Autore: Redazione
23/12/2022

Professione influencer, i risvolti inediti di un settore in costante evoluzione

Un ambito del marketing ormai sempre più dominante, la cui costante evoluzione non può però prescindere da regole, codici, misurazioni. La fotografia del momento di Matteo Pogliani, fondatore di 40Degrees, una full-agency dedicata alla materia, tra le menti dietro l’Osservatorio Nazionale ONIM

Professione influencer, i risvolti inediti di un settore in costante evoluzione

Matteo Pogliani

Da che mondo e mondo, abbiamo sempre bisogno che qualcuno ci indichi la strada, che apra le acque, che rivoluzioni i codici, che rivolti i preconcetti, disinteressandosi nel contempo delle “battutine”, dei dubbi e delle incertezze, dei freni, delle tradizioni consolidate e arroganti. Ed è così che siamo giunti nell’era dell’influencer marketing, di fatto un aggiornamento della figura del critico che sa e che ti consiglia. In questo caso però l’esperto si è fatto in casa, o come direbbero i dubbiosi di cui sopra è un conoscitore improvvisato, tutto lustrini e poca sostanza. Il panorama però si è evoluto, è mutato nel corso delle ultime stagioni e oggi, volenti o nolenti, i brand, le aziende non possono girare la testa e far finta che i social media e i suoi protagonisti non esistano. Per fugare gli ultimi dubbi ci affidiamo a Matteo Pogliani, classe 1982. Una laurea in lettere moderne, la passione per la scrittura e per il mondo delle arti. Al mondo dell’influencer marketing è arrivato passando anche per il giornalismo locale per cui curava il reparto advertising, seguendo anche la scrittura dei copy, come spesso capita nelle realtà più piccole. Arrivato in Openbox, ha contribuito a formare il team dedicato al fenomeno nascente dei social network. Parallelamente ha continuato a informarsi spaziando sui blog e sulle testate dell’altro lato dell’Oceano, ha inaugurato il suo blog che è presto diventato un osservatorio privilegiato da cui sono nate tutta una serie di collaborazioni e, in maniera del tutto naturale, l’idea di dedicare il primo libro al fenomeno dell’influencer marketing, il primo in assoluto in Italia esplicitamente sul tema. Con Flaccovio Editore poi ha dato seguito a “Influencer marketing” con “Professione influencer”. I libri l’hanno accreditato come uno dei principali esperti del settore e da lì sono nate docenze all’università e ai master, incluso quello alla 24ORE Business School, speech ai principali eventi, giurie e l’idea di dare forma anche a ONIM, l’osservatorio nazionale influencer marketing. Da queste esperienze e dall’aver incrociato più volte la strada con il team di The Fool nasce l’idea di creare 40Degrees, una full-agency dedicata esclusivamente all’influencer marketing ma con un taglio e con strumenti inediti in cui ogni fase del processo creativo è data driven. La strada è già segnata dal passaggio in atto dall’influencer marketing alla content strategy.

La fotografia attuale del settore?

«L’influencer marketing è ancora in crescita. Se si pensa che prima si comprava senza comprendere bene le basi, oggi invece la conoscenza è altissima, anche su obiettivi di campagna molto precisi. Ci sono aziende che veicolano campagne a performance, con la retribuzione dei creator a seconda degli esiti della conversione. E poi c’è l’affermarsi costante e progressivo di piattaforme di contenuto come Twitch e TikTok».

Qualche tempo fa qualcuno aveva parlato di anticipato?

«Nel marketing digitale, e non solo, chi ha troppo hype desta sospetti, pregiudizi, antipatia, un classico. È anche vero che, a un certo punto, si stava arrivando a una sorta di cortocircuito: prima gli influencer erano degli sconosciuti che divenivano celeberrimi per l’offerta che presentavano sui social; quando si è scoperto che questa modalità comunicativa funzionava, ecco sbarcare nel neo business una serie di volti protagonisti su altre piattaforme, come per esempio la tv. Con la pandemia tutto questo processo ha subito un’accelerazione e il panorama è ulteriormente cambiato e hanno ripreso a volare alto i contenuti e la qualità».

Chi è oggi l’influencer?

