Mobile World Congress day 2: nuovi stimoli sul rapporto tra dati, tecnologia e creatività
Al Mobile World Congress Iab e Dmexco e varie aziende per una best practice che unisca tecnologia e creatività. Location e linee guida sul corretto utilizzo dati
Dall’inviato a Barcellona - Francesco Lattanzio
Al Mobile World Congress, Iab e Dmexco coinvolgono le aziende per riflettere sul rapporto tra dati, tecnologia e creatività
Da P&G, Google, Facebook, Red Bull, Accuen e The Trade Desk testimonianze, best practice e spunti per costruire una strategia che combini gli elementi della catena pubblicitaria in modo efficace e significativo
“La tecnologia non è più una barriera, assicuratevi di spingere sulla creatività”. Randall Rothenberg, presidente e ceo di Iab, apre così la sessione di panel organizzata da Iab e Dmexco al Mobile World Congress di Barcellona.
I motori sono caldi, e se nel MMX della giornata introduttiva il tema era il “dato” e la sua analisi, nella seconda si è parlato molto della sua applicazione in senso strategico e creativo.
P&G, tecnologia e creatività: due pezzi di un puzzle
Dopo gli onori di casa di Rothenberg, Christian Muche, co-founder di dmexco e Paul-Henri Ferrand, vice-president e sales & operation US di Google (main sponsor della sessione), è Sophie Blum, vice president of marketing Europe & IMEA e manager dell’Israel house of innovation di P&G, a rompere il ghiaccio. “Il mobile non è più un device ma un lifestyle shift”, commenta. Il dispositivo trasforma ogni persona, in qualunque momento, in un pontenziale shopper e in un influencer. È un regalo del digital, che offre ai marketer un nuovo set di possibilità per spingere in là i confini della pubblicità e della vendita. Agli elementi “classici” del desktop, si sono aggiunte opportunità come informazioni geografiche, comparazione tra prodotti diversi (anche all’interno dei negozi fisici) e reviews immediate.
Ma come si abbina la scienza (tecnologica e non) con l’arte? P&G ha una filosofia particolare, fa leva sulle emozioni, e Blum parla alla folla utilizzando il veicolo migliore per spiegarle: gli esempi. Mostra subito una nuova feature per mobile, che attraverso una app inquadra il volto dell’utente e gli pone domande sulla routine e le sue abitudini. A seconda delle rispose restituisce un’immagine del volto a 10 anni di distanza, proponendo poi dei consigli per la cura della propria pelle (e non solo). L’utente diventa il centro della tecnologia applicata alla creatività.
Un impegno ribadito dalla campagna per il brand di assorbenti “Always”, che ha interrogato ragazze adolescenti sulle emoji presenti nei social. Nessuna di loro si è sentita rappresentata, perchè tutte le attività, dagli sport ai lavori, erano svolte da figure maschili. Il brand si è riproposto da dare potere alle donne, e di abbattere gli stereotipi, sviluppando le emoji richieste dalle ragazze.
“Abbiamo mantenuto lo stesso modo di capire i consumatori, anche applicando la tecnologia alla creatività. Ci sono voluti diversi incontri interni per assicurarci il mantenimento dell’engagement e della cooperazione proveniente dalla nostra community. Sono loro stessi infatti che ci consegnano gli insight”, spiega Blum.
“P&G insegna che le donne devono essere abilitate a fare tutto, e ha investito un set di prodotti col ruolo di ambasciatori di questa idea, aiutati da una forte comunicazione”, dice Rothenberg a margine dell’intervento.
Red Bull, i dati possono essere i protagonisti della creatività
“Be a global – tech – media – marketing brand”. È questa la mission che si tramanda negli uffici di uno dei brand più creativi del mondo: Red Bull. Un progetto difficile da raggiungere, tantomeno da mantenere con successo, ma l’ecosistema della bibita che “ti mette le ali” sembra solido ed efficace. Andreas Gall, cto di Red Bull, però non è venuto a Barcellona per parlare di branding e delle sue declinazioni, ma della combinazione tra innovazione e creatività.
