Autore: Davide Sechi
15/12/2025

Sparq, la nuova realtà che punta a ridisegnare il recruitment e la consulenza HR

In un mercato del lavoro in continua trasformazione, tra evoluzione tecnologica, nuovi modelli organizzativi e crescente competizione per i talenti, Sparq nasce come player capace di unire headhunting specializzato, talent as a service e consulenza HR data-driven. Le parole del founder e CEO Pietro Novelli

Sparq, la nuova realtà  che punta a ridisegnare il recruitment  e la consulenza HR

Pietro Novelli

Negli ultimi anni il mercato del lavoro europeo ha vissuto una trasformazione profonda, complice l’accelerazione digitale, l’evoluzione delle competenze richieste dalle imprese e una crescente attenzione alla capacità delle organizzazioni di attrarre e trattenere talenti qualificati. In questo scenario frammentato e altamente competitivo, le aziende chiedono nuovi strumenti, maggiore visibilità sui trend del mercato e partner capaci di coniugare tecnologia, metodo e sensibilità umana. È in questo contesto che nasce Sparq, una nuova realtà costruita sull’esperienza della branch italiana di Oliver James e pensata per integrare headhunting specialistico, Talent as a Service e consulenza HR avanzata. Grazie a un approccio data-oriented e all’utilizzo di sistemi basati su AI generativa, Sparq punta a offrire servizi più predittivi, misurabili e allineati alle reali dinamiche dei settori e delle professioni. Un progetto che si propone di portare maggiore trasparenza, velocità e valore nel processo di incontro tra domanda e offerta di lavoro. Ne parliamo con il founder e CEO Pietro Novelli (ospite di DailyOnAir - The Sound Of Adv).

Spark nasce da un management buyout della branch italiana di Oliver James. Quali sono le ragioni e la visione che hanno guidato tale scelta e cosa rappresenta un simile passaggio per il mercato italiano HR, ma anche per quello europeo?

«Sì, abbiamo avuto un bellissimo periodo di espansione di Oliver James in Italia, con un percorso nato nel 2014. In 11 anni abbiamo costruito rapporti molto importanti con le principali corporate attive sul mercato italiano in tutti i settori, supportandole nelle loro sfide di acquisizione di talento specialistico, ambito in cui spesso faticavano ad attrarre e ingaggiare professionisti pienamente allineati alle loro esigenze. L’idea del management buyout nasce innanzitutto dalla consapevolezza che il mercato del lavoro si sta trasformando. Come player attivo in questo mondo, abbiamo avvertito la necessità di evolvere e innovare i servizi: spesso le grandi corporate tendono a standardizzare e a ottimizzare i profitti, mentre noi riteniamo di trovarci in una fase di cambiamenti profondi che richiedono nuove soluzioni. Questa è stata la prima spinta. La seconda riguarda la direzione strategica del gruppo, che abbiamo visto orientarsi sempre più verso l’espansione nel mercato americano, dove marginalità e prospettive di crescita sono molto diverse rispetto all’Europa. Per noi si apriva quindi l’opportunità di trovare investitori locali, piuttosto che rimanere in un gruppo con una strategia destinata a una regione diversa. Infine, come molte realtà internazionali, Oliver James gestiva le operations centralmente dall’Inghilterra. L’Italia è però un Paese notoriamente complesso dal punto di vista amministrativo e burocratico, e queste attività risultano più efficienti, e soprattutto più sostenibili nei costi, se gestite da un team locale che sappia decifrare la complessità e indirizzare correttamente le attività. Dunque il management buyout nasce da una combinazione di ragionamenti strategici ed economici».

Cosa è rimasto di Oliver James di questi 11 anni?

«Le due società che abbiamo fondato in questi 11 anni confluiscono come rami d’azienda nella loro interezza: tutti i 35 dipendenti, gli 850 clienti, principalmente grandi corporate, e un database molto rilevante di 75 mila CV. Cambia solo il brand e la compagine degli investitori».

Intanto come posizionerete questo brand visto che voi come Oliver James avevate già maturato un vostro posizionamento e poi come si distingue il vostro servizio nel mercato attuale dell’HR qui in Italia?

