Autore: Redazione
22/10/2018

Mashable Social Media Day Italy + Digital Innovation Days: quali sono i dati di valore?

Reputazione del brand e un attento studio delle audience forniscono le informazioni necessarie per elevarsi dal rumoroso vociare dell’internet advertising. Solo chi è in grado di mettere insieme insight di valore è anche in grado di coinvolgere l’utente in una dimensione personale, composta da annunci ad hoc e da esperienze che lo emozionino

Mashable Social Media Day Italy + Digital Innovation Days: quali sono i dati di valore?

Il percorso nell’innovazione digitale dei Mashable Social Media Day Italy + Digital Innovation Days è continuato nella seconda giornata, in cui è stata la visione laterale a farla da padrone. I social sono uno strumento irrinunciabile per raggiungere le audience, ma l’utilizzo classico basato solamente sul presidio è diventato ormai anacronistico e sta lasciando il passo a una visione laterale, per cui le piattaforme diventano uno strumento di listening utile a massimizzare l’efficacia delle creatività di brand al loro interno e di disvelamento delle parti più viscerali delle aziende.

LinkedIn e l’employer branding

La comunicazione corporate è forse la branca più difficile del racconto di una company. L’azienda Perfetti Van Melle, enorme produttore di caramelle e gomme da masticare, non gode della stessa notorietà degli stessi brand che possiede. Chupa Chups, Vigorsol, Mentos, Big Bubble, Goleador, solo per citarne alcuni, sono marchi largamente riconoscibili, e per provare ad avvicinare il nome di Perfetti Van Melle alla fama di questi - perlomeno a livello corporate - Anna Re, Corporate Communication Manager, e il suo team hanno scelto di concentrarsi sulla reputazione. «La reputazione è un asset fondamentale nel segmento alimentare. Le ricerche suggeriscono che il 66% delle scelte dei consumatori è influenzato dalla conoscenza dell’azienda più che dei prodotti. L’Edelman Trust Barometer 2017, inoltre, ci ha suggerito che la voce più credibile per raccontare un’azienda è quella dei dipendenti», ha raccontato. Insieme all’agenzia L45, allora, è stata progettata e messa in atto un’iniziativa che ha coinvolto proprio lo staff di Perfetti, invitando 200 persone a partecipare a una giornata in cui veniva rivelata la possibilità di diventare ambassador. «L’obiettivo era comunicare l’aspetto umano della nostra azienda, creando spirito di emulazione tra i dipendenti e una comunicazione con un aspetto più personale che veicolasse un messaggio più credibile», ha continuato. Hanno accettato l’invito in 150, e 20 tra questi hanno espresso la volontà di diventare campaign ambassador: ne sono stati selezionati 10, che sono stati sottoposti a training specifici sulla produzione di contenuti social. Ognuno ha prodotto un long post su LinkedIn e i risultati sono stati molto interessanti: più di 2.600 like e 210.000 incrementali ma soprattutto «le attività hanno prodotto un cambio di prospettiva per l’azienda», ha concluso Re.

Dai servizi all’experience marketing

Al principio c’erano i beni di necessità. Poi l’evoluzione economica ha portato ai beni di consumo. Successivamente sono stati i servizi. Adesso è il momento delle esperienze. Nel passaggio all’era economica attuale, o strettamente prossima, il design gioca un ruolo chiave.  «Siede al tavolo del business e gioca un ruolo strategico per le aziende, tanto che circa il 50% dei task legati al marketing sono diventati design task», spiega Mirco Pasqualini, Head of Design di Ogilvy. «Negli ultimi anni alcune industry, come quella musicale, si sono vaporizzate nel cloud, insieme a buona parte dell’hardware. Adesso viviamo all’interno di un sistema dove quasi tutto è in cloud, e il nostro tempo si traduce spesso in esperienza». Queste generano un legame più profondo e duraturo con il consumatore, tanto da spingere Pasqualini ad affermare che «il brand oggi è l’esperienza, e in quanto tale deve esserci un nuovo modo di trattarlo». Il marketing sta cambiando in questo senso, abbandonando la prospettiva curativa per quella preventiva - «si evita il palesamento di un bisogno, non si interviene più a posteriori» - , l’approccio osservativo per quello data driven, il valore frammentato per quello integrato ed esperienziale, le relazioni a breve termine per una loyalty più duratura. Allo stesso modo, cambia anche la visione del consumatore, che cerca modi migliori di compiere un’operazione invece che migliori strumenti, ovvero cosa è utile per lui invece che qualcosa che venga cucito sulle sue necessità. È in questo quadro che la subscription economy e la sharing economy hanno prosperato (e continuano a farlo). Modelli che fanno da sostrato per aziende stabili, fin quando non ne nasce una migliore di loro. «Vivendo in un sistema interconesso, i cambi comportamentali si diffondono come virus. Se gli early adopter scoprono percorsi migliori per compiere un’azione o raggiungere un servizio, questi saranno poi condivisi anche dagli altri», aggiunge. Come Nike+, un prodotto tecnologico che ha avuto un impatto sul business maggiore di molte campagne di marketing, ha dato una spinta a Nike, così stanno prosperando tutti i business che stanno puntando sull’esperienza. «E il design è ciò che si applica ai sistemi per massimizzare la qualità dell’experience. Deve essere al loro servizio e rendere facile e immediato il loro utilizzo», conclude Pasqualini.

