L’altra faccia del business, tutte le good thing di un’accademia dedicata
Tutto pronto per The Good Business Academy: il progetto trasformativo nato quest’anno raccontato dal coordinatore didattico Claudio Avella
Claudio Avella
Non si fa altro che parlare di sostenibilità, un vero e proprio trend. Si sa come vanno le cose con le tendenze che, in quanto tali, vengono sempre viste con un occhio di riguardo mentre l’altro è sospettoso e spesso prende il sopravvento. Però siamo di fronte, oggi più che mai, a una svolta, o almeno a un possibile cambio di rotta, ossia fare business che possa creare beneficio per tutti, per tutto l’ecosistema (come si suol dire). Basta volerlo? No. Serve una guida? Sì, soprattutto per non perdersi e per non smarrire concentrazione e far decadere i propositi, quelli buoni. Nasce così, in questo controverso 2022, The Good Business Academy (https://thegoodbusinessacademy.it/), progetto trasformativo frutto della collaborazione tra il Consorzio Universitario di Economia Industriale e Manageriale (CUEIM), un network di 27 università, e le imprese for good più evolute, rappresentate dalle B Corp Nativa e InVento Lab. Al suo interno ci sono manager, imprenditori e consulenti di alto livello che vogliono cambiare un paradigma, con la consapevolezza sia necessario mutare il modo di insegnare il business nelle università e offrire pratiche manageriali in grado di portare la propria impresa nella direzione di un business che crei beneficio per tutti. Un’academy congiunta, universitaria e aziendale, che si propone di diffondere modelli d’impresa for good, ossia imprese votate all’impatto positivo su tutti gli stakeholder, sulla società e sull’ambiente, in una prospettiva di lungo periodo e attente alle esigenze delle generazioni future. Un progetto che debutta e che si mostrerà ufficialmente con un webinar, mercoledì 19 ottobre. Claudia Avella, coordinatore didattico del progetto, attivo in progettazione, sviluppo e project management, valutazione degli impatti in campo imprenditoriale e ambientale e nell’attività di formazione innovativa in modalità blended (e protagonista della puntata di DailyOnAir presente su questo numero) ci spiega perché stavolta si andrà oltre le utopie.
Da cosa nasce l’idea?
“Dall’esigenza di dar vita a qualcosa di nuovo, in grado di guidare la trasformazione e la formazione delle imprese. Un percorso di trasformazione sia personale sia aziendale che inevitabilmente richiederà, a chi si iscriverà, uno spirito critico molto forte, un’attitudine all’indipendenza di pensiero e la capacità di andare oltre l’as is - lo stato di fatto delle cose. Tecnicamente, l’accademia sorge sulle basi di Invento Lab e Nativa, e parla la lingua della sostenibilità, della rigenerazione, delle modalità di fare good business. È un cambio di prospettiva, ossia facciamo impresa ma non focalizzandoci solo sul profitto ma anche sulla generazione e la soddisfazione dei bisogni, nel rispetto degli equilibri eco sociali».
Come e dove si svolgeranno i corsi?
«Sia in presenza sia online, attraverso quattro moduli: il primo metterà in evidenza i perché, i motivi; con il secondo si entrerà nella fase accademica, così da offrire un inquadramento teorico e capire come sia cambiato il mondo dell’economia; sul terzo verranno esplorati gli strumenti per cambiare i modelli di business, intervenendo su tutti gli aspetti della vita dell’impresa, con analisi delle varie fasi e del loro possibile miglioramento in chiave positiva; il quarto passaggio sarà appannaggio dell’approfondimento del piano di trasformazione ».
Quali settori sembrano essere maggiormente interessati a una virata sostenibile?
«Ce n’è per tutti i gusti, siamo di fronte a un panorama variegato: imprese di tutte le dimensioni, piccole, startup, fino alle multinazionali, che vogliono ripensarsi, rivoluzionare. Perché non basta diventare B Corp, occorre continuare, certificarsi ogni tre anni, così da migliorare il proprio punteggio».
E se fosse solo una questione d’immagine?
«È un problema secondario, viene di conseguenza. O si crede a un processo del genere oppure no. Noi notiamo un cambiamento culturale, ce ne accorgiamo quando entriamo in contatto con le aziende, e le motivazioni diventano sempre più forti. E non è nenache corretto dire che ci si senta costretti, perché in realtà è necessario alla società in quanto tale. L’economia circolare ci offre molte soluzioni».
In Italia siamo indietro oppure avanguardisti?
«Siamo consapevoli, abbiamo il maggior numero di imprese B Corp, il nostro è l’unico Paese in Europa in cui esistono società Benefit, con un inquadramento giuridico che permette di inserire nel proprio statuto obiettivi diversi dal solo fatturato».
Ma abbiamo i mezzi?
«C’è qualche Paese che ovviamente sta molto meglio di noi da questo punto di vista “infrastrutturale”, ma la consapevolezza italiana non ha eguali. È chiaro che un cambiamento culturale occorrano tecnologie e strumenti adeguati, tra algoritmi, applicazioni, tracciamenti».
Quanto tempo ci vorrà perché il cambiamento si realizzi?
«Un cambiamento reale ha bisogno di almeno tre generazioni, ma intanto i giovani di oggi sembrano avere una sintonia profonda con queste tematiche. Ma servono gli adulti per sostenere questo cambio».