Autore: Redazione
28/03/2017

Google: l’affare YouTube ha impatti economici minimi, pari all’1,7% dei ricavi

Altri advertiser hanno congelato gli investimenti sulla piattaforma video e su Google Display Network. Il problema, “non del tutto risolvibile” secondo Eric Schmidt, rischia di avvantaggiare concorrenti e tv

Google: l’affare YouTube ha impatti economici minimi, pari all’1,7% dei ricavi

Le discussioni intorno a Google, YouTube e alla brand safety sono proseguite anche nel fine settimana. Il colosso californiano ha perso altri prestigiosi inserzionisti in terra americana: General Motors, Pepsi, Starbucks e Walmart, infatti, sono solo gli ultimi advertiser che hanno deciso di congelare gli investimenti su Google Display Network e YouTube. E, secondo un’inchiesta di AdWeek, anche gli spot di autopromozione del servizio YouTube Red, sarebbero stati associati a un filmato con titolazione a sfondo razzista. Non farà invece annunci pubblici Unilever, il cui chief marketing officer Keith Weed ha affermato di voler mantenere rapporti privati con i propri interlocutori.

Insomma, il polverone innescatosi attorno alla vicenda sembra destinato a rimanere tale: anche perché gli stessi vertici di Google hanno sottolineato quanto sia difficile - forse impossibile - controllare le associazioni tra contenuti e pubblicità all’interno dei milioni di siti del Google Display Network nonché su YouTube. “Non possiamo garantirlo, ma ci possiamo arrivare vicini”, ha detto Eric Schmidt, presidente esecutivo di Alphabet, la holding finanziaria che controlla Google, nel corso di un’intervista con Fox Business.

Schmidt sostiene che la società adesso spende più tempo per controllare manualmente se ci sono violazioni alle policy pubblicitarie, mentre dal quartier generale di Mountain View hanno fatto sapere di essere pronti a varare delle contromisure volte a combattere il problema. E, per Schmidt, Google può costruire prodotti che abbassino il ranking dei contenuti ‘estremi’ in modo più efficace rispetto ai social media.

Stando a quanto riportato dal Guardian, tuttavia, la questione avrebbe a che fare con la natura stessa dell’algoritmo per la compravendita di spazi sulla galassia di prodotti di Big G, che tenderebbe a non considerare adeguatamente l’azione umana. Inoltre, il proliferare del programmatic advertising ha favorito, ed è avvenuto in concomitanza con le frodi pubblicitarie tanto che secondo Charlie Crowe, chairman di C Squared, “diversi marketplace, incluso Google, hanno generato vasti profitti sfruttando l’ingenuità degli advertiser, che non sapevano realmente cosa stessero comprando”.

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YouTube, le regole sulla brand safety

Al di là delle promesse fatte da Big G per migliorare la situazione, è bene sapere che YouTube offre già degli strumenti per la brand safety. Sulla piattaforma, infatti, è possibile acquistare inventory a partire da specifiche keyword. La piattaforma poi segnala agli advertiser quei video che non sono da considerare advertiser-friendly perché presentano contenuti sessualmente espliciti, violenti o controversi. Perché ciò non è bastato? La risposta più ovvia la danno i numeri: su YouTube vengono caricate 400 ore di filmati ogni minuto, una mole impossibile da controllare, processabile solo da un algoritmo e perciò non completamente immune da associazioni indesiderate.

L’impatto sul business di Google

La domanda che molti si sono posti è stata: qual è l’impatto di questo esodo di inserzionisti sul business di Google? Nonostante le risposte siano state le più disparate quella più azzeccata sembra essere “minimo”. A dirlo sono due nomi noti nel mondo dell’analisi finanziaria: Morgan Stanley e RBC Capital Markets. Secondo la prima, Google Display Network e YouTube rappresentano solo una fetta del 10% dei ricavi netti di Google, un business che coinvolge migliaia di clienti e per questo non è, allo stato attuale, minacciato da questo boicottaggio.

Per RBC, qualora le entrate di YouTube e Google Display Network calassero del 10%, le stime sul fatturato totale della società sarebbero ritoccate al ribasso solo dell’1,7%. Chi potrebbe però beneficiare di una mancanza di fiducia nei confronti di YouTube è Facebook, sulle cui piattaforme potrebbero concentrarsi maggiori investimenti. Non solo, anche la buona e vecchia tv tradizionale potrebbe recuperare dei budget precedentemente pensati per YouTube. Quindi per Big G il problema non è di natura economica, ma di ‘credibilità’: oggi oltre 250 advertiser hanno interrotto lo spending sulle properties di Google. E questo, sul lungo periodo, potrebbe essere più pericoloso di qualche centinaia di milioni in meno - 750 per la precisione secondo gli analisti di Nomura Instinet - in tasca alla chiusura dei bilanci annuali.