“I nativi digitali sono iper connessi e collaborativi, hanno un approccio visual-first e prediligono i video ai contenuti testuali. Ma hanno una scarsa soglia dell’attenzione, inferiore agli 8 secondi. Per coinvolgerli è necessario far leva sull’experience. Ancora meglio se immersiva”, spiega. Per riuscire a coinvolgerli però, non basta una buona idea.
Nell’ideazione delle esperienze “tutto parte, sempre, da un’idea. Senza dati a supporto, però, diventa improduttiva. Una volta abbiamo attaccato una telecamera sulla schiena di un falco, e poi l’abbiamo liberato sulle Alpi. Il team era commosso dalla bellezza delle immagini, e quindi ha chiamato il capo per raccontare il successo dell’esperimento. Lui ha subito chiesto: dove ha volato di preciso? A che altezza? A che velocità? Non era stato misurato niente di tutto questo, e il volo del falco si è rivelato inutile”, racconta. Il succo della faccenda è che “senza informazioni e contesto, non importa la bellezza delle immagini”. Gli spettatori, o gli utenti, devono potersi immedesimare, e non possono farlo senza alcuni dettagli fondamentali.
“Abbiamo investito molto nei nostri asset tecnologici, stiamo sviluppando parecchi modi per far vivere ai nostri consumatori le emozioni di veri e propri atleti. Lavorando con molti sportivi, anche di attività estreme, abbiamo cercato, attraverso attrezzature con elementi tecnologici, di estrarre i dati per migliorare le loro attività e indirizzare i loro allenamenti, e abbiamo scoperto che la precisione delle informazioni che otteniamo possono servire per riprodurre queste emozioni e sensazioni in contesti dove l’utente può immergersi. E quindi riviverle. Ad esempio, stiamo lavorando alla possibilità di calare gli utenti nella condizione mentale di un calciatore durante una partita”, spiega Gall. In questo modo, i dati diventano abilitanti verso un tipo di storytelling particolarmente immersivo e sensoriale.
Ma i dati possono diventare anche i protagonisti della creatività, il centro dello storytelling. Questo è il caso del video in cui il surfer professionista Jamie O’Brien, cavalca un’onda saltando da una tavola all’altra. L’impresa in sè e per sè è titanica, ma è accentuata dalle continue specifiche che ne evidenziano la difficoltà. I parametri biometrici misurati dalle tecnologie che ha addosso sono necessari per la produzione di una creatività del genere, ma “uno strumento di Adobe è capace di raccogliere parametri simili dai consumatori e metterli a disposizione dei marketer”, dice ancora Gall. Questo significa riuscire a interpretare le emozioni di chi viene a contatto con contenuti e ads. “Lo smartphone è lo strumento con cui raccogliere queste informazioni”, e l’artificial intelligence e la strong intelligence “saranno il next big step”.
Torna sul palco Rothenberg per il takeaway, e questa volta dice: “I dati possono essere essi stessi parte della storia”.
Google: il machine learning sarà indispensabile per i marketer
Lo storico gioco “Breakout” ha trovato una nuova vita. Adesso che è possibile contare i capelli sulla testa dei protagonisti degli ultimi titoli per le consolle di Nintendo e Sony, la vecchia pallina che distrugge i mattoni è usata per educare i sistemi di intelligenza artificiale. Dopo 4 partite raggiungono già un buon livello, dopo un centinaio sono alla pari del miglior giocatore del mondo. “Il machine learning è capace di imparare e svolgere le funzioni semplici meglio di chiunque al mondo -, spiega Ferrand, il vice president di Google - . Sta avendo un profondo impatto nella trasformazione del marketing, e aiuta a risparmiare tempo e denaro”. L’analisi manuale del comportamento degli utenti, della massimizzazione degli investimenti e della giusta azione da svolgere saranno supportate da una macchina capace di migliorarsi volta per volta, decisione dopo decisione.