«In questi 11 anni abbiamo compreso che le aziende non hanno solo l’esigenza di identificare e ingaggiare il talento, ma anche quella di saperlo valorizzare e trattenere. Partendo quindi dal posizionamento solido costruito come Oliver James Italia nel mondo dell’he-ad-hun-ting, andiamo a integrare la nostra offerta con servizi legati al talent & service, ovvero l’ingaggio di figure professionali per necessità progettuali, principalmente in ambito tecnologico. A questo aggiungiamo un’attività di HR advisory, una consulenza verticale che supporta le aziende lungo tutto il ciclo di ingaggio del talento: attrazione, selezione, sviluppo e retention».

È giusto dire che si tratti di un’evoluzione molto importante per il nostro modo di concepire questo tipo di società, come la vostra che fa ricerca di personale?

«Sì, assolutamente. Già come Oliver James avevamo un elemento distintivo: la specializzazione. Ci siamo sempre focalizzati solo su alcune famiglie professionali, in particolare nel mondo tecnologico, digitale e nelle figure dell’ambito finanziario. Ora integriamo questa specializzazione con l’erogazione di servizi che non si limitano alla talent acquisition e all’he-ad-hun-ting, ma comprendono anche la consulenza ai dipartimenti HR nella definizione di processi e sistemi volti a ingaggiare i talenti tramite attività di employer branding, valorizzarli con percorsi di formazione e crescita, e migliorare l’engagement generale, contribuendo così ad aumentare il ciclo di vita dei professionisti all’interno dell’azienda».

Per quanto riguarda invece l’integrazione delle tecnologie, dell’intelligenza artificiale, come avviene?

«Questo è un tema molto particolare. Oggi assistiamo a un trend crescente, e in parte distopico, in cui i talenti si affidano all’AI per predisporre i propri CV e le lettere di presentazione, mentre molte strutture di recruiting, sia consulenziali che interne alle aziende, ricorrono all’AI per lo screening dei profili. A tale tendenza contrapponiamo un modello basato sulla specializzazione: conosciamo in profondità i mercati in cui operiamo, sappiamo dove lavorano i migliori candidati, quali competenze hanno e quali percorsi formativi hanno seguito. La tecnologia per noi è un abilitatore di produttività: aiuta a riassumere i colloqui, predisporre report e ridurre tutte quelle attività time consuming legate alla scrittura. L’AI generativa permette così al recruiter di dedicare più tempo all’analisi delle competenze e alla relazione con candidati e clienti. Un altro elemento centrale è la costruzione di una piattaforma di insights, in cui tutte le informazioni raccolte dal mercato diventano un asset per i nostri clienti. Disponiamo così di un osservatorio prezioso: mediane retributive, componenti variabili e loro modalità di erogazione, livelli di smart working nelle diverse aziende e geografie, percorsi formativi e strutture organizzative. Questo know-how qualitativo viene generato anche grazie all’AI, che riassume, normalizza e anonimizza i dati raccolti».

E a questo punto cosa vi attendete per i prossimi anni, sia sul fronte della crescita interna, nuove specializzazioni, ampliamento del team e magari anche sviluppo di asset tecnologici come la piattaforma proprietaria, cosa vi attendete?

«Il nostro piano industriale prevede un raddoppio del fatturato, partendo dagli attuali 14 milioni che segnano un punto di partenza importante per questo management buyout. Prevediamo anche un raddoppio della struttura interna di consulenti. Dal punto di vista tecnologico, il perfezionamento della piattaforma di insights rappresenta il primo passo per la costruzione di un prodotto tecnologico che vogliamo mettere a disposizione sia dei candidati sia dei nostri clienti. Sul fronte delle specializzazioni, oltre a tecnologia, digitale e figure in ambito finanziario, lavoriamo già con diversi player del settore farmaceutico. Le professioni legate al mondo life science rappresentano per noi un naturale passaggio di espansione, insieme a tutto il mondo ingegneristico, che costituisce una componente importante del nostro tessuto economico».