A-Day: verso una metrica comune per la misurazione per domanda e offerta
Si è tenuto ieri a Milano l’appuntamento organizzato da 4w MarketPlace ed Editori Digitali. Tanti gli spunti emersi nel corso dell’incontro che ha visto la partecipazione delle principali associazioni di settore oltre alle interessanti case di alcune startup
È andato in scena nella giornata di ieri l’Advertising Day, consolidato appuntamento per tutto il mercato italiano organizzato da 4w MarketPlace in collaborazione con Editori Digitali, giunto ormai alla sua quinta edizione. Tema portante di quest’anno la misurazione e la necessità di arrivare a una metrica - o più - comune, in grado di soddisfare le esigenze di domanda e offerta. Esigenze apparentemente distanti eppure nel corso dei dibattiti sono emerse alcune idee condivise che potrebbero servire per arrivare alla costruzione di currency realmente comuni e capaci di apportare un miglioramento qualitativo a tutta la filiera. Il titolo di questa edizione “Si…Può… Faare!” riassume, infatti, la problematica legata alla mancanza di un’unità di misurazione universale con cui classificare la qualità dell’advertising. E allora l’apertura dei lavori è stata affidata a Roberto Barberis, amministratore delegato di 4w MarketPlace nonché rappresentante di Editori Digitali.
Necessità di una metrica comune
«L’evento di oggi nasce dal desiderio di informare, approfondire e confrontarci su tematiche rilevanti per il settore, aprendo un dialogo costruttivo tra domanda e offerta concentrandosi sulle sfide comuni», ha esordito Barberis. «È la quinta edizione dell’A-Day, una bella esperienza. Abbiamo cominciato nel 2012 discutendo di content display advertising; l’anno successivo abbiamo proposto un focus sulla creatività come chiave di rinnovamento per le PMI mentre nel 2014 i lavori hanno riguardato il video. L’anno scorso abbiamo affrontato il tema dei benifici derivanti dall’automazione, oltre a parlare di misurazione, dati e viewability. Oggi (ieri, ndr) sentiamo l’esigenza di portare l’attenzione sulla tematica della misurazione e sulla necessità di arrivare a una misura comune che possa far distinguere elementi e spazi qualitativi». La giornata, moderata dal giornalista di Radio24 Enrico Pagliarini, è proseguita con due tavole rotonde: la prima ha avuto per protagonisti Giovanna Maggioni, Upa, Daniele Sesini, IAB, Giorgio Galantis, FPC-Assointernet, Marco Muraglia, Audiweb, e Roberto Barberis, Editori Digitali; la seconda ha visto la partecipazione dei rappresentanti marketing di aziende come BlaBlaCar, Cortilia, Dress YouCan, Farmaè e Foodscovery. La chiusura è stata affidata a Jay Stevens, chief revenue officer di Adform, che ha fornito una visione del mercato, ponendo l’attenzione su criticità e opportunità per gli editori. Dai confronti è emersa una certezza: le metriche devono essere affidate a un ente certificatore terzo e indipendente, perché arbitro e giocatore non possono essere la stessa persona. La seconda tavola rotonda ha invece restituito un quadro perfettamente in linea con le previsioni fornite dal Politecnico: alle aziende piace investire su Facebook e Google.
