Havas Play e il nuovo ruolo della musica nel rapporto tra brand, cultura e community
In un mercato in cui i linguaggi dell’intrattenimento influenzano pubblicità, trend e conversazioni social, la musica diventa un ponte strategico tra creatività e business. A raccontarlo è Mattia Giovanardi, head of music di Havas Play
Mattia Giovanardi, al centro fra i conduttori Davide Sechi e Silvia Antonini
Come cambia il rapporto tra brand, musica e cultura pop in un’epoca in cui le community, fisiche e digitali, dettano linguaggi, tendenze e modalità di fruizione? Quali sono oggi le sfide nel connettere l’autenticità artistica con le esigenze strategiche delle aziende? A queste domande risponde Mattia Giovanardi (ospite di Daily On Air - The Sound of Adv), head of music di Havas Play, la divisione del network HAVAS che unisce comunicazione, creatività, intrattenimento e analisi dei trend culturali per costruire progetti capaci di parlare alle persone in modo significativo.
Mattia Giovanardi che ha dei trascorsi nel mondo della discografia…
«È vero: provengo dal mondo della musica e della discografia. Ho lavorato in Universal Music e da allora sono rimasto connesso con le label e le major più rilevanti del settore. La mia esperienza è sempre stata focalizzata sulle partnership, un ambito cruciale che mette in relazione brand e artisti, anche da prospettive molto diverse. In Universal, per esempio, il focus è sulla promozione del progetto discografico e sul posizionamento dell’artista. In HAVAS, invece, la stessa relazione viene vista dalla prospettiva della comunicazione e della pubblicità».
Qual è la portata del vostro lavoro e cosa distingue la vostra offerta?
«Per me la musica è un linguaggio universale: emoziona, unisce, crea ricordi. Proprio per questo è una leva potentissima per il marketing. Non si limita a comunicare: crea esperienza. È presente in ogni fase della nostra vita, dalla mattina alla sera, e questo la rende uno strumento che ogni brand può usare per costruire legami reali. In HAVAS Play non ci limitiamo alla sponsorizzazione di attività preesistenti. Se un brand ci dice “Vogliamo lavorare con la musica”, non rispondiamo semplicemente con un progetto già pronto: costruiamo insieme. Con il brand, con gli artisti e con tutti i player dell’ecosistema musicale, promoter, piattaforme digitali come Spotify o Apple Music, management, distributori, agenzie che curano l’immagine degli artisti. La musica è fatta di molte figure, e ogni progetto richiede di capire quali asset attivare e come coinvolgere la community dell’artista, che oggi non è più solo il fan club tradizionale, ma una presenza viva online. I fan storici, come quelli di Vasco Rossi o Ligabue, si muovevano fisicamente per seguire l’artista; oggi le community vivono principalmente sui social, creando trend e conversazioni spontanee. Il tono di voce è cambiato, ma le dinamiche emotive sono le stesse. In HAVAS Play partiamo sempre dai dati: trend culturali, insight di mercato, analisi dei talent. Niente è improvvisato. E soprattutto, il brand non è un ospite: diventa parte della conversazione. È un protagonista».
Quanto conta fare parte di un network internazionale?
«Moltissimo. Ogni mercato locale ha la sua autonomia, perché ogni Paese ha un proprio contesto culturale, ciò che funziona in Svezia non funziona necessariamente in Italia, dove abbiamo un approccio più mediterraneo e un rapporto diverso con gli spazi, gli eventi, la socialità. Il network globale però ci dà accesso a best practice internazionali, tool esclusivi, conoscenze consolidate. La nostra forza è saper integrare tutto questo con la sensibilità locale, creando progetti rilevanti e, soprattutto, significativi. Amiamo questa parola: un brand, quando entra nella musica, deve portare valore autentico, non essere un semplice sponsor».
Come si diventa rilevanti per le community e per la cultura pop?
«Oggi i brand non cercano solo visibilità o media amplification. Vogliono diventare parte dello sviluppo culturale. Essere rilevanti significa ascoltare le community, quelle degli artisti e quelle del brand, e trasformare i trend in esperienze autentiche. La musica è perfetta per questo: dinamica, inclusiva, naturalmente ingaggiante. Ma non basta esserci: bisogna farlo nel modo giusto, diventando un partner reale del progetto artistico. Quando abbiniamo un brand a un artista, cerchiamo valori comuni. È un matrimonio: il brand ha obiettivi, l’artista ha un’opera da proteggere. Nessuno dei due deve snaturarsi. HAVAS Play fa da traduttore: il brand parla la lingua del marketing, l’artista quella della creatività. Il nostro ruolo è renderle compatibili».
Come si superano le difficoltà, soprattutto quando ci sono numeri e KPI da rispettare?
«Le difficoltà ci sono sempre, come in ogni lavoro. La chiave è tornare allo scopo: cosa vuole ottenere il brand, e chi vuole coinvolgere? La sfida è trovare il punto d’incontro tra esigenze commerciali e autenticità artistica. Negli anni si è abusato degli influencer come strumento di amplificazione. Oggi la parola d’ordine è autenticità. Il pubblico riconosce quando un contenuto è spontaneo e quando è solo promozione. I creator sono un caso interessante: partono come influencer, ma sviluppano competenze verticali, finanza, cucina, tech, e diventano veri opinion leader. Per loro il brand diventa un partner creativo. L’artista, invece, lavora mesi sulla propria opera e tende a proteggerla. È comprensibile: legare un prodotto commerciale a un progetto artistico può sembrare una contaminazione. Il nostro compito è mostrare come, se fatto bene, questo legame possa rafforzare entrambi: amplificare la visibilità dell’artista e dare profondità culturale al brand».
Che tipo di relazione avete con gli artisti?
«Una relazione autentica, umana. Al di là della tecnologia, la base resta sempre il rapporto diretto. Non vediamo l’artista come testimonial, ma come un talent con una visione. Il nostro obiettivo è creare un punto d’incontro tra quella visione e le esigenze del brand, trasformando l’artista in un protagonista creativo del progetto, non solo in un volto. In molti casi l’artista diventa quasi un direttore creativo aggiunto della campagna: partecipa al tavolo di lavoro, porta idee, dà forma al progetto. È un processo collaborativo, aperto, dove la creatività nasce dall’incontro tra due mondi».