Humans&Data ai blocchi di partenza: nasce il ‘sensemaking’
A fine settembre il debutto ufficiale dell’agenzia fondata da Michael Berger con l’obiettivo di raccontare il meglio delle aziende italiane, tra creatività umana e dati, con le persone di nuovo al centro

Michael Berger
Stanchi delle esagerazioni, dei contenuti esasperati, della platealità bugiarda di parole organizzate per solleticare la pancia, di uno storytelling che si pavoneggia ma che in realtà non racconta niente di costruttivo a livello sociale? C’è ancora spazio per una comunicazione concreta, che abbia obiettivi valoriali oltre ai soliti risultati monetari? Qualcuno potrebbe leggervi un ritorno a vetuste atmosfere tardo hippie, velleitarie e slegate dalla realtà… Poi arriva Michael Berger, trent’anni di esperienza in creatività, strategia e tecnologia, da McCann al Gruppo Fininvest fino ai ruoli di vertice in Ogilvy; un contributo il suo alla business transformation e all’innovazione digitale nazionale, con l’obiettivo di ripensare il modo in cui i brand dialogano con la società e una formazione ibrida che include strategia e marketing, intelligenza artificiale applicata e creatività, unita a una solida esperienza nella costruzione di posizionamenti di marca e campagne performance guidate da dati. Un background che gli ha permesso di seguire da vicino l’evoluzione della comunicazione d’impresa e di identificare un approccio al marketing efficace e attento al contesto, che non si ferma allo storytelling ma si evolve nel ‘sensemaking’, un marketing che va alla sostanza e che condivide con i consumatori il senso della visione aziendale. Da simili presupposti nasce Humans&Data, agenzia pronta al debutto ufficiale previsto per fine settembre, sorta dalla collaborazione con Harley&Dikkinson, fintech leader nel campo della riqualificazione energetica guidata da Alessandro Ponti. Grazie alla sinergia, Humans&Data ha potuto sviluppare un data warehouse proprietario messo a disposizione dei propri clienti per progettare strategie fondate su insight affidabili, aggiornati e rilevanti a livello territoriale. Ne parliamo proprio con Michael Berger.
Cosa è il sensemaking? Cosa lo distingue dall’attuale storytelling?
«Il sensemaking rappresenta il cuore, la volontà di dare un senso alle cose, all’interno di un mondo che appare sottosopra, tra dubbi, timori e visioni apocalittiche. Humans&Data vuole comunicare qualcosa che abbia un vero senso, che non deve essere per forza di cose dirompenti, una realtà in cui tecnologia e uomo appaiono veramente uniti. Qualcuno potrebbe accusarci di utopia, ma di gente che voglia fare le cose in maniera differente, senza esasperazioni, ce n’è eccome. Provo a mettere sul tavolo qualche esempio concreto che ci riguarda direttamente: negli ultimi due anni abbiamo sviluppato un sistema basato sull’AI per migliorare i call center, per evolvere un servizio che si muove attraverso gli operatori, supportati certo dalla tecnologia, ma non sostituiti; l’obiettivo è preservare le relazioni personali. Il ‘senso’ di Humans&Data lo si può rilevare dalla sua stessa struttura: venti persone pronte per il debutto ufficiale previsto per settembre; la parte creativa è guidata da Roberta Rossi (ex direttore creativo di Ogilvy) e Manuela Taverna (giornalista proveniente da Lifegate); accanto, la sezione dedicata ai dati, per i quali abbiamo costruito durante l’ultimo biennio un nostro data warehouse, con numeri che provengono da anni di riqualificazione energetica italiana, dai quale evinciamo elementi importantissimi, sui quali possiamo imbastire ricerche di mercato».