La prima tavola rotonda
Giovanna Maggioni
È stata Giovanna Maggioni, rappresentante degli investitori pubblicitari, a prendere la parola per prima. Maggioni ha ricordato come a luglio UPA, insieme alle altre associazioni del mercato «ha avuto il pensiero di un libro bianco, per riflettere sulle criticità da affrontare». Esistono, infatti, tante misurazioni, «dove talvolta il non detto è più del detto». «Noi dobbiamo scrivere insieme quelle regole di base che permetteranno alle fonti di misurazione di avere dei punti fermi, che accontentino chi compra chi vende e chi fa l’intermediario», ha chiarito, evidenziando la tematica del programmatic: «Dobbiamo mettere ordine sulle modalità di dialogo tra i diversi soggetti siano essi DMP, SSP, DSP». Dunque informazione, trasparenza e formazione. Su quest’ultimo fronte, UPA ha istruito le aziende con un ciclo di incontri di 18 ore, «Tante ma in realtà appena sufficienti per la complessità dei temi in gioco». Quindi Maggioni ha risposto a Sesini, il quale ha auspicato che metriche internazionali siano valide anche per l’Italia. «Sì a regole internazionali ma non si può partire da lì per costruire un sistema di metriche condivise. Ogni Paese ha la sua conformazione: oggi in Italia ogni investimento è trasversale e poi c’è la tv che è ancora fondamentale e a sua volta sta diventando digitale. Non può non essere presa in considerazione». Anche per questo Maggioni si è detta convinta che non ci sarà una e una sola metrica ma molteplici. «Il tema è che società terze o enti certificatori come le Audi devono essere al di sopra delle singole parti». Infine, Maggioni ha sottolineato l’impegno di UPA, e delle altre associazioni, sul libro bianco che dovrebbe concretizzarsi l’anno prossimo e attorno al quale c’è stato grande interesse.
Daniele Sesini
Sesini, come già anticipato, ha una visione più globale rispetto a quella di Maggioni. « Credo che sia necessario e ragionevole far sentire la nostra voce a livello internazionale affinché le nuove metriche siano univoche», ha detto. «Definito un framework ci devono poter essere spazi di interpretazione locale», ha aggiunto Sesini indicando l’evoluzione internazionale dell’associazione di cui è direttore generale per l’Italia. « Fino a poco tempo fa era IAB US a dettare standard e policy. Il ramo americano di IAB ha un ruolo ancora centrale ma sempre di meno, esistono diversi ambiti in cui c’è una discussione aperta al confronto». Secondo Sesini, infatti, sempre più campagne vengono veicolate a livello internazionale e questo potrebbe favorire lo sviluppo della spesa in comunicazione. A livello generale, invece, Sesini ha lanciato una provocazione: «È vero, internet è un mezzo misurabile per definizione ma misuriamo troppe cose, spesso non quelle giuste e soprattutto non abbiamo definito con chiarezza cosa misurare e come». Da un lato la necessità di mettere a fuoco le modalità nuove del digitale, quindi cultura e trasparenza, dall’altra occorre arrivare a regole condivise. Questo, in sintesi, il pensiero del d.g. di IAB Italia. «Però c’è un tema legato alla sostenibilità: la viewability fornisce trasparenza ma bisogna riconoscere il giusto valore del bacino pubblicitario». «Cultura, trasparenza, semplificazione: sono questi i pilastri di cui noi associazioni dobbiamo tenere conto».
Roberto Barberis
«Sia come associazione sia come ad network dobbiamo dare un servizio all’editore in logica gratuita fornendogli visibilità e abilitandone la relazione con la domanda», ha affermato Barberis prima di trattare il tema dell’automazione. «Il programmatic permette alle PMI editoriali di prendere budget dove prima non riusciva». Quindi è vero: «La tecnologia costa ma apre a contesti dove prima non si riusciva a essere presenti». In questo senso, per Barberis, gli editori italiani hanno fatto un errore di valutazione: «Non sono stati effettuati sufficienti investimenti nello sviluppo di tecnologie proprietarie. Noi di 4w la abbiamo e la mettiamo al servizio dei publisher in modo gratuito». Per concludere Barberis ha indicato quale è il compito di 4w e di Editori Digitali: «Vogliamo aiutare i publisher a gestire al massimo lo spazio pubblicitario». Obiettivo raggiungibile da un lato attraverso la tecnologia – per questo c’è l’ad network di 4w MarketPlace; e dall’altro attraverso attività di costante formazione e cultura.
