Autore: Redazione
27/09/2023

Costruire un ecosistema digitale: Flowerista, la nostra esperienza e il nostro perché

Una storia che racconta il momento in cui Sara Malaguti, la founder dell’azienda, ha capito che 1+1 avrebbe potuto fare “infinito”, ma solo con una buona dose di organizzazione e una ancora maggiore di rispetto

Costruire un ecosistema digitale: Flowerista, la nostra esperienza e il nostro perché

Sara Malaguti

a cura di Sara Malaguti, founder di Flowerista Srl Società Benefit

L’idea di collaborare con altre persone è sempre stata fortissima in me, non mi sono mai vista in una cavalcata solitaria verso una soddisfazione esclusivamente personale; ovviamente non c’è nulla di male nella visione del solopreneur, ma nella mia testa ho sempre pensato che, prima o poi, quel termine Flowerista avrebbe potuto abbracciare tante anime diverse. Era anche il motivo per cui avevo scelto sin dall’inizio un brand name diverso dal mio nome e cognome. C’è stato un preciso episodio che mi ha portato alla consapevolezza di voler dire addio alla solitudine e che ha contemporaneamente innescato il desiderio di cominciare a costruire qualcosa di più ampio: una richiesta, a inizio 2022, alla quale ho dovuto rinunciare perché io quei servizi non potevo erogarli: cercavano una realtà che potesse seguire a 360 gradi il loro avvio, dal business plan, alla creazione del sito, la brand identity e successivamente anche la strategia digitale. All’epoca, io facevo solo l’ultima parte, ovvero arrivavo alla fine del processo. Di conseguenza, loro giustamente si sono rivolte altrove, ma per me quella è stata sia una grande fortuna che un grande insegnamento. Fortuna, perché senza quel “no” probabilmente Flowerista non sarebbe la realtà di oggi, insegnamento perché ho cominciato a prestare ascolto a quante altre richieste simili (all-inclusive per così dire) rimanessero inevase, e ho potuto notare che effettivamente c’era un fortissimo vuoto di mercato nel soddisfare questi bisogni. La soluzione passava attraverso due step a mio avviso: cominciare a creare una rete di collaboratori validi, fidati, che potevano presentarsi sotto il cappello Flowerista senza perdere la loro autonomia; in seconda istanza, dare una forma giuridica congrua a quella nuova assunzione di responsabilità, che non poteva che essere SRL. Anche in questo caso, come la presa di posizione nei confronti della visione da solopreneur di cui sopra, credo che la differenza stia nella direzione di lungo periodo che si vuole dare alla propria impresa.

L’ecosistema e i suoi compiti

L’ambizione mi ha sempre portato a vedere Flowerista come un punto di riferimento non solo nel panorama italiano, ma anche europeo. Questo nella mia testa significava, e significa tutt’ora, poter contare su: leadership, per quanto morbida e diffusa; tassi di crescita importanti, per quanto sostenibili umanamente e finanziariamente; riconoscibilità e autorevolezza agli occhi dei clienti, perché già è complesso spiegare cosa facciamo, se in più avessimo dovuto spiegare anche come lo facciamo in un collettivo, probabilmente sarebbe stato ancora più difficile. Poi resta il fatto che le SRL sono nate secoli fa e non rappresentano in toto le finalità per cui si fa impresa oggi, per cui ecco che è subentrata anche la scelta di essere benefit. Cos’è, quindi, un ecosistema digitale? Direi che è “una realtà imprenditoriale al cui interno vi sono tante aree di business diverse, ciascuna con una forte dose di autonomia e nessun tipo di esclusiva, molto ben coordinate tra loro grazie agli strumenti digitali e ad una leadership riconosciuta, che si identificano in un unico sistema di valori e agiscono per integrare in un’unica offerta i propri servizi, al fine di rispondere in maniera più tempestiva e olistica ai bisogni del cliente”. Ci occupiamo di molti più aspetti inerenti a un business, specialmente creativo e culturale, peer esempio creiamo un ponte con la finanza agevolata, con il crowdfunding, con tutta la parte di sostenibilità economica insomma. E poi abbiamo integrato un modello di business che definirei quasi editoriale, da publisher o forse sarebbe meglio dire da influencer, per cui offriamo, all’interno dei nostri molteplici canali e senza chiedere nulla in più, una visibilità che nessun’altra agenzia tout court è in grado di dare. Infine, abbiamo un rispetto per il lavoro delle persone e dei collaboratori che passa attraverso la garanzia dei pagamenti in tempi puntuali, nessun tipo di negoziazione per abbassare il prezzo, forte attenzione verso il work-life balance. Di tutti questi aspetti si parla tanto, giustamente, nel manifatturiero, perché sappiamo che tante piccole imprese che lavorano conto terzi sono sfruttate dai big della moda, ad esempio, ma se ne parla ancora troppo poco relativamente al lavoro intangibile ed intellettuale.

I vantaggi per il cliente

Il rispetto per le persone ha ovviamente un suo costo intrinseco, che ci porta al tema successivo. È sempre più conveniente per il cliente affidarsi a un ecosistema? No, dipende dalle esigenze e, inutile negarlo, dalla capacità di spesa. Se è forte la necessità di avere un unico interlocutore per tutti gli step di crescita del progetto, se si cerca anche una robusta componente di visibilità e networking per la propria impresa, se si ha poco tempo da dedicare alla parte operativa e si preferisce delegarla, allora assolutamente sì. I vantaggi vanno a compensare un prezzo che, come è scontato che sia, è leggermente più alto rispetto a quello che i singoli freelance possono offrire autonomamente, senza alcun tipo di coordinamento tra loro. Prezzo che deve anche tenere in piedi una struttura che comunque è più costosa di per sé, essendo appunto una società. Senza dimenticare, comunque, che la varietà di servizi offerti è tale che spazia da una formula di abbonamento molto accessibile, sempre all-inclusive, che presuppone che sia il cliente a fare un po’ di operatività in più fino alla totale presa in carico da parte nostra del progetto, magari più adatta a PMI e realtà più grandi.