“Il demand marketing process, ora, è composto, in sequenza, dall’individuazione degli obiettivi, poi dei segmenti, dall’analisi degli insight e da quella del target, dallo studio della reach, dalla personalizzazione, dalla conversione e poi dalle misurazioni post campagna. L’AI trasforma tutto questo nell’inserimento degli obiettivi chiave per il business e dell’audience qualificata, per poi ricevere direttamente gli outcome, dopo un processo automatico composto da Multi Touch Attribution e decision making process”, dice Ferrand.
In altre parole, l’automatizzazione rende il marketing più smart, e permette un focus sui business outcome, sulla conoscenza dell’audience e sull’efficienza. Ad oggi, sullo studio dei dati si investe molto tempo e non è più possibile fare i match a mano. Inoltre è anche molto difficile interpretare il funnel che porta alla conversione. “Il machine learning risolve queste pratiche, e riesce a capire anche quanto vale effettivamente un’impression. Un asset molto utile anche a livello di bidding”. “Lo studio delle audience diventa poi molto più rapido, e include il rapporto tra demographics e physiographics”, commenta. “E’ un supporto persino per trovare il giusto cpa, fugando i dubbi che spesso esprimono i marketer”.
“Il machine learning è una tecnologia che impara quello che vuoi, lo fa meglio di chiunque altro e non smette mai di apprendere. È stato reso possibile dalla potenza computazionale che hanno raggiunto i computer contemporanei, dai dati che ora siamo in grado di raccogliere e dal deep neural network. Quest’ultimo è un percorso neuronale artificiale molto sviluppato, che non è solo in grado di riconoscere e imparare cose, ma anche di crearle”, spiega ancora Ferrand.
Location, chiodo fisso per i marketer. Ma molti utilizzano i dati nel modo sbagliato
Iliccio Elia, head of mobile di DigitasLBi, e Michael Weaver, vp product strategy di MediaMath, descrivono sul palco del Mobile World Congress gli errori frequenti e i requisiti necessari per avere successo utilizzando le informazioni geografiche sull’utenza
Associare la rilevazione della posizione geografica di un utente alla domanda “dove si trova?” è estremamente riduttivo. Anzi, significa non aver compreso le potenzialità di un dato del genere. L’abilità di rilevare un’informazione di questo genere offre ai marketer la possibilità di rispondere a interrogativi altrettanto utili, come “dov’è stato in passato?”, “dove va abitualmente?” e “le mie azioni pubblicitarie hanno prodotto effetti concreti?”. Partendo da questo punto, Iliccio Elia, head of mobile di DigitasLBi, e Michael Weaver, vp product strategy di MediaMath, hanno gettato sul tavolo del Mobile World Congress alcuni stimoli per sfruttare un dato importante, strettamente legato agli smartphone e in piena ascesa.
“La location sta diventando un chiodo fisso per i marketer”, spiega Weaver, “è sicuramente un’informazione importante, ma è solo uno dei canali per capire con chi parli, cosa dirgli e perchè”, fa eco Elia. Il lato supply, infatti, “offre diversi formati agli inserzionisti ma questi devono essere bravi a capire quale scegliere”, continua il vice president di MediaMath. “Bisogna interpretare la mentalità con cui i consumatori approcciano i format, e per farlo occorrono ricerche e indagini sui segnali multipli. L’analisi è una delle chiavi che manca a molti advertiser”, risponde il manager di DigitasLBi.
Inoltre, “bisogna avere chiaro il proprio piano”, perchè senza una strategia definita, “si rischia di inondare gli utenti di ads. Erogare 1 milione di ads senza una linea guida netta è peggio di erogarne 100.000 con una direzione precisa. Il risultato è differente: consiste in un CTR più alto e in un servizio migliore agli advertiser”, afferma ancora Elia. In un ecosistema che richiede l’omnicanalità, il mobile rappresenta il primo touchpoint. Il consiglio per sfruttarlo al meglio è “ascoltare di più. Bisogna tendere le orecchie per molto tempo ed essere pazienti, collezionare una mole di dati importanti. Solo in quel momento è possibile dire qual è il momento giusto e la cosa giusta da dire”, conclude Elia.