Sorrell incontra Dorsey al dmexco: “In molti sottovalutano la potenza di Twitter”
Il chief executive officer del social network si addentra nelle soluzioni per sbloccare un pericoloso stallo a livello di revenue e utenza. La leva per spiccare nuovamente il volo sono le conversazioni aperte, stimolare gli interessi degli utenti e la grande notorietà degli influencer in tutti i campi
dall'inviato a COLONIA, Francesco Lattanzio
Martin Sorrell e Jack Dorsey ci hanno provato lo scorso anno, ma qualche contrattempo ha impedito la partenza del co-founder di Twitter alla volta di Colonia, dove il ceo di WPP lo aspettava per intervistarlo. “C’era una società interessata a comprare il social network”, svela Sorrell tra il serio e il faceto. Questa volta non c’è stato bisogno di un improvvisato collegamento via Skype, Dorsey si è presentato di persona al dmexco per sottoporsi al torchio di Sorrell.
Twitter, in effetti, è uno dei casi più interessanti del panorama digitale: è utilizzato con grande frequenza da influencer di ogni grandezza e campo d’interesse, ma non riesce schiodarsi dai circa 300 milioni di utilizzatori attivi né a monetizzare. Tra questi, “il presidente Trump è un utilizzatore ossessivo e genera un valore aggiuntivo nelle valutazioni della piattaforma di circa 2 miliardi di dollari. Nonostante questo la società non ha raggiunto gli obettivi”, dice Sorrell.
Apologia di Twitter
Dorsey ha un atteggiamento protettivo e radicale verso la sua piattaforma, spiega di aver passato gli ultimi anni a correggere il tiro per spingere la fruizione giornaliera e per permettere l’apertura di conversazioni a cui chiunque al mondo possa partecipare. “Credo che in molti sottovalutino la potenza di Twitter. La conversazione al suo interno è viva, elettrica e unica. Non è possibile trovare qualcosa di simile da nessun’altra parte”, afferma. “Le persone vanno su Twitter per seguire i loro interessi. Noi cerchiamo di stimolarli con testi, immagini, video e conversazioni in diretta. Facilitiamo agli utenti il perseguimento dei loro interessi, e per farlo spendiamo tanto tempo con data scientist e machine learning con l’obiettivo di rendere la piattaforma più rilevante. Poi, i più grandi influencer di qualunque argomento sono proprio su Twitter”, aggiunge Dorsey.
Il problema della monetizzazione
Sorrell continua a picchiare come un martello sui tasti dolenti della creatura di Dorsey. La monetizzazione è un problema noto, e anche il fatto che Twitter “continua a perdere”, ma cosa sta facendo il CEO per cambiare questo andazzo? “Stiamo lavorando su tre punti: Semplificare l’offerta pubblicitaria e il prodotto, Differenziare la piattaforma dai competitor e Provare che gli investimenti funzionano attraverso un focus maggiore sui KPI. Vogliamo anche continuare a essere trasparenti sulla filosofia che guida le modifiche e le nuove feature della piattaforma”, spiega Dorsey.
Twitter, i contenuti originali e la sua indefinita natura
Amazon e Facebook, su tutti, hanno iniziato un percorso che porta a una forte proposta di contenuti originali, anticipato da Twitter con dirette sportive legate a tennis e football americano. L’irruzione dei colossi, però, sembra aver spaventato Dorsey: “Dobbiamo focalizzarci sulla nostra forza, che è la conversazione. È bello che le persone parlino ma non è necessario sviluppare contenuti. Dobbiamo concentrarci sulle conversazioni asincrone. Abbiamo comunque stretto accordi con Bloomberg, Buzzfeed, la NFL e con diversi eventi di eSports, seguiti da una enorme mole di utenti sulla piattaforma”. L’uccellino , comunque, non è un media, o forse sì. “È difficile definirne i confini. Ma comunque non importa, quello che importa è che la gente usi la piattaforma e ci trovi un valore. È un luogo per dire la nostra su qualunque cosa”, spiega Dorsey.
Non solo Twitter
Jack Dorsey è il ceo di due aziende, la seconda è Square, una sorta di digital bank che vale 11 miliardi di dollari, è cresciuta del 90% nel 2017 e produce 1,7 miliardi di revenue (contro i 2 miliardi di Twitter). “Riusciamo a fare prestiti anche su cifre piuttosto basse, quelle che le banche non concedono per i bassi margini di guadagno e che in altro modo le persone dovrebbero chiedere ai parenti. Noi invece abbiamo un algoritmo capace di calcolare il rischio, che unito ai nostri data set enormi ci aiuta a capire se l’operazione sarà profittabile. Non siamo una banca e non vogliamo nemmeno diventarlo, continuamo a stringere partnership con le banche”, racconta il ceo. Il prossimo step per la crescita di Square è l’espansione al di fuori dei confini americani: “Non è facile accordarsi con le banche, ma succederà presto”.