Marco Muraglia
Muraglia ha assicurato la platea che Audiweb contribuirà alla costruzione di una metrica comune. Audiweb fino a oggi si è occupata della misurazione quantitativa, vale a dire le teste esposte al web. «Fino a oggi lo abbiamo fatto in modalità preventiva, a breve lo faremo anche nella fase post». Ma Audiweb, che non è panel-centrica a differenza delle altre Audi, sta allargando il suo raggio d’azione a parametri qualitativi come la viewability, «veri ancoraggi fondamentali anche perché noi vogliamo arrivare a misurare quante persone hanno visto qualcosa», in un contesto in cui le campagne tendono a orientarsi sempre più su target profilati. E sul ruolo di Audiweb, che per sua stessa composizione è tra le varie associazioni l’ente che meglio rappresenta il mercato nel suo complesso, Muraglia si è limitato a dire che Audiweb farà la sua parte per contribuire alla «riorganizzazione di un sistema più complesso, configurandosi come un luogo dove si possono scambiare informazioni». Poi Muraglia ha fatto autocritica: «In generale le Audi non sono strutture veloci. Ma il mondo va veloce, dobbiamo essere più reattivi». Infine il presidente di Audiweb ha detto che le metriche comuni devono essere la sintesi delle esigenze tra domanda e offerta con la localizzazione di parametri internazionali. «Dobbiamo però rassegnarci che il sistema online è aperto e in evoluzione». E se il digitale tentenna, non è solo una questione di metriche ma per problemi culturali e di approccio. Insomma, anche il settore pubblicitario risente del clima del nostro Paese. E tra pochi giorni c’è il referendum.
Giorgio Galantis
Anche il presidente di FCP-Assointernet, federazione delle concessionarie, ha espresso la necessità di convergere su una figura comune, «un ente con tutte le caratteristiche per essere riconosciuto affidabile, super partes e terzo». «Non c’è giusto o sbagliato, il tema è mettersi tutti insieme attorno a un tavolo per stabilire un percorso comune in cui tutti ci riconosciamo». Oggi, infatti, il cliente può decidersi liberamente a quale istituto affidarsi mentre l’editore deve affrontare dei costi strutturali. «Non è pensabile farsi misurare da 5 o 6 soggetti». E poi ci sono problemi di formati: «La skin, uno dei più richiesti, non è misurabile». Ma qual è il ruolo di FCP: «Noi dobbiamo dare certezze a investitori, che devono poter scegliere con chi lavorare». Ed è qui che entra in campo l’elemento tecnologico. Il problema, però, è che ci sono temi tutt’altro che banali: «La viewability, per esempio, impatta sul modo in cui è scritto un sito», ha evidenziato Galantis. E per i publisher la situazione non è certo delle migliori: i dati FCP sugli investimenti hanno registrato una flessione a settembre che dovrebbe essere confermata anche a ottobre. E in campo programmatic in Italia i prezzi sono i più bassi di tutta Europa, anche a causa della competizione con la tv. Non una novità, ma questa è la situazione in cui la filiera editoriale italiana si trova a operare. In questo senso regole comuni sarebbero davvero fondamentali e faciliterebbero la vita degli editori, con innegabili vantaggi anche per la domanda.
La seconda tavola rotonda
BlablaCar
Maria Fossarello, marketing manager Italia di BlaBlaCar ha raccontato il percorso che dal 2012 a oggi ha portato il servizio di car sharing BlaBlaCar a raggiungere i 2 milioni di utenti in Italia. «Abbiamo cominciato con campagne a performance ma poi gli obiettivi si sono spostati verso l’awareness, per fidelizzare la clientela. Una strategia che ha comportato un’apertura verso l’offline». Il brand, infatti, ha lanciato di recente alcune operazioni di comunicazione in tv, radio e outdoor. E a fare la parte del leone è soprattutto il web, con Facebook e Google che assorbono il 70% degli investimenti, declinati attraverso le più disparate attività, dal social al native, dal retargeting all’affiliazione. Ma quali sono le priorità di BlaBlaCar nel campo del marketing? «La semplicità di gestione delle campagne, a causa di un budget ancora contenuto». Budget contenuto che si traduce nella gestione in house delle attività di comunicazione. «Quello su cui invece occorre migliorare è la tracciabilità degli investimenti, specialmente in un contesto di collaborazione con più piattaforme. È difficile capire in che momento il cliente ha convertito perché spesso non riusciamo a capire come interagiscono le piattaforme prima della conversione», ha concluso.
