Outcome: mira a 1,6 milioni di euro nel 2025, pari al +25%, grazie a un advisoring innovativo basato su visione strategica, proattività e forte conoscenza del mercato locale
Il CEO Attilio Redivo, Partner con il COO Marco De Paoli, e Beatrice Torre, CMO and Head of digital, spiegano le caratteristiche e i plus della società di consulenza che continua a crescere

Attilio Redivo e Beatrice Torre
Nel panorama delle società di consulenza e advisoring che operano nel nostro mercato sta consolidando un’immagine sempre più distinitiva Outcome, di cui sono Managing Partner e CEO Attilio Redivo e Managing Partner e COO Marco De Paoli. Outcome è nata nel 2014, con l’obiettivo di diventare un punto di riferimento per le aziende che vogliano ottimizzare i loro investimenti in comunicazione. Oggi è una realtà che conta in Italia 14 talenti e a livello internazionale una rete di partner attivi in tutti i Paesi più rilevanti in ambito di comunicazione, dal Nord America all’Australia. Per il 2025 sta proiettando un giro d’affari in crescita del 23% rispetto al 2024 per un valore complessivo superiore a 1,6 milioni di euro.
Abbiamo chiesto a Redivo e a Beatrice Torre, CMO and Head of digital, di spiegarci i motivi di questo positivo riscontro da parte del mercato.
«E’ il risultato di alcune nostre caratteristiche distintive, la prima delle quali è la profonda esperienza media del nostro team, persone che hanno costruito il loro know-how sul campo, in agenzia come in concessionaria, come si dice mettendo le mani in pasta e maturando una conoscenza diretta di tutte le attività coprendo tutti i ruoli, da planner ad amministratore delegato. Questo ci porta a mettere la nostra intelligenza - in questo caso assolutamente non artificiale - nel lavoro che facciamo e integrare in modo estremamente utile i nostri ricchi data base: in un mercato come quello del media in cui i cambiamenti sono quotidiani, anche banalmente attraverso il solo cambio di nome di una determinata offerta, la capacità di valutare correttamente il prezzo di un determinato spazio solo apparentemente diverso da un altro, è cruciale per consentire alle aziende di operare scelte documentate».
Il media audit è un potente strumento strategico ma, spesso, non viene utilizzato in maniera corretta. Qual è la vostra opinione?
«La nostra risposta è insita nella nostra visione strategica: Un basso prezzo di acquisto degli spazi non è un indicatore sufficiente per il successo di una attività media ma va assolutamente associato ad altri fattori. Outcome ha sviluppato una metodologia di media audit che parte dai dati Nielsen, viene integrata dal nostro benchmarking pool e da ulteriori aggiustamenti - qualitativi e strategici - che comportano normalizzazioni volte a valutare nella maniera più completa se quanto acquistato sia stato realmente in linea con gli obiettivi dell’azienda. Così facendo andiamo a sfatare il mito dei benchmark di costo meramente legati al pool o ai settori che, al loro interno, sono molto eterogenei. Basti pensare al settore finanziario dove la stessa azienda può avere contemporaneamente campagne per la vendita di mutui, per ampliare il numero di clienti, rivolte a piccoli investitori, clienti private e anche campagne istituzionali. Considerare tutto sotto un’unica etichetta può essere fuorviante, superficiale e non consente di cogliere tutte le dinamiche. ll nostro approccio al media audit consente di valutare tutte le attività in modo più completo, approfondito e personalizzato e di offrire alle aziende delle evidenze chiare e immediatamente azionabili».
Il mercato chiede però oggi di essere proattivi.
«Un altro plus che ci caratterizza è la tempestività delle raccomandazioni: la nostra competenza e la conoscenza approfondita delle dinamiche di mercato ci consentono di non limitarci a certificare l’efficienza di un’attività passata, ma di aiutare le aziende in prospettiva, fornendo una valutazione apriori di proposte di pianificazione e relativi costi per arrivare a scelte di pianificazione e acquisto consapevoli e basate su solide evidenze numeriche: in questo modo si accorcia il timing della valutazione e l’impatto positivo sul business è immediato».
Spesso venite guardati come “cani da guardia” delle aziende rispetto alle agenzie...
«Noi invece facciamo dell’ottimizzazione dei processi di lavoro con le agenzie un nostro focus; le agenzie media non sono onlus, sono aziende che lavorano per generare profitto, ma demonizzarle per questo è sterile oltre che ingiusto. Noi crediamo che sia importante che ci sia una comprensione reciproca fra azienda e agenzia dei rispettivi modelli di business per trovare una soluzione di cooperazione che porti vantaggi a entrambe le parti. Non dovrebbe essere cosi difficile, anche se in realtà spesso è molto complicato. Noi crediamo che, si tratti di un processo di gara o di una rinegoziazione contrattuale, occorre bilanciare gli immancabili obiettivi di saving con un elevato livello di attenzione sul servizio e sui processi di lavoro che consentano all’azienda di ottenere il massimo anche sul numeratore dell’equazione del ROI».
Non siete penalizzati dall’essere solo italiani?
«Per buona parte dei nostri clienti in realtà operiamo a livello internazionale attraverso un network di partner fornendo consulenza in oltre 30 Paesi nel mondo. Ma, data la struttura non globalizzata dei media, questo non può avvenire da un unico punto di vista: per noi Milano, ma per altri magari Londra. Normative, regolamenti, struttura dei media, pratiche commerciali, culture sono tutti elementi che rendono il media disciplina ancora molto locale. Serve avere una conoscenza delle tipicità locali molto forte. Perciò, in questi anni, abbiamo costruito relazioni forti con aziende che condividono con noi la filosofia e l’approccio e ci consentono di offrire un servizio dello stesso elevato standard dovunque sia necessario. In questo modo i nostri clienti sono certi di ottenere una visione puntuale e precisa di quanto accade in ogni singolo Paese in cui operano pur nell’ambito di in un framework condiviso e coerente».
Oggi si ha l’impressione che i processi di media pitch vengono avviati tendenzialmente per obiettivi di saving sperati. E’ davvero così?
«La nostra impostazione passa attraverso una gestione strategica di processi di media pitch. C’è un tema alto e strategico: limitarsi alla valutazione del costo è inefficiente. Il nostro point of different: ci assicuriamo che ci sia ottimizzazione di costi a fronte di strategie solide per gli obiettivi aziendali. Utilizziamo template e format consolidati nel tempo, coerenti con gli standard dei nostri partner internazionali, per garantire efficienza, coerenza e completezza in ogni fase. Il nostro approccio unisce struttura e adattabilità: dalla media strategy alla ricerca, dal digitale alla creatività».
Da chi altri è formato il vostro team?
«Oltre a De Paolo e noi due, ci sono: Alessandro Oldani - revisore dei conti – CFO, Massimo Pinca - Commercial Director, Marco Borsatti - Head of Offline Media, Elena Saltarelli - Deputy Head of Digital, Camilla Rota - Senior Advisor - Cross Media, Vivian Blasa - Senior Advisor- Offline Media and Product Development , Martina Ubbiali -Senior Advisor – International, Giulia Zauli - Advisor - Cross Media , Simone Memé - Advisor - Digital and Research and Semiotics , Francesca Uberti - Digital Advisor, Media Auditing and Accountability e Matteo Ricci - Advisor - Digital and AI and Data Expert. Ma poichè abbiamo consolidato oltre 60 clienti, sono in arrivo altri talenti».