Autore: Redazione
27/03/2023

Fino alla fine dei cookie: quattro consigli per i marketer per affrontare l’ADmageddon

Una nuova era dell’adv è alle porte: quella in cui i brand non potranno più contare sui dati di terze parti

Fino alla fine dei cookie: quattro consigli per i marketer per affrontare l’ADmageddon

Francesca Lerario, Managing Director Southern Europe Ogury

di Francesca Lerario - Managing Director Southern Europe - Ogury

Anche se non si conosce ancora la data precisa, nella seconda metà del 2024 Google eliminerà cookie e identificatori a fini pubblicitari segnando così, la fine del tracciamento pubblicitario basato sull’identificazione personale. Per prepararsi a questo “ADmageddon” dei cookie, i brand sono chiamati ad avviare un percorso di transizione verso tecnologie completamente indipendenti da cookie e ID. Si tratta di un processo reso ancora faticoso da un contesto in cui le soluzioni cookieless sembrano moltiplicarsi - dagli ID unificati, al targeting contestuale, semantico e basato sui cohort di persone accomunate dalle ricerche che effettuano sul web - ma in cui non è facile orientarsi. Ecco quattro consigli per individuare il metodo più adeguato per affrontare un futuro senza cookie.

Non aspettare che Google elimini i cookie

Le tentazioni di restare in attesa o di sospendere le decisioni sono i due rischi che gli inserzionisti devono evitare. Anzitutto devono abbandonare la falsa sicurezza del rinvio della dismissione dei cookie da parte di Google ma, anzi, occorre che valutino un nuovo metodo di advertising che fornisca risultati tangibili senza la comodità del tracciamento personalizzato, che lede la privacy e viene mal visto anche quando gli utenti forniscono il consenso. Al tempo stesso, i brand non possono permettersi di mettere in pausa dell‘adv digital la loro pianificazione, aspettando Google. Sarà importante continuare a raggiungere clienti potenziali ed esistenti ma quest’attività diventerà sempre più complessa in futuro a meno che non si stiano già raccogliendo grandi quantità di dati di prima parte. In questo nuovo mondo digitale, infatti, i consumatori detengono tutto il potere e possono supportare o distruggere un brand in un batter d’occhio. Inoltre, i regolatori stanno aggiungendo restrizioni a una legislazione sulla privacy dei dati già stringente.

Non replicare tecnologie basate sugli ID

Le soluzioni basate sugli ID unificati sono molte ma sono caratterizzate dal problema di non avvalersi della scalabilità fornita dai cookie: sono isolate, non possono essere interoperabili e richiedono ancora il consenso degli utenti, che è sempre più difficile da ottenere poiché il tracciamento viene rifiutato in massa dagli utenti stessi. Gli ID unificati si basano, inoltre, su una rete specifica di editori che non vogliono condividere i dati dei loro utenti, il che rende la loro portata estremamente limitata e non adatta allo scopo. Un ulteriore ostacolo arriva dall'impostazione Private Relay sui dispositivi Apple e sul browser Safari che cripta le connessioni e nasconde gli indirizzi IP e i dati di navigazione degli utenti, rendendo impossibile la riconciliazione di un indirizzo IP con un ID univoco da parte di terzi. Questo comporta la perdita di un’enorme parte di consumatori, dato che i dispositivi Apple rappresentano la quota di mercato più ampia a livello globale, pari al 28%.

Andare oltre il semplice targeting contestuale e semantico

Il targeting contestuale e semantico ha rappresentato un’alternativa per molti inserzionisti. Ma questo metodo non può diventare la panacea per il settore perché cerca di prevedere chi sta guardando una pagina o un'app in base al contesto di quella stessa pagina anziché in base agli interessi specifici degli utenti. Così facendo, non consente ai brand di avere una reale comprensione del proprio pubblico, né di riuscire a incrementarne l’engagement. Ad esempio, immaginiamo che l'Utente A stia scorrendo la sezione Sport del suo sito web di notizie preferito. Un semplice sguardo a quella pagina lo classificherà come un appassionato di sport, il che significa che gli verranno continuamente mostrati annunci relativi a questo ambito. L'Utente A potrebbe effettivamente essere un appassionato di sport, ma poche persone hanno un solo hobby... Questo metodo non tiene conto degli interessi dell’utente A in grado di fornire dati preziosi ai brand. Oppure, cosa succede se l'Utente A possiede un cane, ma non visita mai siti web dedicati agli animali domestici? I brand vogliono raggiungere un’audience che ha bisogno dei loro prodotti, anche se non visitano siti web specifici per quegli interessi. Questi "appassionati nascosti" sono virtualmente impossibili da individuare considerando solo il bassissimo numero di persone che visitano siti web dedicati ad argomenti settoriali.

Dimenticarsi delle cohort e concentrarsi sulle personas

La pubblicità basata sulle cohort (o coorti) guidata da Google Topics, che sostituisce l'originale Federated Learning of Cohorts (FLoC), ha obiettivi più nobili rispetto al targeting contestuale e semantico. Raccogliendo la cronologia di navigazione degli utenti sui siti web e le app che hanno visitato, questa tecnica analizza il loro comportamento per trovare argomenti generali, catturando le tendenze collettive a livello aggregato. Ma l'utilizzo delle coorti implica comunque la raccolta di informazioni sugli utenti senza chiedere il loro consenso - il che, come abbiamo visto, è sempre più considerato socialmente inaccettabile e invasivo. Al contrario, il Personified Advertising non traccia mai il comportamento online di un singolo individuo ma guarda ai siti e alle app - dove le personas sono maggiormente inclini ad accedere ai contenuti di loro interesse. Ed è qui la differenza: se le coorti si basano su cosa gli utenti fanno online, il Personified Advertising chiede direttamente agli utenti che hanno dato il consenso - le informazioni per conoscere intrinsecamente “chi andrà dove”. Come avviene tutto questo in pratica? Torniamo al nostro Utente A, che sappiamo essere appassionato di sport. Il Personified Advertising è in grado di comprendere profondamente i suoi interessi, consentendo ai marketer di chiedergli domande come "Sei interessato al fitness a bassa o ad alta intensità?" o "Quante volte alla settimana ti alleni?" tramite sondaggi ai quali possono scegliere di partecipare o meno, e non solo su siti web sportivi. Questi questionari determinano anche quali sono gli altri interessi dell'utente A, oltre allo sport. Questo metodo fornisce una conoscenza approfondita spostando il focus dall'utente alla destinazione, accumulando decine di milioni di punti dati per definire migliaia di diverse personas. Non c'è dubbio che la pubblicità basata sui cookie appartenga al passato. I brand dovrebbero prepararsi a superare i metodi insufficienti, come gli ID unificati, il targeting contestuale, semantico e cohort, guardando invece alle personas per trovare una soluzione realmente future-proof, scalabile e non invasiva.