Autore: Redazione
12/11/2018

IF Italian Festival: brand, creative e community. Tre personaggi della stessa storia

Protagonisti, nella manifestazione milanese che si è conclusa sabato sera scorso, gli intrecci tra i tre elementi della comunicazione: il prodotto, il messaggio, le persone

IF Italian Festival: brand, creative e community. Tre personaggi della stessa storia

L’uomo per natura forma delle piccole comunità. Dall’età della pietra a Facebook è cambiato il motivo, ma l’istinto non mente. All’interno dei gruppi, siano essi formati da appassionati della stessa musica o dalla capacità di suonare uno stumento musicale, i messaggi si amplificano e a volte si creano. All’IF Italian Festival il tema delle community è stato approfondito attraverso una serie di interventi utili a disegnare un quadro in cui l’accuratezza della scelta di un gruppo di riferimento fa la differenza per i brand, mentre i creativi hanno la possibilità di instaurare un rapporto biunivoco con le comunità. Possono intercettarne i gusti e farsi ispirare da loro, ma anche ispirarle per amplificare i loro messaggi. Facebook: creatività e community Facebook e Messenger hanno subito alcuni ripensamenti negli ultimi anni. Il primo «ha aggiunto al feed velocità, design e movimento», il secondo «collega le persone ma ha inserito strumenti per la vendita diretta», spiega la EMEA Regional Director del Creative Shop di Facebook Caitlin Ryan. La direzione dei cambiamenti è stata data da un oggetto, lo smartphone, e dall’utilizzo che l’utenza ne fa. Mobile, veloce, always on. «Il mobile può fare molto per i brand, se questi si muovno sulle assi dell’emozione e dell’interazione, cercando di costruire attorno a loro delle community. Facebook è nato proprio sul concetto di connessione tra individui, siano esse dovute alla condivisione di esperienze, conoscenze, interessi, passioni o situazioni», continua Ryan. Ma come si inseriscono i brand in queste dinamiche? «Ci sono tre step da tenere in conto. Il primo è scoprire qual è la community più adatta a cui riferirsi, oppure, se non esiste, crearne una. Generare una community può richiedere del tempo, ma i marchi possono anche puntare a stimolarne una già esistente ed aggiungere valore ad essa. Il secondo è stupire i membri della community, inspirandoli, divertendoli o intrattenendoli. Infine, bisogna lavorare per espanderla. Quando un’idea funziona bene sugli utenti core target, questa supera i confini e attrae anche persone con interessi diversi», continua. Non è facile applicare una strategia del genere, e per questo motivo Facebook offre attraverso il Creative Shop «un supporto molto utile ai brand, che si compone di suggerimenti sulle community più adatte e su come pensare a storie di qualità. Oltre a questo, la suite di strumenti a disposizione su Facebook è molto ampia, e il nostro team è sempre aperto ad aiutare i clienti nella scelta del modo più adatto per sviluppare la propria creatività», aggiunge Ryan a DailyNet. Dalle battute all’advertising. E viceversa Proprio dalle community, e più in generale dai social network, è nata la scintilla che ha portato alla pubblicazione del libro “Anche le formiche nel loro piccolo postano”. Gino & Michele, insieme al chief creative officer di FCB Milan, Francesco Bozza, hanno voluto raccogliere le migliori battute del web, siano esse opera di normali utenti o professionisti della risata. «Il libro è dedicato a battute e meme, raccontando la storia dietro questi ultimi. Internet, e in particolare i social, sono diventati un riferimento nel reperimento di quelle citazioni che prima provenivano dai libri». Ma tra le battute degli utenti e l’advertising il rapporto è più stretto di quanto sembra. «I battutisti a volte prendono spunto dall’advertising, altre volte sono i creativi a prendere spunto da loro. La loro ironia spesso parte da veri e propri insight sociali, che sono riutilizzabili nelle campagne pubblicitarie», racconta Bozza. Un esempio è quello dello spot ello scorso Natale di Motta. «La creatività ha richiamato un tema, quello dell’odio verso i canditi nel panettone, che già da tempo era soggetto a una forte ironia su internet». C’è anche un senso inverso in questa situazione, quello dell’amplificazione del messaggio pubblicitario attraverso l’ironia sui social. «Capita che la creatività o il messaggio promosso da uno spot richiami a qualche autore una situazione divertente in cui riapplicarlo». Come nel caso di Kaepernick, nella controversa campagna Nike, e del signor Giancarlo della Ruota della Fortuna, che decise di sacrificare tutto per credere in qualcosa. Certo, la valenza era un po’ diversa, ma il meme era divertente. E vi appariva il simbolo e il claim di Nike. Comunicare il made in Italy all’estero La creatività può veicolare messaggi di brand molto diversi tra loro. Alcuni sono universali, altri si riferiscono a caratteristiche e stili di vita riferiti a una precisa unità culturale. Le strategie di espansione di prodotto in terra straniera devono tenere conto delle specificità delle persone a cui si riferiscono. Caffè e pasta sono forse i più emblematici tra gli elementi del food italiano. Tanto che all’estero non si sognano nemmeno di tradurre “pasta” o “espresso”. «Il Made in Italy è un’etichetta che ogni azienda può riempire di valori diversi. A Barilla i clienti chiedono cosa c’è dentro ai prodotti, ma anche cosa c’è dietro. Territorialità e filiera produttiva sono diventati argomenti molto importanti, e vanno comunicati. Nel settore food, poi, i prodotti italiani hanno il vantaggio di poter parlare di gusto», afferma Pierpaolo Susani, vp marketing Barilla e Voiello Italia. «Una delle componenti importanti del Made in Italy che il brand Lavazza ha provato a portare nel mondo è la creatività, in tutte le sue forme. Il caffè ha un carattere funzionale, energetico, ma volevamo trasformarlo n un piacere, nella convivialità tipicamente italiana», ha detto Carlo Colpo, global head of marketing communication Lavazza. Gli stessi brand devono applicare strategie glocal, che a volte significa acquisire marche straniere: «Lavazza ha intrapreso da tempo un percorso di valorizzazione delle esigenze locali: Lavazza è il global brand, ma in alcune aree – come Francia, Nord Europa e Canada – abbiamo acquisito mache locali. Siamo andati ad agire localmente trasformando il Lavazza nel global brand, all’interno del quale abbiamo creato un porfolio di marchi locali stando attenti alle caratteristiche dei vari Paesi. Le creatività che facciamo sono studiate per essere flessibili, così da declinarle nelle specificità delle varie aree», continua Colpo. « In questo momento cerchiamo di raggruppare Paesi in base alla frequenza di acquisto della pasta e per similarità tra i mercati. Il marketing mix ipende dai cluster a cui appartengono le varie aree geografiche. Clusterizziamo e cerchiamo di adottare un modello replicabile», conclude Susani.