Autore: Davide Sechi
14/10/2024

Musica applicata: regole e segreti per emozionare l’industry della comunicazione

Una disciplina specifica diventa uno dei fiori all’occhiello della Saint Louis College of Music, istituto che apre una sede anche a Milano. Ne parliamo con Silvio Relandini, responsabile del triennio accademico e biennio di specializzazione in composizione di musica applicata

Musica applicata: regole e segreti per emozionare l’industry della comunicazione

Silvio Relandini

L’industria della comunicazione, così come quella dell’intrattenimento, manifestano ogni giorno di più l’esigenza di un supporto artistico e compositivo che si traduca nella produzione di musiche ad hoc ad esempio per uno spot, una sigla, un jingle pubblicitario o un’installazione; in questi casi, il linguaggio musicale si pone al servizio di un media, di un prodotto, di una performance o di un brand, per suscitare emozioni nell’utente, per accompagnare la sceneggiatura, per sottolineare una situazione o un’azione. Per poter lavorare in un simile ambito, è richiesto il conseguimento del diploma accademico di primo livello in composizione e musica applicata, per acquisire, oltre alle classiche abilità di composizione, competenze di informatica, sound design, elettronica e fonia virtuale. Tra gli istituti abilitati all’insegnamento di tale disciplina vi è il Saint Louis College of Music che ha portato per la prima volta a Milano l’insegnamento della musica applicata, inizialmente insegnata solo presso la sede romana. Approfondiamo il tema con Silvio Relandini, responsabile del triennio accademico e biennio di specializzazione in composizione di musica applicata (ospite di DailyOnAir - The Sound Of Adv).

Come si è evoluto il mercato della musica in ambito marketing & comunicazione adv?

«La musica applicata a questo genere è cambiata insieme al mezzo stesso, tv, radio e poi internet. La comunicazione ha accorciato i tempi del prodotto. Negli anni 90 le pubblicità erano più lunghe, una gestione differente, oggi sono più brevi e così anche la musica che le accompagna risolve la necessità di essere incisiva subito».

Il settore ha scritto regole precise o si muove secondo le tendenze correnti?

«Le regole ci sono, si evolvono in modo parallelo con i mezzi e dipendono dall’obiettivo della comunicazione, che viene impostata magari per darci uno spot del target preciso; trovato questo, la musica deve entrare immediatamente con il suono giusto, magari anche disvelando con la sola forza delle note un messaggio apparentemente celato. Sia come sia, occorre capire quale sia il suono  per un target preciso, affinché si possa creare una transizione, con la musica che entra con un certo climax e raggiunge l’obiettivo in un determinato tempo»

Quanto incide l’intelligenza artificiale nella formazione ma anche sullo stesso mercato? I professionisti potrebbero vedere la loro competenza messa in dubbio di fronte alla tecnologia di nuova generazione?

«È indubbio che l’AI stia creando apprensione nel mondo professionale, perché si muove veramente in maniera veloce. Oggi, utilizziamo l’intelligenza artificiale in forma generativa, il che tecnicamente può portare alla sostituzione dell’operato umano; poi c’è l’AI legata agli strumenti con i quali lavoriamo, che ci aiuta a rimuovere rumori, a esaltare caratteristiche timbriche. Di fatto, sono soluzioni che adoperiamo da decenni. È ovvio che avere come competitor l’intelligenza artificiale, che crea parti melodiche e armoniche può spaventare, ma siamo fiduciosi, considerato un mondo legislativo molto attento sul tema; certo è che se la soluzione AI costa meno rispetto all’attività umana è ovvio che si crei un pericoloso sbilanciamento… Ma rimaniamo al 2024, anno in cui l’AI non può ancora sostituire l’intelligenza umana, a sua volta pronta a sfruttare le soluzioni innovative a proprio vantaggio. La qualità vince sempre. Ricordiamo quando arrivò il protocollo Midi, si diceva che avrebbe sostituito i musicisti, ma dopo 40 anni abbiamo il Midi e ci sono ancora i musicisti».

Quarant’anni fa, uno dei più importanti compositori del ventesimo secolo, Frank Zappa, decise che i turnisti che assoldava erano troppo dispendiosi e non rendevano pienamente giustizia agli spartiti; li mise alla porta e li  sostituì con il Synclavier. Velocità, comodità, certo, ma c’è anche il rischio di un suono omologato?

«Tocca sempre a noi: possiamo far scaturire dalle macchine inedite forme di arte, possiamo cambiare i colori come quando passammo dalla scrittura musicale su carta a quella attraverso il computer. La macchina può fungere da aiuto e anche da spunto verso nuovi territori non solo tecnologici ma anche artistici».

Lo sbarco a Milano dell’istituto ha un significato preciso? O nasce semplicemente per allargare il bacino d’utenza? A che punto è il livello di formazione nazionale rispetto i modelli esteri?

«Aprire a Milano può essere visto come un rischio, anche perché oggi la musica applicata funziona molto nel gaming per fare un esempio, un ambito che furoreggia soprattutto nel centro Italia, ma c’è molto altro: teatro, istallazioni, moda, e Milano cerca sempre nuove forme di comunicazione nell’arte. Inoltre, nel capoluogo lombardo non sono presenti istituti che offrano lo studio della musica applicata, la quale sposa l’unione tra due forme di comunicazione ed è di fatto nata in Italia, nel 1600 con la lirica; per tutto questo, siamo riconosciuti per le nostre capacità di gestione musicale e tecnologica, siamo visti come eccellenza, senza nulla togliere al nord Europa e agli Stati Uniti. Da noi, la musica applicata è arrivata un po’ in ritardo ma poi ha fatto sentire il proprio peso; abbiamo la flessibilità di adattamento, cosa che non avviene in settori fortemente industrializzati, che infatti vivono di cliché. L’Italia è un Paese molto creativo che si sa adattare, che propone sempre qualcosa di nuovo»

Quanto pesa la musica al giorno d’oggi?

«In Italia non abbiamo eguali sul fronte delle istituzioni musicali, tra conservatori e centri di formazione. La musica conta molto, ma occorre insegnare come approcciare con l’arte il mondo industriale: bisogna essere veloci e competenti. I ragazzi lavorano sul fronte dell’adv, dei film, della radiofonia e della comunicazione industriale (nel comunicare un nuovo prodotto ai partner che lo devono finanziare, c’è bisogno di un suono appropriato). E poi c’è la distinzione tra materiale originale e la library cui poter attingere; gli stessi compositori creano le library e da quelle partono per costruire un’architettura sonora che, secondo le indicazioni dell’industria, sia capace di colpire immediatamente, di suscitare emozioni nello spettatore. Ritorniamo al punto di partenza, l’elemento umano: il compositore rimane una figura fondamentale».