Reputation: un punto di partenza per le decisioni di marketing

Il valore di un’esperienza, così come di ogni altra attività di marketing, poggia però su un altro pillar fondamentale: la reputazione. «Il 25% del valore delle aziende è direttamente attribuibile ad essa», ha messo in chiaro Matteo Flora, CEO di The Fool. Si entra così nel territorio della reputation economy, dove la reputazione diventa il token per il trasferimento di valore. Lavorare in questo campo significa analizzare il pensiero delle persone, ora deducibile dai social network «largamente utilizzati come piattaforme su cui condividere i propri flussi di coscienza. Da questi è possibile estrarre dati che conducono a silos di opinione che è possibile gestire individuando il linguaggio più adeguato per conversare con ognuno di essi», aggiunge Flora. Dall’osservazione delle conversazioni è possibile poi inquadrare delle comunità, mapparle ed estrarre vere e proprie personas, individuando dei temi per ognuna di esse. Una volta in possesso di queste informazioni, bisogna mettere da parte l’approccio tradizionale alla strutturazione delle campagne - ovvero quello composto da strategia, creazione e analisi - per abbracciare una modalità data-driven, in cui l’analisi viene prima, e da questa nasce una strategia che porta alla creazione. «La reputazione è una percezione della realtà, non è la realtà in quanto tale, e per influenzare il modo di vedere le cose ci sono due modi: manipolare o ispirare», conclude.

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Un esempio: la case history Parmalat-Caffeina

Partendo dall’approccio data driven, dall’analisi della brand reputation e dai dati di performance dei social (incrociati con il CRM dell’azienda), Caffeina, Talkwalker e Parmalat hanno reinterpretato il brand Chef, mettendo a punto una strategia social in grado di raggiungere 20 milioni di famiglie in Italia. «Abbiamo intercettato la difficoltà, e lo stress che ne consegue, nello scegliere cosa preprare quando si organizza una cena in casa con gli amici. Addirittura il 31% dei consumatori pensa che la scelta del menù sia la parte più stressante di organizzare una cena, e così il 41% si rivolge ai food hack, ovvero semplici trucchi per preparare piatti dall’effetto wow», racconta Valentina Ciavarella, Digital Insight Manager di Caffeina. «Abbiamo notato dunque la necessità di spostare il brand Chef da un marchio vicino alla community a un punto di riferimento per chi cerca consigli in cucina. Intenzione che abbiamo concretizzato con un nuovo posizionamento, dando importanza al formato video e sviluppando un’impostazione delle ricette facile e immediata», aggiunge Francesco Potenza, Head of Digital & Marketing Services di Parmalat Italia. La collaborazione, che continua da anni, ha prodotto una crescita esponenziale della pagina Facebook del brand, generando con le tre video-ricette del Natale scorso 1,7 milioni di reach medie, 82.000 interazioni, 2 milioni di video views nei primi 10 secondi e 2,3 milioni di visualizzazioni video totali.

Dati: more is less

Attenzione però a non esagerare, perché è vero, i dati hanno grande valore, ma solo alcuni. «I dati diventano rilevanti quando si è in grado di separare quelli utili da quelli inutili. Dunque, quando diventano insight, ovvero informazioni che si possono tradurre in azioni utili a migliorare brand, prodotto o servizio», ha chiarito Marianna Ghirlanda, CEO di DLVBBDO. Hanno la funzione di benzina in un motore alimentato da tecnologia e creatività. Per far spiccare un’inserzione nella mescolanza di voci pubblicitarie online è necessaria la personalizzazione, rivolgersi all’utente sulla base delle sue preferenze e delle sue caratteristiche. Questa operazione è possibile grazie a tecnologie capaci di creare ads automaticamente e di divulgarle al momento giusto. «Ma la chiave creativa rimane ancora un fattore esclusivamente umano. Si può impostare un algoritmo con delle variabili che si completano a seconda della persona a cui l’inserzione sarà proposta, ma la sua definizione, il linguaggio, il messaggio e il tono con cui si rivolge agli utenti», continua. La dimensione media (nel senso più tradizionale) dei social network sta sfumando in un utilizzo sempre più naturale degli stessi, orientato verso l’ascolto, il racconto di se stessi e una modalità di conversazione tra azienda e utente sempre più personale - anche attraverso le ads. A cospetto dei risultati, sembra che il settore stia procedendo nella giusta rotta.