Autore: Redazione
10/04/2017

Branded entertainment, sempre più complementare ai formati tradizionali, vale 350 milioni nel 2017

Secondo lo IAB Seminar dedicato, il settore è in crescita del 17% rispetto ai 300 milioni del 2016 ed è una leva fondamentale per attirare e coinvolgere l’utente, mixando dati, creatività e contenuti di qualità

Branded entertainment, sempre più complementare ai formati tradizionali, vale 350 milioni nel 2017

Di Antonella Rocca e AnnaMaria Ciardullo

Il mercato del Content & Native Advertising cresce a doppia cifra e nel 2017 in Italia toccherà i 350 milioni di euro. È quanto è emerso ieri a Milano dallo IAB Seminar “Content Strategy: From Advertisers to Media Companies”, organizzato presso il MiCo, che ha accolto oltre 1100 partecipanti. A fare gli onori di casa il neoeletto presidente del capitolo italiano dell’Interactive Advertising Bureau, Carlo Noseda, che ha condiviso brevemente la prossima scaletta di appuntamenti organizzati dall’associazione. «Al seminar del 4 luglio su Programmatic e Marketing Automation - ha detto - seguirà la Digital Week, settimana prevista a settembre e pensata insieme a Roberta Cocco, assessore della trasformazione digitale del Comune di Milano per essere dedicata alle tecnologie che stanno cambiando la nostra vita e amplificano il nostro lavoro. Dopo un momento più strategico sulla industry dell’automotive con Internet Motors sarà la volta di una versione più internazionale di Iab Forum, a novembre, che, diventato ormai il 4° evento digitale in Europa, vuole essere a tutti gli effetti lo Iab Forum del Mediterraneo coinvolgendo altri Paesi nella sua organizzazione».

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Elena Grinta

Il consumatore al centro

La Content Strategy sarà sempre più centrale per lo sviluppo d’iniziative capaci di raggiungere e coinvolgere i consumatori, in un contesto web ormai molto affollato di informazioni e contenuti pubblicitari. «Oggi per le aziende è molto difficile riuscire a ottenere l’attenzione dei consumatori, quotidianamente sommersi da molti più messaggi pubblicitari di quelli che riescono a mettere a fuoco», ha poi raccontato Roberto Zanaboni, consigliere di IAB Italia e head of digital advertising RCS MediaGroup. «La chiave per il successo è la capacità di realizzare una comunicazione che metta il consumatore al centro e lo coinvolga emotivamente: la Content Strategy risponde a questa necessità, risultando vincente sia per gli investitori sia per i consumatori. Gli strumenti del content marketing, infatti, sono in grado di accontentare tutti: gli editori e le concessionarie hanno l’opportunità di allargare il proprio ambito di azione; le agenzie creative e le aziende possono elaborare operazioni di storytelling emozionanti e coinvolgenti; gli utenti, infine, potranno avere a disposizione contenuti più vicini alle informazioni che cercano», ha concluso Zanaboni.

Can it deliver?

Per rispondere a questa domanda è salita sul palco Jennifer Hubber, ceo Ipsos Italia, che ha presentato una ricerca realizzata con Oxford University e con BCMA, Branded Content Market Association. Lo studio ha dimostrato come il branded content abbia solo pochi secondi per catturare l’attenzione del consumatore. I dati rivelano che la soglia media di attenzione è oggi inferiore ai 7 secondi, contro i 10 secondi del 2000. Nel 75% dei casi le pubblicità su Facebook non vengono viste per più di 3 secondi e ben l’80% degli annunci di YouTube viene saltato. Ma, se si riesce a vincere questa sfida e a entrare in comunicazione con il consumatore, il branded content è in grado di generare un ROI potenziale a due cifre e avere un effetto positivo sul brand. «Le marche esistono nella nostra mente come reticolo complesso di emozioni che ci consentono di prendere decisioni in modo rapido. La maggior parte delle decisioni sono intuitive e prese in frazioni di secondo. I brand devono lavorare sulla salienza a lungo termine e su quella di breve periodo, usando i touch point per costruire rilevanza nel momento esatto della scelta del consumatore. Poi, una volta stabilito quello che una strategia di content marketing deve ottenere è altrettanto importante scegliere la giusta metrica per misurarne i risultati». Qualità, trasparenza, autenticità, creatività e pertinenza dei contenuti possono ridare importanza all’utente/consumatore, portandolo ad avere una relazione positiva con il brand.

