Lead Generation e performance marketing: la visione di Wave Leads tra digital e fattore umano
La struttura, parte della madtech company Underdogs Group, a due anni dalla nascita punta al milione di fatturato entro l’anno e si racconta attraverso le parole del suo founder Mattia Boldrin
Mattia Boldrin
Lead Generation, ossia “bussare alla porta” di possibili clienti con sottobraccio un bel dépliant di soluzioni attraverso le quali costruire una base di interesse; da lì allo step successivo, creare performance efficaci e misurabili, il passo si è fatto breve grazie soprattutto alla costante evoluzione tecnologica. Sul pianeta lead e performance è atterrata circa due anni fa Wave Leads (https://waveleads.it/), struttura dedicata e parte della madtech company Underdogs Group, che ha chiuso il primo semestre del 2024 con un segno estremamente positivo: la realtà basata a Milano veleggia infatti verso risultati incoraggianti e punta al milione di fatturato entro la fine del 2024, con una crescita del 55% rispetto ai numeri fatti registrare nel 2023. Nata come attività di lead generation per clienti dotati di call center, oggi Wave Leads vede come core business la raccolta e la sollecitazione di lead per le aziende clienti (il punto forte è l’operare in white label). L’azienda non è attiva solo in Italia, ma vanta clienti anche nei principali Paesi europei e in America Latina. A raccontare gli sviluppi e i prossimi step della giovane struttura è il suo fondatore Mattia Boldrin (ospite di DailyOnAir - The Sound Of Adv).
Wave Leads: da quali presupposti nasce e con quali obiettivi primari?
«Siamo partiti con un focus ben preciso, quella della lead generation, e da lì ci siamo attivati in questo primo biennio».
Come operate Wave Leads e quali sono le ricette principali per performare nel settore?
«Non esiste una vera e propria ricetta, anche perché sono sempre fondamentali le componenti psicologiche e di analisi; e allora, diventa determinante comprendere meglio il prodotto che si vuole sponsorizzare, per poi utilizzare le leve giuste che invoglino le persone a connettersi. Non stiamo bypassando l’aspetto tecnologico, le possibilità offerte dall’automazione, la quale aiuta tanto dal punto di vista dei flussi. Utilizziamo molto i tool che ci permettono una facilitazione operativa prima impensabile. In sintesi, ribadisco che non c’è una regola vera, ma ci sono degli elementi che occorre rispettare. La componente digitale è decisiva ma il fattore umana non arretra di certo. Partiti da settori di nicchia, siamo cresciuti, abbiamo radicato il nostro primo posizionamento e ora abbiamo iniziato ad allargare interessi e prospettive».
Lavorate anche fuori dall’Italia: quali sono le differenze tra la nostra realtà e quella internazionale?
Ci stiamo concentrando sui mercati di lingua spagnola, ma puntiamo anche su territori ormai fertili della Germania e dell’Inghilterra. Non esistono differenze così delineate tra i Paesi, piuttosto piccole caratteristiche che possono fare la differenza, ecco perché occorre capire dove ci si muova e quale sia la situazione del singolo mercato, con elementi differenzianti esistenti anche all’interno di uno stesso Paese».
Quali sono i prossimi passi, cosa vi siete prefissi a breve e a lungo termine?
«Puntiamo a espandere il team, siamo già passati da cinque a dieci persone, e per farlo occorre costruire flussi lavorativi che permettano di operare in maniera naturale ed efficace. Poi, occhio di riguardo al fatturato, al margine. Le prospettive italiane sono buone, soprattutto perché il nostro approccio attrae molto clienti, oltre a non essere ancora utilizzato; veniamo da una scuola classica di marketing in cui la brand awareness viene sempre prima di tutto, mentre noi preferiamo una strategia no-brand che ci aiuta diversificare i budget marketing».