Tradelab fotografa il mercato pubblicitario e indica i trend per il 2020
Mobile, programmatic, in-housing e metriche sono le principali evidenze emerse dallo studio “Digital Marketing & Advertising: i trend del 2020 in Italia”, commentate poi a DailyNet dal Country Manager Gaetano Polignano
Gaetano Polignano
Il digital marketing è irrequieto, non si cristallizza mai in una forma definitiva vive in una situazione di eterno cambiamento, che ha effetti sui media e sulle strategie per utilizzarli al meglio. È necessario dunque fare un punto della situazione di tanto in tanto, magari rivolgendo anche lo sguardo in avanti, che tanto nell’iper-dinamismo del settore non significa altro che stare pronti a ciò che succederà da qui a poco. La ricerca “Digital Marketing & Advertising: i trend del 2020 in Italia” di Tradelab fa un riassunto interessante della situazione della industry, tracciando una serie di direzioni evolutive per l’anno che verrà. “I dati che emergono dalla ricerca mettono in luce uno scenario che sta cambiando e acquisendo una nuova maturità ed un inserzionista sempre più competente e consapevole del futuro”. dichiara Gaetano Polignano, Country Manager Tradelab “Questo fa bene al mercato e agli stessi operatori che dovranno puntare sempre di più su innovazione e crescita delle competenze per approcciare il settore in modo più strutturato ed evoluto”.

Mercato in crescita grazie a mobile, social e search
Il mercato del digital in Italia continua a cresce con una previsione di aumento per il 2020 che arriverà a toccare fino a + 30%, complice anche l’incremento degli investimenti su search, video e social. Il mobile rivestirà un ruolo importante per le aziende, in linea con l’aumento del tempo speso per persona su smartphone per navigare, acquistare prodotti online o per vedere i video. Il 79% degli advertiser veicola già le proprie campagne su mobile con un impatto positivo sulle visite al proprio sito o e-commerce. Gli inserzionisti investono quote sempre maggiori anche sui social media su cui punterà il 65% come mezzo per rafforzare l’awareness e la relazione con il proprio target. Negli ultimi anni anche paid search ha visto una crescita costante grazie all’integrazione con i processi di acquisto e di vendita online, diventando così una leva di marketing strategica per il 40% degli inserzionisti. In aumento per il 39% dei marketer anche gli investimenti su video advertising. «Il mobile va al di fuori della percezione di inserzionisti e operatori. I social sono fruiti principalmente da smartphone e i publisher raccolgono l’80% di traffico dal mezzo. Il mobile è molto importante, ma dev’essere parte di una strategia cross-channel per raggiungere il pieno della sua efficacia. Discorso diverso per i social, dove è possibile fare campagne a sé stanti. Le property di Zuckerberg dominano questo spettro, e Google occupa un’altra parte importante del mobile. Staccare le attività mobile dal desktop e dai social, poi, significherebbe correre il rischio di avere frequency cap troppo alti e di complicarsi i lavoro di analisi dei dati per un giusto storytelling», commenta Polignano.

Il programmatic e i canali tradizionali
L’acquisto automatizzato di spazi pubblicitari online è una delle componenti più dinamiche e in evoluzione del mercato ed è sempre più presente nelle scelte delle aziende soprattutto in termini di ottimizzazione dei costi e ritorno efficace degli investimenti. Dalla ricerca emerge come il 67% degli advertiser già acquista o gestisce spazi in programmatic ed è pronto ad aumentare gli investimenti del 20% nei prossimi dodici mesi grazie anche a maggiori formati mobile disponibili e all’apertura del programmatic ai nuovi media, in particolare Digital Out of Home, TV e radio sui quali rispettivamente il 39%, il 34% e il 20% è pronto a puntare. «Tra i nuovi canali di applicazione del programmatic, radio e DOOH dispongono già di strumenti maturi per un buon utilizzo della tecnologia, oltre ad avere impression sufficienti perché abbia senso investirci. L’addressable TV invece non è ancora connessa al programmatic, non ha ne piattaforme ne standard comuni», dice Polignano.