DressYouCan
Caterina Maestro Cottini, founder di DressYouCan, startup che consente l’affitto di capi di alta moda, è intervenuta nella tavola rotonda. «Per noi è fondamentale fornire alle clienti un punto di contatto fisico e un servizio di customer care della massima qualità». Ma come si declinano le strategie di comunicazione? «Con il passaparola, questo perché noi dobbiamo pubblicizzare un concetto e non semplici vestiti come le case di moda. E poi il mercato non è ancora pronto a pubblicità: non c’è ricerca sulle keyword di noleggio se non a livello di costumi per Carnevale o Halloween. La nostra idea è mettere il cliente al centro. Per farlo tornare e farci promuovere in una logica di influencer marketing». Sul tema della conversione, infine, Maestro Cottini ha evidenziato problemi diversi rispetto a quelli di BlaBlaCar: «Tra la scoperta del servizio e l’utilizzo c’è spesso un gap temporale consistente. Per questo il tracciamento è un affare complesso e non di primaria utilità».
Cortilia
Altra case di assoluto interesse è stata quella di Cortilia, servizio che consegna la spesa a casa. Francesco Minghini, marketing manager Cortilia, ha subito chiarito: «Siamo nati come mercato agricolo online e ci siamo strutturati fino a configuraci come servizio di spesa a domicilio di tutti i prodotti di qualità, non solo frutta e verdura. Cortilia opera oggi in 15 città italiane, tra cui Milano, Torino, Bologna e Modena e le sue attività di marketing sono incentrate attorno alla geolocalizzazione: «Oltre a Facebook e AdWords stiamo provando tutte le strade possibili, native, programmatic ed email marketing per fare lead. E poi conduciamo dei piccoli esperimenti offline, principalmente con affissioni ed eventi. Online il grosso lo fa Facebook, molto attraente come Google per le performance che restituisce e per la possibilità di far fruttare piccoli budget. Ultimamente abbiamo intensificato gli sforzi su email marketing e programmatic». Ma la geotargettizzazione ha anche i suoi contro: c’è una dispersione sul target fino al 25%, anche con Facebook. «E ci sono stati anche casi più infelici in cui abbiamo registrato un 50% di dispersione con partner che non abbiamo mai più rivisto».
Foodscovery
Al dibattito ha partecipato attivamente anche Fabio di Gioia, fondatore di Foodscovery, piattaforma online per rendere accessibili prodotti gastronomici autentici e locali il cui obiettivo ora è l’espansione all’estero. A livello di comunicazione, «fin dall’inizio abbiamo cercato di creare comunità attorno al brand, veicolando contenuti sui nostri produttori». Si è cosi concretizzata una vera e propria community di Foodheroes, costruita soprattutto grazie a investimenti su Google, che catalizza il 70% della spesa, mentre il resto lo fanno retargeting, programmatic, rtb e Facebook. «Abbiamo anche una partnership con Il Fatto Quotidiano, siamo presenti sui canali social e sfruttiamo l’indicizzazione di Google per intercettare gli utenti nei loro micro momenti». E quali sono le criticità: «Allo stato attuale non esiste una soluzione accessibile dal punto di vista economico per gestire in modo integrato database, crm e marketing. Per questo la stiamo sviluppando internamente», ha concluso Di Gioia.
Farmaè
Farmaè è un marketplace dove è possibile acquistare parafarmaci, prodotti di cosmesi ed erboristeria. A rappresentare la società ad A-Day c’era Riccardo Iacometti, che ha spiegato come la comunicazione si basi soprattutto su annunci sposorizzati intorno ai prodotti. «Il desiderio del pubblico è poter compare un prodotto che prima non c’era online. Noi ne abbiamo 15mila, una vastità di gamma che è un grande valore aggiunto». La società fa un ampio utilizzo del retargeting insieme a Criteo. «Ma lo scopo ora è allargare la base clienti mentre prima dovevamo fornire una risposta alle esigenze del pubblico». Pubblico che è anche la principale criticità per l’azienda: «dobbiamo aspettare che mercato porti nuove persone che hanno bisogno di un prodotto».