Il nuovo numero di Vanity Fair in edicola oggi è dedicato all’inclusività
Con Serena Williams, Lupita Nyong’o e gli italiani di seconda generazione il settimanale di Condé Nast dice basta a ogni forma di razzismo
Simboli, volti, voci, esempi. Un intero numero di Vanity Fair per dire basta a ogni forma di razzismo. “È ora di tornare a ‘essere umani’”, scrive Simone Marchetti, direttore del settimanale di Condé Nast, nell’editoriale che introduce le tante storie dedicate all’inclusione in edicola proprio alla vigilia del 21 marzo, Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale. In copertina, a incorniciare i tanti punti di vista presenti nel numero, una portabandiera dei diritti delle minoranze, la tennista afroamericana Serena Williams. Insieme a Williams, come in un flusso ininterrotto di ragioni, nessi e vicende legate da un filo invisibile, Lupita Nyong’o, attrice già premio Oscar, autrice di “Sulwe”, un libro autobiografico in cui la protagonista, una bambina “vorrebbe poter schiarire la sua carnagione”.
L’accettazione di se stessi e la modernità di un mondo giovanile che non guarda ai tempi bui ma si proietta in un futuro che al di là degli slogan, è giù multietnico nei fatti, nelle strade e negli ambienti dove le coppie miste sono la regola, ritma il numero di Vanity Fair e restituisce una melodia utile a combattere l’ignoranza e ad allontanare la paura. Parola di ragazzi di diverse nazioni che si amano negli istituti scolastici da nord a sud senza chiedersi il passaporto o di Chadia Rodriguez, la donna più famosa della scena trap nazionale, figlia di genitori marocchini, che dice di non avere mai subito razzismo. Posizione non distante da quella di Raphaela Lukudo, campionessa azzurra di seconda generazione che ai Giochi del Mediterraneo del 2018 ha vinto l’Oro. Vanity Fair lascia spazio anche ai propri editorialisti.
Alle vicende apparentemente minime narrate dal grande scrittore israeliano Eshkol Nevo o alle cristallizzazioni della storia messe in evidenza da Mattia Feltri, autore di un acuto parallelismo tra l’antisemitismo novecentesco e il razzismo di oggi. Per non vedere più segregazioni, guardare con fiducia al futuro e rendere anche plasticamente irrilevanti i confini con l’ambizione di mettere al centro l’uomo e le sue vicende, Vanity Fair prevede anche la traduzione in inglese di alcuni articoli allo scopo di raggiungere il maggior numero possibile di persone. Perché “essere umani” è una formula universale. Si può dire in qualsiasi lingua, lasciando parlare solo quella del cuore e dell’accoglienza.