«L’influencer è trasversale, persino in ambito B2B, che non pochi ritengono poco adatto. Poi, è chiaro, ci sono dei settori dove la figura performa meglio: tecnologia, food e lifestyle, ma anche sostenibilità, per non parlare dei filoni bancari e assicurativi. Che poi, diciamocelo, l’influencer è sempre esistito, basterebbe ricordarsi dell’autorevolezza di cui godevano i critici cinematografici o culinari sin dagli anni 70; ai tempi, l’accesso ai mezzi di comunicazione era per pochi, oggi con i social ci troviamo di fronte a un mercato super concorrenziale. La figura dell’influencer rappresenta un aggiornamento dei mezzi di comunicazione di massa e del loro utilizzo».

Come deve operare un influencer?

«Focalizzarsi su un tema preciso è fondamentale e in quel caso i numeri assumono una valenza differente; poi, dipende sempre dal settore: 20.000 follower nella moda ti presentano come un nano-influencer, ma se invece volessimo rapportarli al mercato, che so, del gin in questo caso significherebbe avere in cassaforte il 60% degli utenti presenti in Italia. E occorre considerare sempre quale canale approcci: su TikTok, l’algoritmo è aperto e fai un milione di views anche avendo 20.000 follower, laddove conta la true rich».

Quali sono allora le piattaforme privilegiate?

«Dipende dal settore e dalla campagna. TikTok è un social ancora nuovo, ha un rapporto costi risultati ottimo, ma certo non come un anno fa. Instagram funzionava alla grande cinque anni fa, ma occorre considerare anche l’ottica data driven. Come contenitore di iniziative Istangram domina. TikTok è maggiormente performante anche su nicchie, essendo, come detto, molto fresco».

Consigli per chi volesse intraprendere questa carriera?

«Prima di tutto trovare una propria nicchia, che sia rispettosa delle esigenze del canale, che sappia tenere in contro sia l’utente sia l’algoritmo. L’azienda, il brand deve capire cosa voglia la gente, così da sfruttare meglio le caratteristiche dell’influencer».

Chi spinge di più il mercato, i marchi o i singoli influencer?

«Spesso le aziende hanno troppe sovrastrutture e quindi non possiedono una conoscenza adeguata dei canali nuovi. Gli utenti, dal canto loro, hanno sperimentato e hanno creato un vero e proprio mondo comunicativo. Stiamo insomma raccontando un settore nato e cresciuto in maniera molto popolare, guidato dai creator più che dalle aziende».

Cosa potrebbe offrire il Metaverso al mercato?

«Esistono già  influencer virtuali che possono performare il 100%, sono fake dichiarati, quindi dotati di massima trasparenza, cosa che non accade  con molti creator reali che millantano specializzazioni e numeri. Un giorno, un brand potrebbe crearsi il proprio influencer virtuale. In generale, il creator dovrà essere capace di spaziare, non dovrà solo essere portatore dei valori del marchio e forse le aziende non sono ancora pronte a un simile cambio. Sia come sia, il futuro è anche nel Metaverso».

È stato tra i primi a creare informazione sul settore…

«Ho scritto i primi libri sul tema, che però dovevano rifarsi gioco forza a realtà europee e poi, con l’agenzia, siamo stati tra i primi a fare campagne influencer. Al principio mi venivano richiesti i dati, ma erano relativi a realtà estere e si tratta di mercati differenti da quello italiano, ecco perché abbiamo creato ONIM, l’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing, una struttura che spieghi il fenomeno e che sappia raccogliere numeri, le esperienze e i dati».

Come è stato il 2022 di 40degrees?

«Abbiamo adottato un approccio sempre più data driven, non solo per selezionare creator ma anche per formare la parte creativa. È stato un anno molto buono. Abbiamo sviluppato la metodologia relevance, per avere un’istantanea quanto più completa del creator, analizzando i vari kpi a seconda della campagna. Sono state oltre cento le campagne realizzate nel corso della stagione. È aumentato il numero delle attività di branded content, con podcast, video hero, format simil televisivi, in cui il creator non viene usato solo per i numeri ma anche come protagonista del contenuto, un’evoluzione fondamentale».

I focus del 2023?

«Apriremo una unit per il branded content e poi lavoreremo sempre di più sugli influencer virtuali in progetti dove il format è in primo piano, valorizzando il prodotto ma anche l’interesse degli utenti».