I numeri del mercato

Elena Grinta, direttore generale Osservatorio Branded Entertainment, ha illustrato i dati relativi al mercato italiano del branded entertainment, evidenziando come il fatturato di questo settore sia in crescita del 17% rispetto ai 300 milioni del 2016. Nel 2015 valeva 240 milioni, mentre nel 2017 arriverà a toccare i 350 milioni. L’OBE realizza dal 2014 un’indagine sul territorio nazionale con l’obiettivo di descrivere la filiera e i suoi principali attori, raccogliere dati relativamente a strategie, investimenti, propensione all’uso di attività di branded entertainment nel futuro. L’indagine ha coinvolto 69 delle 143 realtà italiane attive nel branded entertainment attraverso interviste Cawi e Cati tra gennaio e febbraio 2016. Il 24% delle aziende intervistate ha creato una unit dedicata al branded entertainment, mentre il 27% ne ha affidato la realizzazione alla direzione creativa, segno dell’importanza assunta da questo tipo di comunicazione. Guardando alle tipologie di progetti realizzati, dominano i video su internet (54,5%), seguiti dalla brand integration (40%) e dalla coproduzione di programmi tv (31%). Gli obiettivi per cui i clienti realizzano questi progetti riguardano al 56% identità e valori di marca, seguiti dalla volontà di realizzare qualcosa di davvero alternativo alla pubblicità classica (51%), dal desiderio di entrare in contatto con i propri clienti (47%), dalla necessità di costruire awareness (44%), dalla voglia di intrattenere il consumatore (35%). Alimentare, Automotive e Tecnologia sono i settori che investono di più in branded entertainment, mentre Beverage e Abbigliamento stanno decelerando. Il 42% degli intervistati sostiene comunque che nei prossimi tre anni i progetti aumenteranno “probabilmente”, mentre il 49% “certamente”.

Parola alla creatività

Successivamente, a proporre i propri punti di vista e la propria esperienza d’eccellenza sono stati  quattro tra i massimi esperti del mondo della creatività italiano: Vicky Gitto, presidente & chief creative officer di Young & Rubicam Italia; Nicola Lampugnani, chief creative officer di TBWA Italia; Giuseppe Mastromatteo, chief creative officer di Ogivily Italia e Luca Scotto Di Carlo, partner & chief creative officer di M&C Saatchi Milan. Dalla tavola rotonda è emerso come la categoria del branded entertainment mutui forme strutturali di comunicazione dal mondo dell’entertainemnt, sbilanciandosi verso un aspetto molto più consumer. Il branded content invece è una forma di comunicazione più ibrida, dove l’advertising si mescola con logiche editoriali. Qualità, autenticità e innovazione sono, oggi più che mai, elementi imprescindibili per stupire gli utenti e coinvolgerli in una relazione empatica con il brand. I creativi hanno sottolineato come una relazione empatica tra agenzia, cliente e consumatore sia imprescindibile nella realizzazione di un progetto efficace, soffermandosi sulla necessità di prendersi dei rischi. Infine, è stato ribadito come la tecnologia non debba essere confusa con l’idea creativa di cui è al servizio.

Now Tv

Alessandro Pastore, content & innovation director di MEC, e Antonella Dominici, head of Now Tv marketing & customer base, hanno poi presentato la case history della internet tv di Sky come esempio del successo di come i dati possano guidare le scelte creative nei territori del content. Attraverso lo strumento proprietario di MEC, Visual Content Insights, sono stati analizzati gli elementi visivi dei contenuti social del brand. Uno stile colorato pop, l’illustrazione grafica, i talent di Sky iconizzati e un linguaggio ironico e real-time hanno alimentato una content strategy per raccontare elementi funzionali ed emozionali, trasformando Now Tv in un provider del divertimento.

Il contributo del contesto di prossimità

Walter Bonanno, direttore generale Gruppo Editoriale Citynews, ha proposto una riflessione su quanto sia importante valorizzare le iniziative di comunicazione in un contesto di prossimità per dare risalto alla relazione con il consumatore. 20 milioni di italiani leggono news online ogni mese e secondo uno studio Nielsen l’86% cerca informazioni legate al territorio e due su tre lo fa tutti i giorni. Sono più donne, concentrate tra i 18 e i 24 anni, abitanti in piccoli centri nel Nord Est e nel Sud del Paese. I lettori di news di prossimità scelgono in maniera forte gli editori e per loro sono meno rilevanti fonti come motori di ricerca e canali social. L’informazione locale acquista valore grazie a redazioni presenti sul territorio che la vivono e la raccontano. La news di prossimità è percepita come molto utile nella vita di tutti i giorni e attendibile. È fonte di condivisione e approfondimento sia di persona sia sul digital. Tema preferito dei lettori di news di prossimità è la cronaca per il 75%. Il 60% legge di eventi, manifestazioni e concerti, il 49% di politica territoriale. Tra gli argomenti da approfondire ci sono invece: i servizi al cittadino, tecnologia, shopping, sport amatoriali e animali domestici. I lettori di news di prossimità sono più sensibili a messaggi pratici di prodotti e offerte. L’impatto dell’advertising nelle news di prossimità è maggiore sotto l’aspetto del drive to store, in particolare dal digital al canale vendita. I lettori di prossimità preferiscono negozi specializzati, commercianti locali e internet. Sono shopper assidui: 3 su 10 acquistano tutti i giorni. Preferiscono i prodotti delle private label, hanno fiducia nelle banche italiane, e credono che la situazione economica migliorerà.

