L’algoritmo di Facebook e le lacrime di coccodrillo
Il ceo di Sensemakers, Fabrizio Angelini, facendo ricorso ai dati del Reuters Institute, fornisce la sua visione sul recente annuncio di Facebook, in base a cui il social privilegerà post di amici e parenti sul News Feed
a cura di Fabrizio Angelini
In questi giorni sono numerosi i commenti alla decisione di Facebook di cambiare l’algoritmo alla base del News Feed privilegiando post di amici e famigliari rispetto a quelli di giornali e aziende. Le reazioni sono generalmente critiche ma, a mio avviso, la scelta di Facebook è assolutamente allineata all’evoluzione delle dinamiche di fruizione di internet ormai chiare da mesi e i media (soprattutto le grandi testate giornalistiche) dovrebbero semmai censurare la miopia delle proprie scelte strategiche degli ultimi anni. Nel cercare di dare un contributo alla discussione farò ampio ricorso alla ricerca pubblicata la scorsa settimana del Reuters Institute.
In un mondo di saturazione delle reach la competizione si sposta su tempo speso, loyalty e attenzione
L’integrazione nel News Feed di fonti giornalistiche nasceva dall’esigenza di estendere quanto più possibile le proprie audience. Tale obiettivo è ormai raggiunto: la reach di Facebook è elevata ma stabile in diversi paesi mentre quella del settore News/information e ancora più elevata e vicina al punto di saturazione (in Italia si attesta al 90%). In termini di comportamenti di consumo il tempo speso sui social network (un minuto su quattro oggi in Italia) è di gran lunga superiore a quello impiegato sui siti della categoria News/Information (2,5% del totale). Il post di Zuckerberg si apre con la seguente dichiarazione “Nel 2018 vogliamo assicurarci che il tempo che trascorriamo tutti su Facebook sia tempo ben speso”: nei panni di Facebook - probabilmente - il contributo fornito dalla fruizione di news non è così rilevante rispetto ai problemi che comporta (responsabilità editoriale della piattaforma, etc). Quello che stupisce, tuttavia, è la perseveranza con cui i grandi giornali hanno utilizzato Facebook come canale di distribuzione anche a fronte di forti evidenze sull’effetto di disintermediazione e sulle difficoltà di fidelizzazione dei propri lettori. Sempre secondo il Reuters Institute il 53% dei lettori non è in grado di ricordare il brand editoriale che ha prodotto il contenuto quando questo è stato intercettato sui social media.
La dipendenza dalle piattaforme è considerata il più alto rischio dagli editori
I top manager delle realtà editoriali intervistati dal Reuters Institute hanno individuato nella dipendenza dalle piattaforme dei giganti del web il più alto rischio per il loro successo nel 2018, considerando la relazione con Facebook come la più rischiosa in assoluto. Tale giudizio appare come abbastanza scontato considerato il modello di business di Facebook orientato alla massimizzazione del tempo speso sulle proprie properties a fronte di quello di Google che è ancora incentrato sull’open web.
La gestione dei dati e la capacità di profilazione rappresentano gli asset più importanti per gli editori
Dalla ricerca del Reuters Institute emerge come i miglioramenti nella gestione dei dati e nelle capacità di profilazione siano considerate come le iniziative strategicamente più importanti per il 2018. Tale orientamento appare assolutamente allineato all’indicazione delle fonti di ricavo ritenute più rilevanti nel futuro all’interno delle quali spiccano i ricavi da abbonamento mentre la produzione di branded content e altre forme di ricavi legate alla capacità di profilazione (membership, donazioni) acquistano progressivamente maggior peso rispetto alla pubblicità. I ricavi generati da quest’ultima saranno, infatti, sotto pressione a causa del duopolio nella raccolta e di nuove iniziative che renderanno la competizione ancora più dura (Adblocking/ Coalition for better Ads; GDPR). Dal punto di vista di Facebook il maggior livello di interazione nella cerchia di famigliari e amici dovrebbe ulteriormente potenziare la capacità di profilazione comportamentale e psicografica e - anche questa – appare come una scelta assolutamente coerente da parte del social. Un po’ meno coerente sembra invece quella assunta dagli editori italiani che riconoscono a Facebook un ruolo determinante nella certificazione dei propri dati sociodemografici e nella valutazione dell’efficacia delle proprie campagne in termini di targeting, aumentando la loro dipendenza dalla piattaforma.