UNA, ADCI, OBE e IAB: il gender gap è una realtà anche nella Industry, urge un cambiamento culturale
Lo dice una ricerca condotta dal tavolo interassociativo UNA-ADCI-OBE-IAB in partnership con Methodos e Valore D
I partecipanti al panel ‘United for respect’
Prosegue il lavoro delle associazioni di categoria della comunicazione per affrontare in maniera efficace il problema degli abusi sul lavoro, che sono emersi a seguito delle denunce delle lavoratrici del settore. A luglio ADCI, UNA, OBE e IAB si sono unite nel tavolo interassociativo presentato venerdì scorso in occasione dell’Italian Festival IF! promosso da UNA e ADCI che si è tenuto a Milano. E’ stata presentata anche la partnership con Valore D e la società di consulenza Methodos che opera nell’ambito del cambiamento aziendale, con i quali è stata realizzata una ricerca che offre un primo spaccato del sentiment rispetto a come il tema dell’inclusione viene affrontato dagli addetti ai lavori, sia a livello personale sia a livello aziendale. L’obiettivo è arrivare a coinvolgere tutti, brand compresi, in un processo di cambiamento che complessivamente miri a risolvere il problema del gender gap. Di cui, spiega Laura Corbetta, presidente di OBE, le molestie sono la punta dell’iceberg. Una distanza che si esprime su vari livelli, come ad esempio la differenza salariale tra donne e uomini. «Massima solidarietà per le persone che hanno sofferto per queste situazioni; noi auspichiamo un cambiamento nel luogo di lavoro frutto di una trasformazione culturale necessaria, ineluttabile, ma che non si fa in un giorno. Tale cambiamento deve essere agito da tutti: OBE entra in questo tavolo con l’esperienza che deriva dall’avere al proprio interno anche i brand (almeno il 40% degli associati): perché questa situazione si manifesta in tutti i settori. Se vogliamo ricostruire un clima di fiducia dobbiamo capire cosa è successo e cosa sta succedendo».
Un processo che richiede tempo
Il titolo del panel che ha raccolto tutti i partecipanti al tavolo interassociativo era ‘United for respect’, un manifesto programmatico dell’azione promossa dalle diverse associazioni: «Il cambiamento culturale è il tema centrale, su cui stiamo lavorando con il tavolo che nasce dall’esigenza di concertazione per realizzare azioni concrete – spiega Davide Arduini, Presidente di UNA -. La prima di queste è proprio la ricerca, realizzata da Methodos per capire come le sensibilità sono cambiate, che servirà da osservatorio per monitorare l’andamento del mercato. «Le aziende devono mettere in agenda al più presto l’attivazione di questo cambiamento perché richiede tempo – afferma Filippo Muzi Falconi, Partner e CEO di Methodos -. E’ un percorso in quattro fasi che parte dalla consapevolezza e finisce con la presa di responsabilità da parte di tutti. L’80% di questi processi fallisce perché manca la governance, e la visione di lungo periodo, poiché le iniziative immediate servono solo a tamponare ma non cambiano nulla». E’ necessario avere le idee chiare, ed essere uniti. Laura Corbetta afferma: «Sottolineiamo che per la prima volta quattro associazioni di categoria lavorano assieme e siamo aperti alla partecipazione di tutti». Stefania Siani, Presidente di ADCI: «Il tavolo esercita una azione di coordinamento tra le varie associazioni, noi come ADCI abbiamo promosso il manifesto deontologico, l’assistenza legale gratuita, la partnership per supporto psicologico con Telefono Donna, ma l’iniziativa più importante è il tavolo interassociativo, il dialogo con il sistema e la creazione di cultura». Ribadisce Arduini: «il confronto con altre realtà, da Confindustria alle istituzioni alle realtà territoriali, è nel mio programma per la presidenza di UNA». La partnership con Valore D è un modo per coinvolgere sempre di più le aziende in questo cambiamento. E a proposito di dialogo, come si pone il tavolo rispetto alle istanze dei gruppi di attiviste che rivendicano con veemenza un ruolo nel dibattito su quello che oggi viene chiamato il ‘metoo della comunicazione’? Risponde Corbetta: «Non credo che il cambiamento passi dalle liste dei buoni e dei cattivi, se il territorio è quello dello scontro diventa difficile relazionarsi, noi dobbiamo costruire un futuro di responsabilità. Siamo aperti al confronto ma deve essere trasformativo, in uno spazio di comunicazione».
Il gap culturale italiano
Durante il panel ‘United for respect’ condotto dalla giornalista Annalisa Monfreda è stata presentata la ricerca, da cui emerge per esempio che c’è una forte differenza tra il livello di interesse personale per il tema dell’inclusività (punteggio: 8) e quello riscontrato sul lavoro (6); mentre 5 è il punteggio ottenuto dalla domanda se il mondo della comunicazione sia inclusivo. «Bisogna traghettare quell’8 in agenzia: la responsabilità di agire il cambiamento è di tutti» sottolinea Corbetta. Il mercato della comunicazione è caratterizzato dalla presenza preponderante di donne, ma le posizioni apicali sono presidiate dagli uomini. Lo denuncia Stefania Siani: «Non abbiamo mappato abbastanza i talenti femminili, c’è un bias culturale che non permette di far emergere questi talenti». Barbara Bontempi, Vice Presidente di IAB, sottolinea il tema del ritardo culturale, difficile da colmare perché non solo mancano le risorse, ma forse anche la volontà di cambiare. Barbara Falcomer, Managing Director di Valore D: «L’italia è indietro sul gender gap, l’impostazione patriarcale stereotipata appare anche nei giovanissimi».