Il rapporto “nativo” tra editoria e contenuto

Rappresentanti di eccellenza del settore dell’editoria hanno dato vita ad una discussione sull’importanza dei contenuti per ovviare il problema della crescente mancanza di fiducia dei lettori: Filippo Arroni, country manager Blasting News Italia, Elia Blei, managing director Vice Media Italia, Andrea Santagata, vice Direttore Generale Periodici Italia Mondadori e Biagio Stasi, chief digital officer Hearst Magazine Italia, si sono confrontati sul rapporto “nativo” tra editoria e contenuto. Una buona operazione native si basa sulla coerenza tra formato, contenuto e contesto. In questo ambito è emersa la necessità di un rapporto di fiducia con il lettore, e la capacità di creare contenuti attorno alle sua passioni. Ben venga, quindi, un’informazione e un intrattenimento verticale, ma declinabile su più mezzi, addirittura a livello globale. È la rilevanza del contenuto ad essere davvero importante e non conta la piattaforma in cui viene trasmesso. Anche se all’editore è affidato l’arduo compito di adattare il contenuto al contesto, sia esso audience o piattaforma. Sono 211 milioni i contenuti prodotti ogni minuto in rete.

Il ruolo della concessionaria

Alberto Chiapponi, direttore crossmedia branded Mediamond, ha condiviso con il pubblico alcune riflessioni su come i brand possano costruire una content strategy di successo. «La concessionaria di oggi ha come necessità di andare molto in profondità nelle esigenze dei brand. Deve costruire un rapporto consulenziale con i clienti e per farlo servono nuove professionalità. La costruzione di un progetto di comunicazione è un percorso di relazione coi clienti che si sviluppa nel lungo periodo. A questo si aggiunge la garanzia di lavorare con un editore che fa della serietà il proprio marchio di fabbrica. Ha esperienza nella creazione e nella diffusione dei contenuti su tutte le piattaforme. La crossmedialità è la capacità di declinare il contenuto su più mezzi e noi ne abbiamo tanti. Oggi nel mondo del branded content dobbiamo elaborarne nuovi kpi che tengano conto sia della capacità di influenzare opinioni sia del comportamento dei relativo ai consumatori.

Francesca Romagnoli, head of operation di Ligatus, e Jean-Philippe Congnet, global head of digital di MSC, hanno parlato del valore dell’autenticità nel native advertising, presentando gli straordinari risultati raggiunti con la case history delle crociere. «Nel 2017 - ha spiegato Romagnoli - il native advertising cresce del 50% yoy. Ed è previsto uno sviluppo double digital per ogni anno successivo. Il mobile ha influenzato questa crescita rispondendo a una maggiore richiesta d’interazione con i contenuti e di integrazione nel look and feel della pagina. Il native porta a un ctr quattro volte superiore rispetto alla display classica. La sinergia tra utenti, publisher e brand produce un circolo virtuoso in cui il comune denominatore è la qualità. Un contenuto di qualità è determinante in qualsiasi tipo di strategia native. Anche il contesto è importante e deve essere allineato al brand. Così come i criteri di misurazione».

Nel futuro del native advertising Ligatus vede una nuova evoluzione degli in-feed formats, il passaggio dalle immagini ai video, e un maggiore focus sullo storytelling.

Content authenticity

Hanno chiuso i lavori della mattina Christina Lundari, general manager di AOL Italy, e Sara Pellachin, partner studio executive di AOL Italy.  Non poteva mancare un riferimento di Lundari alla prossima integrazione di AOL e Yahoo in Outh previsto per il prossimo giugno, ma poi l’intervento si è focalizzato su tecnologia e contenuto. «Metà del nostro mestiere è essere una media company. Insieme alle aziende sviluppiamo contenuti che siano al servizio del brand e dell’utenza. Ma un brand può arrogarsi il diritto di trasformarsi in una media company? - si è chiesta Lundari -. Coltivare una cultura in questa direzione è un’opportunità imperdibile. Il branded content è complementare allo spot tv e ai preroll digitali. Ma per sfruttarne appieno il valore è necessario muoversi dal concetto di “big idea” a quello di “mini idee”, in grado d’intercettare diversi segmenti di pubblico in momenti differenti sui media digitali. Inoltre, dove c’è percezione di qualità la gente è disposta a riconoscere il brand come autore del contenuto. Quando un brand entra nel territorio editoriale deve rispettare le regole. La sfida è riuscire a mettere in fila tutti gli elementi e farli percepire all’utente come credibili. Sfruttando le diverse piattaforme s’intercettano gli utenti aperti alla condivisione. Nelle nostre “mini idee” bisogna saper scegliere i momenti». Il riferimento è alla content authenticity, le regole del contesto in cui il brand si va a inserire».