Proviamo allora a sintetizzare il ‘senso’ di Humans&Data…
«Ci rifacciamo ai valori che caratterizzavano l’operato delle agenzie di una volta, per ri-approcciare un mondo che ci è sfuggito di mano, dove i brand hanno un ruolo importante. La nostra è un’agenzia adv e chi ci contatta lo fa perché crede nei nostri valori, ossia nel fare qualcosa di positivo per la società. Un altro esempio accorre in aiuto: da anni parliamo di ambiente, di sostenibilità, di ESG, la famosa triade composta da environmental, social e governance; peccato esserci dimenticati progressivamente dell’aspetto sociale. Quello che vogliamo fare è mettere di nuovo al centro le persone, schiacciate sempre più da numeri, risultati, traguardi. Humans&Data si muove soprattutto in ottica B2B, la cui comunicazione è stata fino a ora un po’ troppo neutra. A breve, rilasceremo una ricerca su quello che le persone chiedono al mercato, ai brand, alle sigle, all’industry».
Il B2C sarà bypassato?
«Niente affatto: ci sono marchi che hanno una grande forza, che possono raccontare qualcosa di diverso e apportare un cambiamento e noi siamo pronti ad accoglierli. Con il B2B noi lavoriamo con realtà che operano sulle aree urbane, che creano realtà più a misura d’uomo; è un’occasione per esserci, per fare qualcosa di diverso, per essere vicini alle persone. Media, analytics, marketing, AI, Humans&Data copre tutto ma il punto è un altro: come utilizzi tutto l’armamentario? È facile uscire fuori con una comunicazione superficiale, che non offre nulla, ma non è detto che tutti vogliano produrre attività banali. Il nostro obiettivo è fare le cose in modo differente; non ambiamo a fatturati da 20 milioni, proveniamo tutti da grandi realtà, ma siamo indipendenti e parliamo con clienti che sono stufi di operazioni e attività vuote».
Quali settori avete approcciato?
«Il finanziario, l’energetico e l’edilizio, per fare degli esempi, ma intanto abbiamo citato una grossa fetta del PIL italiano; ma anche l’automotive e la grande distribuzione. Con i vari marchi lavoriamo sul territorio, nelle piazze italiane nelle quali vogliamo creare un impatto decisivo».
Cosa ci distingue, dal vostro punto di vista, dal mercato internazionale?
«Il nostro Paese non è mai stato realmente all’avanguardia nella comunicazione. La nostra particolarità è che Humans&Data è una struttura che nasce a misura di impresa italiana, ma con il know how internazionale, visto i trascorsi in e con agenzie quali Ogilvy. Lavoriamo per il bene dell’impresa italiana, portiamo avanti un progetto che si giova di competenze internazionali ma è pensato per sostenere la piccola media impresa nazionale».
In cosa consiste la vostra offerta?
«Mettiamo sul tavolo i nostri dati, li confrontiamo con quelli del cliente, un mix dal quale estraiamo gli insight; da qui parte la riorganizzazione di un brand. Offriamo dati, strategia e immaginazione. Creiamo una sorta di alleanza, per mostrare la parte buona della società che, nonostante quel che si dice, esiste».
Quali media prediligete?
«Gli stessi che caratterizzano un’attività B2C, i canali tipici dell’adv. Tutto ciò che ruota attorno al digital è fondamentale, ma ci teniamo a preservare, coltivare, espandere la comunicazione sul territorio, che magari ci chiede di costruire una campagna di affissioni con formati piccoli. Potrebbe essere una sorpresa al giorno d’oggi, ma può capitare che il digital non sia il principale mezzo. L’Italia ce la immaginiamo come tante piccole Milano, ma non è così, la localizzazione è fondamentale e ci spinge ad andare verso la gente, per ricreare il senso delle cose, che con il tempo abbiamo smarrito».
Controllare l’innovazione: quale potrebbe essere il futuro dell’AI?
«Temo che l’AI creerà discrepanza sociale; con l’attuale presenza algoritmica il rischio è quello di un internet peggiore, con i contenuti di valore che dovranno essere pagati, un po’ quello che si è verificato con la tv satellitare. Chi non potrà accedervi si accontenterà della scarsa qualità».