Autore: Redazione
16/06/2022

Freeda, un mondo in rosa tra il rigore dei dati e la creatività transgenerazionale

Le dinamiche e sfaccettate facce di un gruppo nato come un progetto editoriale, evolutosi in una community da 10 milioni di persone e trasformatosi anche in una piattaforma di marketing & creativity. Un obiettivo di fatturato di 30 milioni quest’anno, con una crescita a tripla cifra e uno sguardo attento agli Usa. Le parole del co-founder Andrea Scotti Calderini

Freeda, un mondo in rosa tra il rigore dei dati e la creatività transgenerazionale

Andrea Scotti Calderini, Ceo & Co-Founder di Freeda Media

Le evoluzioni. Che non devono essere intese per forza di cose come voli pindarici, come funambolismi tecnici che lasciano i più a bocca aperta, come dimostrazioni ego riferite, piuttosto come crescita, come un tragitto che, raggiunto un traguardo, si guarda allo specchio e decide di imboccare una nuova traiettoria. Freeda (https://www.freedamedia.com/) che al principio fu un progetto editoriale social colorato di rosa, prese da subito, era il 2017, le sembianze di una media company, coccolata dai suoi fondatori, Andrea Scotti Calderini e Gianluca Casole. Da qui, la creazione progressiva di una community, la sua espansione, il suo insediarsi anche in Spagna e in Inghilterra e poi, la decisione di ampliare ulteriormente il proprio raggio d’azione e di bussare alla porta dei Gen Z e dei Millenials: ecco quindi nascere Freeda Platform, spazio consulenziale per connettersi e parlare ai più giovani. Tempo di bilanci, di consuntivi, fatti di numeri freschi, di traguardi raggiunti. Ma il work in progress è una costante, per non dire una vera e propria filosofia e quindi i progetti si accavallano e voci ricorrenti parlano di agenzie di viaggio interpellate: obiettivo biglietti in prima classe per volare, ancora più in là. Ma intanto, piedi per terra e riassunto delle puntate precedenti, prima di passare alle anticipazioni. Parola ad Andrea Scotti Calderini, raggiunto nella sede milanese del gruppo, in via Morimondo.

Un lustro è trascorso, riavvolgiamo il nastro: come nasce Freeda e quali obiettivi si prefiggeva e quali di questi sono stati raggiunti?

«Siamo partiti nel 2017, con l’obiettivo di costruire un media digitale che sapesse raccontare le giovani generazioni, con un focus femminile. Abbiamo deciso di concentrarci sulle piattaforme social, il luogo in cui edificare le fondamenta della nostra casa, con l’obiettivo di costruire situazioni di qualità, investire in tecnologia e dati, gli stessi che preparano ogni discorso creativo. Una mission che si è evoluta, che ha portato alla concretizzazione di una media marketing platform, attraverso la quale le marche diventano più forti, si fanno sentire, crescono facendo leva su social commerce e mktg. Nel corso di cinque anni abbiamo inglobato un livello enciclopedico di conoscenze che trasformiamo e trasferiamo ai brand con i quali collaboriamo. Progettiamo e costruiamo campagne di branded content, sono state oltre un migliaio solo nel 2021. Siamo molto trasversali, possiamo passare dal fashion al pharma. Quella che progettiamo non è solo una vetrina, siamo consapevoli, e lo sono anche i partner, che i brand più rilevanti sono quelli che possono vantare un preciso contenuto, uno storytelling unico, un uso intelligente dei social».

A proposito di contenuti, quello del content è un mercato che viene quasi dato per scontato, ma intanto il suo valore e la sua importanza sono in crescita…

«Quello del content è un mercato che vale miliardi, in cui Freeda pubblica 15.000 creatività all’anno, il 70% dei quali legati in maniera unitaria ai diversi mercati in cui operiamo, il 30% che invece si rivolgono alla dimensione locale». 

A chi vi rivolgete?

«I social unificano le differenze, i nuovi giovani sono più globali, noi ci rivolgiamo a loro, un bacino di 10 milioni di utenti. Le attività di brand comprendono però tutti. E quindi: digital media focalizzato sui giovani, i servizi della piattaforma diretti a tutti».

Quanto è difficile rapportarsi a una realtà così multiforme e cangiante?

«Freeda è un po’ lo specchio di questo mondo: al suo interno troviamo diciotto nazionalità coinvolte, un’età media di 29 anni, ma attenzione, la giovinezza non è solo una questione di anagrafe ma di mindset.

E invece sul fronte dell’incipit rosa che ha costituito gli inizi e la base di Freeda?

«Il digital media vede le donne rappresentate per il 90%, mentre la platform si rivolge a tutti. Sui social oggi ci sono 4.6 miliardi di persone, l’80% della popolazione è connessa. Le nostre tematiche sono molto rosa e nel 2028 crediamo che un terzo dei business sarà guidato da donne».

Nel breve volgere di qualche stagione, Freeda è diventata una e trina e ha aperto sedi in Spagna e Gran Bretagna: come è la situazione da quelle parti?

«In Gran Bretagna sono sicuramente più evoluti dal punto di vista della sovrastrutture digitali, Italia e Spagna sono molto simili, molto aperte alle diverse suggestioni».

Possiamo sintetizzare il vostro classico operato?

«Data, creatività e media. Siamo una realtà creativa e media che poggia sui dati. Siamo abilitatori e partner. Siamo flessibili, trasparenti, siamo parte del brand con cui lavoriamo. Siamo social».

Chi rappresenta una possibile concorrenza?

«È difficile trovare piattaforme marketing che sappiano operare all’interno dei social. S4 di Sorrell svolge un ottimo lavoro tra creatività e dati. Ma non è dentro il mondo social, elemento che caratterizza e distingue Freeda».

Cosa cerca l’utente?

«I contenuti, che devono essere rilevanti. Non conta l’ambito, il tema, quello che realmente serva è che il contenuto sia raccontato in maniera appropriata. Sono finiti i tempi in cui i marchi parlavano dall’alto, ora il dialogo è orizzontale, di fatto co-prodotto dalle due parti. In ogni caso, nel futuro ci sarà sempre più spazio per il digital, che lavora bene con l’OOH, con la tv, che serve per un media mix bilanciato. L’ambito social digital deve essere forte, concreto, presente. Ci passiamo tra le tre e le otto ore al giorno in media, sono numeri che devono essere chiari, che devono far riflettere».

Un po’ di numeri che sintetizzino Freeda?

«Iniziamo dalla nostra community che vanta 10 milioni di utenti in 82 Paesi e ha una reach mensile di 200 milioni. I driver sono Instagram e TikTok. Il nostro team è composto da 300 persone, suddivise nelle tre sedi di Londra, Milano e Madrid, l’80% è formato da donne. Quest’anno puntiamo a generare un fatturato di circa 30 milioni di euro. Se guardiamo indietro nell’ultimo triennio, vediamo un 2020 in difesa, un 2021 con una crescita del 45% e un obiettivo a tripla cifra per la fine di quest’anno. Continueremo a investiremo sempre di più sulla piattaforma, con l’obiettivo di crescere a livello internazionale e magari di sbarcare in USA nel 2023».