Advertiser Perceptions: Amazon e Google dominano il mercato delle DSP
Non ci sono buone notizie per gli operatori ad tech indipendenti, minacciati dal consolidamento del settore, dalla tendenza a creare soluzioni in house ma anche dalla scarsa conoscenza del settore
Nuove ricerche, stessi risultati di quelle precedenti, almeno per quanto riguarda la sfera delle DSP, dove Amazon e Google continuano a giganteggiare in termini di quote di mercato. A scattare questa fotografia è l’ultima indagine condotta da Advertiser Perceptions su un campione di 700 buyer equamente suddivisi tra aziende e agenzie, cui Adexchanger ha dedicato un lungo articolo. In particolare Amazon Ad Platform (AAP) totalizza le medesime preferenze di DoubleClick Bid Manager (DBM) di Google al 37% tra le agenzie, ma si afferma come leader tra i brand (44% vs. 35%). E pensare che il gigante ecommerce è entrato nei periodici monitoraggi di Advertiser Perceptions solo l’anno scorso.
Scala & Reach
Il motivo della scalata di Amazon e di Google è abbastanza chiaro, stando a quanto sostiene il ceo di Advertiser Perceptions Kevin Mannion: il fattore decisivo nell’adozione di una DSP è la sua scala e reach ed è quindi facile capire perché le due società hanno una posizione privilegiata. Una condizione in cui si trova Facebook, che però non ha una DSP. In un contesto in cui la connessione con i consumatori è il fattore che comporta il successo degli OTT, le altre DSP stanno tentando di differenziarsi con API migliori e attraverso l’integrazione di soluzioni di misurazione per assicurare la brand safety e la protezione dalle frodi. Un altro elemento favorevole agli OTT come Amazon e Google è la loro riconoscibilità sul mercato.
Scarsa conoscenza del settore
Molti marketer presentano lacune nella conoscenza degli operatori e fanno fatica a inquadrare e categorizzare l’attività di una società rispetto a un’altra. Inoltre gli operatori dell’ad tech sono minacciati dalla sperimentazione se non addirittura dal consolidamento delle soluzioni in-house. Senza contare l’avanzata delle grandi multinazionali della consulenza nel mondo pubblicitario. Su questo fronte il 30% delle aziende intervistate ha detto di aver adottato soluzioni in house, era il 28% l’anno scorso, mentre il 32% ha dichiarato di stare esplorando l’idea, in questo caso una bella diminuzione dal 51% del 2016. La nota positiva del trend è che anche quando i brand decidono di fare da sé, lasciano molte attività in outsourcing ad agenzie e operatori ad tech. E i rivenditori ad tech hanno un impatto positivo anche dalle attività di white labelling delle agenzie, dato che con esse lavorano in background per gli spender.
Leggero calo per il numero delle DSP utilizzate
Tra tutte le DSP, l’unica a non perdere terreno è The Trade Desk, il cui tasso di adozione rimane stabile. Anche il numero di DSP utilizzate dai brand è in calo, seppur leggero, dal 3,1% del 2016 all’attuale 2,9%. Al contrario AAP E DBM hanno incrementato la penetrazione e risultano in cima alla lista dei desideri degli spender pubblicitari. Un segno che gli inserzionisti sono pronti ad aumentare i budget su Amazon e Google, come confermato anche da una recente indagine di ClickZ e Catalyst, anche quando la tendenza è un taglio degli interlocutori. “La gran parte dei marketer ha ancora un posto tra le DSP che non appartengono a un walled garden, o comunque ci lavora senza saperlo tramite un’agenzia”, ha concluso Mannion. “Ma aggiungere un altro Golia non è una buona notizia tra i Davide delle DSP”.