revisione degli aggiornamenti per assicurarci che non ci esporremo a pregiudizi inconsci”.

Il ruolo di maggior distributore di notizie negli USA

Secondo Gizmodo, Facebook sarebbe molto preoccupata dalla questione, soprattutto a causa del suo ruolo di maggior distributore di notizie negli Stati Uniti. Per la testata ci sarebbe un acceso dibattito interno alla società su come muoversi in questo senso. Le prime grane erano cominciate a maggio quando proprio Gizmodo aveva smascherato come dietro alla sezione “trending news” - presente solo negli USA - ci fosse un team composto da persone in carne e ossa e non un algoritmo, rendendo la feature subordinata al giudizio umano. Una fonte aveva affermato di aver visto rimuovere una serie di post favorevoli a una visione più conservatrice, dichiarazione sempre smentita da Facebook che però poi ha licenziato tutto il team. I licenziamenti sono stati seguiti da vari errori, con numerose bufale inserite tra le notizie di tendenza. E Facebook ha fatto di tutto per confutare la sua presunta avversità nei confronti dei conservatori. Joel Kaplan, vice president of global public policy, ha enfatizzato che Facebook “è una casa per tutte le voci, incluse quelle dei conservatori”.  

Google

E così, alla luce delle diverse polemiche, anche Google ha annunciato che non fornirà più AdSense a quei siti che fanno disinformazione, promuovendo notizie false. La novità non dovrebbe avere un grande impatto sulla società di Mountain View in termini di mancate entrate ma dovrebbe averlo sui siti contenenti bufale, anche se questi potranno rivolgersi a prodotti concorrenti ma meno remunerativi. La società ha detto che prevede di evitare la distribuzione degli annunci “su pagine che travisano, riportano informazioni errate o nascondono informazioni sull’editore, il contenuto del publisher, o lo scopo primario”. In altre parole, i siti che riportano notizie false. Come Facebook, anche Google continuerà a indicizzare i siti che diffondono bufale.

Il caso 70news.wordpress.com: una rarità che insegna come l’algoritmo non è immune da errori

Bufale come quella che è finita in cima ai risultati di ricerca legata al sito 70news.wordpress.com e alle keyword “election final count”, secondo cui Trump avrebbe ricevuto più voti della rivale Clinton. In generale, l’algoritmo di Google tende a premiare i siti con un bel design, mobile-friendly e linkati ad altri portali: ecco perché il caso 70news.wordpress.com pone degli interrogativi sulla bontà dello stesso algoritmo. “Chiaramente abbiamo commesso un errore, ma lavoriamo continuamente per migliorare il nostro algoritmo”, ha affermato un portavoce di Big G. In ogni caso sembra che il caso “70news.wordpress.com”, i cui titolari non sono stati ancora rintracciati, sia una vera e propria rarità: secondo la University of Maryland la stragrande maggioranza delle storie che appaiono sul motore di ricerca sono veicolate da gruppi editoriali molto nati. Ma questa volta la frittata è fatta.