Giappichelli Editore: la didattica universitaria cambia pelle, ma senza fretta
La prestigiosa sigla, leader del mercato sul fronte delle scienze sociali raccontata dalla general manager Giulia Giappichelli, tra attività artigianale e le nuove necessità tecnologiche

Giulia Giappichelli
Tra app, soluzioni utra tech e l’ormai consueta intelligenza artificiale il rischio che in alcuni campi si prefiguri una decisiva adesione alle scorciatoie è alto, per esempio nel campo della formazione universitaria. Una problematica certo non sconosciuta anche dalle parti di Giappichelli Editore, dal 1921 è uno dei marchi storici dell’editoria italiana, storica azienda torinese di diritto ed economia, unica a essere rimasta orgogliosamente italiana, che ha soffiato nel 2021 sulle sue prime 100 candeline. Il timone è saldamente in mano alla famiglia, giunta alla quinta generazione, rappresentata dalle figlie Giulia e Giorgia. Ci chiediamo: in un mondo in costante cambiamento quanto è complesso portare avanti, a distanza di tanti decenni, un’attività simile? Lo chiediamo direttamente alla general manager Giulia Giappichelli (ospite di DailyOnAir - The Sound Of Adv).
Quali sono stati gli step evolutivi di Giappicchelli Editore?
«Cento anni fa la situazione era ben diversa. Al principio, quella che poi sarebbe diventata una casa editrice era cartolibreria, un posto di pochi metri quadrati, vicino alle facoltà letterarie dell’università di Torino. All’interno venivano collezionati i materiali dei docenti, si vendevano trascrizioni e oggettistica agli studenti dell’epoca. Uno stile artigianale che andò avanti fino agli anni della guerra, quando l’insegna era molto esposta per via della presenza di autori ebrei, di conseguenza molto materiale venne eliminato. Subito dopo, I miei nonni Giorgio e Olimpia presero in mano la situazione per dare vita a una piccola realtà editoriale che supportava docenti e studenti. Le dispense divennero libri, non più trascritti a mano, all’interno di un’attività che faceva leva sull’operato di cinque-sei persone. Il vero cambiamento avvenne grazie ai miei genitori, a partire dagli anni 80: furono loro ad andare oltre per competere con i big dell’epoca. In pochi anni, la casa editrice si mise in contatto con molti docenti a livello nazionale, vennero limitate le facoltà seguite, non più tutte le letterarie, per concentrarsi sulle scienze sociali. Da lì nacque l’attuale realtà che oggi può vantare 12 milioni di fatturato e una cinquantina di addetti ai lavori».
Cosa è mutato nel settore nell’ultimo decennio?
«L’interlocutore non è cambiato tantissimo, ci sono docenti molto moderni che sposano tecnologie di nuova era, ma è il mercato a essere mutato proprio grazie alle innovazioni tech. L’accesso all’educazione superiore è divenuto molto più democratico, situazione dalla quale sono scaturiti non pochi dubbi sul livello qualitativo sulla resa. L’università non è più l’unico canale di istruzione privilegiato, esistono tanti percorsi alternativi, anche certificati a livello internazionale. La formazione non dura cinque anni ma tutta la vita. Un mercato dinamico in cui l’università è più lenta ad adeguarsi. Sono cambiati anche gli studenti. Il nuovo binomio ha creato un divario tra chi insegna all’università e l’alliev, ma non si tratta solo di un gap generazionale, ma di differenze profonde di mentalità, all’interno di uno scenario in cui lo studente ha acquisito un potere prima inimmaginabile. Tutto ciò ha determinato dei problemi di qualità. Oggi è più facile completare un percorso di studio rispetto a quanto accadeva 20 anni fa, considerata la quantità di contenuti disponibili, senza dover studiare su tomi da 600 pagine. C’è stato un abbassamento della soglia. Anche logisticamente è cambiato tutto, pensiamo alle facoltà telematiche, che permettono di non spostarti di città. Ma si tratta sempre di vantaggi?».
Quali sono i punti fondamentali da coltivare per far sì che un progetto editoriale specializzato possa progredire nel tempo? Come fate a crescere nell’attuale contesto?
«Sul fronte della produzione giuridica ed economica siamo leader, rispettivamente con il 30% e il 16%. Il libro, a parer mio non sparirà, si potrà sempre ricorrere a materiale autoriale su carta, almeno per quel che concerne le nostre materie. Sicuramente non è pensabile l’esclusione di una fetta di studenti che fa una scelta opposta, oggi sono quattro su 10, nel 2018 erano due su dieci; a lorosva offerto un prodotto sempre autoriale ma alternativo al libro classico. La nostra intenzione è lavorare, come accaduto negli ultimi tre anni, per sviluppare prodotti digital first e digital only, che si sposino con le diverse esigenze senza compromettere l’attività editoriale».
Come vi comportate nei riguardi dell’innovazione?
«Innanzi tutto, distinguerei innovazione da tecnologia. È molto più innovativo andare in aula con un ritaglio di giornale piuttosto che collegarsi con un computer per vedere slide con sintesi trite e ritrite. L’innovazione è metodologica e didattica, con il docente che deve essere un facilitatore, per attivare pensiero e interesse, non il portatore di semplici nozioni per superare l’esame. Con la società benefit Giappichelli Edu ci siamo concentrati sull’innovazione didattica, ossia come supportare i docenti nella nuova attualità. Dopo 18 mesi abbiamo sviluppato un prodotto testato su quattro materie che comprende casi di studio strutturati con metodi scientifici di università importanti, poi strumenti visivi, quiz, test di autovalutazione, schemi, info grafiche e un glossario che dovrebbe sostituire le fonti open acess come Google, che spesso contengono informazioni provenienti da fonti non certificate. Forniamo un’alternativa autoriale a comportamenti ormai sdoganati. Il citato prodotto, andato in test nell’annata 2023-24 ha coinvolto circa 4.000 studenti. Abbiamo quindi resi disponibile a chi acquista i nostri libri un’offerta, che comprende otto materie, in forma gratuite, fruibile da qualunque device, anche se alcune risorse, per la loro natura applicativa e visiva, sono visibili soprattutto da tablet».
Come comunica a livello mediatico una casa editrice come la vostra?
«È il nostro tallone d’Achille. Il nostro è un modello B2B2C in cui il lato marketing si esplica attraverso il fattore umano, i cosiddetti rapporti H2H, ma sono altresì convinta che un prodotto digital first debba avere altre leve promozionali. E allora, abbiamo approfondito il lato digital marketing, tra mail e social. Non abbiamo realizzato attività di comunicazione ad hoc, ma è possibile che andremo presto a incrementare quel segmento».
Quali saranno i prossimi step?
«Ci sono obiettivi dichiarati e visibili sul mercato e alcuni altri più interni che hanno una prospettiva aziendale. L’uso della tecnologia è forte sui nuovi prodotti ma ancora più determinante sui processi interni, considerate le nostre modalità lavorative ancora artigianali, fatte di estrema cura di ogni progetto editoriale e dei rapporti con le persone. Focus quindi sui lavori interni, per essere pienamente efficienti nel 2025. Pensiamo all’AI: non siamo ancora pronti per usarla nei processi di digitalizzazione, perché dobbiamo creare le basi necessarie. L’automazione arriva alla fine, prima occorre farsi domande su come impostare i processi. Al posto di costruire grattacieli in due giorni, siamo ancora al livello di catena umana degli antichi egizi che costruivano le piramidi a mano. Il 2025 sarà l’anno delle analisi, il 2026 quello dell’implementazione e dei test e poi saremo pronti al necessario cambiamento».