Autore: Redazione
10/06/2024

Il caso Benetton: anatomia di una caduta

di Ilaria Padovan, Brand Strategy & Guidance Client Manager di Kantar

Il caso Benetton: anatomia di una caduta

“Mi chiedo se la tristezza che proverei senza di te sarebbe meno della tristezza che provo stando con te”, questo si domanda Tom in “Succession” (serie televisiva statunitense trasmessa sul canale HBO dal 2018 al 2023) evidenziando quanto tossica sia la sua relazione. Ho amato “Succession”, saga familiare in grado di insegnarci più sulle nostre di famiglie, sulle nostre di relazioni, più che su quelle dei protagonisti e ora, all’esplosione del caso Benetton – altra saga, altra famiglia, altra nazione – dopo l’intervista rilasciata al Corriere della Sera, mi sono domandata se quell’interrogativo se lo sia posto anche Luciano Benetton, negli attimi appena precedenti alle sue dichiarazioni. Del resto, le imprese, nel senso più lato del termine, tendono a condurre ben oltre la realtà e non è scontato che il tragitto sia piacevole, soprattutto al ritorno. Soprattutto, mi sono chiesta cosa ci possa insegnare su di noi, più in generale sui brand, quanto accaduto.

Quei maglioncini colorati

Così viene definita negli ultimi giorni da quasi tutti i giornali Benetton, la storica azienda fondata nel 1965 da Luciano, Gilberto, Giuliana e Carlo Benetton: l’azienda “dei maglioncini colorati”. Se è vero che il mondo è crudele con chi cade, constatare che per identificare facilmente la marca si utilizzi un’immagine prettamente collegata al prodotto e risalente ad antichi fasti del Gruppo già tradisce parte delle motivazioni sottostanti a questa parabola discendente: l’incapacità del brand di continuare a rinnovarsi, di rappresentare un player dinamico all’interno di una categoria profondamente in trasformazione, di reinterpretare il proprio DNA – forte, ma a tratti ingombrante – rispondendo alle esigenze e alle aspettative evolutesi dei propri clienti e di intercettarne di nuovi, puntando soprattutto sui giovanissimi, riversando i propri valori in latte di pittura per colorare in modo contemporaneo e rilevante un nuovo paradigma di sostenibilità, la concezione di una nuova famiglia, la diversity e l’inclusione all’interno di un quadro capillarmente globale. La mancanza di dinamismo e di quell’unicità che, un tempo, sono stati cardine del successo del brand, quindi, sono i primi tasselli per la comprensione di un quadro più complesso.


La moda che corre

A voler guardare bene, infatti, è necessaria anche un’analisi più ampia di un contesto, invece, fortemente in movimento e profondamente segnato dall’avvento del fast fashion – dei colossi Zara a H&M in primis – sul mercato e del sovvertimento di logiche che avrebbero potuto aiutare player storici a distinguersi, prendendo le distanze da realtà che, presto, hanno evidenziato criticità strutturali su tematiche a cuore dei consumatori (la sostenibilità su tutte), mentre, invece, si è assistito ad un più generale appiattimento del mercato e dell’immagine dei brand che ne fanno parte. Stando a Milano Finanza, proprio i due colossi sopra menzionati hanno progressivamente eroso quote di mercato al Gruppo Benetton che, sebbene abbia messo in atto dei tentativi di riposizionamento specialmente sui segmenti bambini e giovanissimi, non ha avuto successo. Lo scenario odierno, considerando gli utili sotto pressione e sempre più esigui già dal 2008 e l’addio alla borsa nel 2012, appare – forse – un po’ meno stupefacente di quanto non sia stia retoricamente raccontando.

Il rallentamento

Questa frenata della marca trova riscontro anche nei dati di Kantar BrandZ 2017-2024 che evidenziano come le criticità per Benetton inizino ben prima del 2020. Già nel 2017, infatti, il brand mostrava una probabilità di crescita nei successivi dodici mesi al di sotto della media di mercato (Future Power Index 82 contro una media di mercato di 100), e, nonostante avesse un indice di equity decisamente positivo, già nel 2020 se ne osserva la significativa erosione, con una perdita quasi totale del proprio vantaggio competitivo nel 2020 (da 137 nel 2017 a 104 nel 2020). Da qui quanto sia fondamentale focalizzarsi non esclusivamente sulle performance attuali, ma anche e sempre sul valore prospettico di un brand. 


Perdita di leadership

Sempre secondo i dati Kantar BrandZ, già nel 2017, Benetton mostrava una alta tenure (127) nel riuscire ad emergere nella mente dei consumatori pensando alla categoria – il concetto di awareness a voler semplificare, intesa come Saliency all’interno del modello di Equity proprietario Kantar – mentre la sua capacità di soddisfare i bisogni dei consumatori, sia da un punto di vista funzionale che di affinità emotiva era già ridotto alla media degli altri brand (102) e soprattutto la percezione di un brand diverso dagli altri risultava erosa già all’ 87. Proprio la capacità di una marca di rappresentare un unicum nel mercato, interpretando le tendenze del momento e eseguendo iniziative disruptive è ciò che di più importante un brand possa fare per mantenere la propria leadership. Per altro, la percezione di un brand “Different” guida la sua capacità a predisporre i consumatori a pagare di più (Pricing Power) in modo significativo: in questa categoria specifica, nel mercato italiano, in particolare, pesa per ben il 61% sulla capacità di una marca di ottenere migliori prezzi sul mercato, guidando la premiumness.

Crisi di Meaningfulness

Negli anni seguenti si manifesta ciò che i dati BrandZ evidenziavano già da tempo: la capacità di soddisfare bisogni dei consumatori e di mostrarsi anche affine al loro spirito emotivo (Meaningfulness) percepita del brand scende dal 102 del 2017 a 90 del 2018 fino a 84 del 2022; la Difference percepita non riacquista quota: dall’87 del 2017 si trova nel 2022 all’81 e, nel tempo, si perde anche il grande valore di Saliency, che passa dal 127 del 2017 al 107 del 2022. Guardando dati più recenti, siamo al 2022, la probabilità di crescita continua a ridursi, toccando un valore indicizzato di 70 e, quindi, ben al di sotto della media di mercato, con una notorietà suggerita sì al 96%, ma con ben il 40% degli italiani che dichiarano di averlo acquistato in passato ma ora non più. Di nuovo, a voler ben analizzare i dati, le ultime dichiarazioni non sarebbero veramente dovuto essere così sorprendenti.