In housing: trend o realtà?
L’esigenza di maggior efficienza, più trasparenza e un maggior controllo sui costi, sta portando le aziende ad internalizzare le proprie attività di digital marketing. Il 42% degli advertiser in Italia ha già scelto di gestire le proprie campagne in house mentre il 34% ha optato per una internalizzazione parziale accompagnata dalla consulenza di Partner esterni ma il trend è in crescita. Il problema del marketer di oggi è un mercato sovraccaricato dall’offerta e individuare Partner che portino valore aggiunto alle proprie attività non è semplice. I fattori che incidono principalmente nella scelta di un Partner sono la strategia proposta, seguita dall’offerta economica, le stime delle performance e la tecnologia utilizzata. In questo scenario agenzie e service provider si vedono necessariamente costretti a puntare sempre di più su innovazione, crescita delle competenze e trasparenza per rispondere ai bisogni dei clienti. Secondo la ricerca per il 72% degli advertiser è fondamentale nella scelta del Partner l’approccio consulenziale e strategico seguito dalla proposta di nuove soluzioni innovative (54%) e la semplificazione e l’ottimizzazione dei processi di lavoro (53%).

«L’internalizzazione totale dei processi media è possibile ma improbabile, a volte neanche raccomandabile. Per i grandi player è consigliabile e fattibile, ma per i più piccoli sarebbero necessari investimenti enormi in risorse e tecnologie per raggiungere un livello qualitativo comparabile con quello dei centri media. Questi ultimi potrebbero trovarsi in situazioni scomode se i clienti medi scelgono di internalizzare le operazioni media, e potrebbero farlo sostenendo investimenti iniziali per rientrare in futuro nelle spese. È vero, però, che i trader che gestiscono le stesse campagne per tanto tempo inaridiscono, e lavorare su progetti di diverse categorie li mantiene efficienti al massimo delle loro potenzialità. Anche l’ibridazione è un tema da considerare per i centri media. Alcuni brand stanno aprendo account condivisi con loro sulle piattaforme tecnologiche, e da questi hanno chiara visione delle campagne e dei margini assorbiti per gestirle. Una situazione che porterà alla riduzione delle fee stesse», aggiunge Polignano.
Misurazione delle pubblicità: priorità ed utilizzo delle metriche
Il tema della misurazione e dell’efficacia delle campagne pubblicitarie è da sempre considerato importante per gli inserzionisti. La sfida del mercato è quella di riuscire ad evolvere ed individuare standard più precisi che permettono una misurazione più puntuale del ROI delle campagne. Secondo la ricerca il 55% degli advertiser ritiene siano necessarie nuove metriche di misurazione in grado di tracciare una customer journey dell’utente sempre più frammentata, multi-device e multi-canale. Nonostante la richiesta di modelli di attribuzione più sofisticati, i modelli basati su approcci tradizionali restano però ancora quelli largamente più utilizzati: il 30% degli inserzionisti si affida ancora al modello last click e il 18% al post-view. Tra le tecnologie che segneranno il futuro del digital non c’è dubbio tra gli inserzionisti che a farla da padrone saranno i big data e l’intelligenza artificiale che combinate insieme saranno utili a definire con maggior precisione le strategie migliori da applicare. «I migliori modelli di attribuzione sul mercato sono quelli geometrici, che considerano 10 azioni e attribuiscono ai canali interessati un punteggio per capirne l’importanza, e quelli data-driven, che mettono assieme modelli di attribuzione e ponderazione diversi, prendendo nota di quello che fanno gli utenti dopo il contatto con l’adv. Il modello di Google, che essendo gratuito è il più diffuso, ha lo svantaggio di contare solo i clic, ma ha permesso a tutti i business di possedere gli analytics», conclude.