Come ti cambio la scuola (e non solo): il metodo Takeflight
Una start up italo-americana nata con l’intento di rivoluzionare il mondo dell’istruzione, valorizzando la trasmissione delle conoscenze e utilizzando il supporto dell’intelligenza artificiale. La parola alla CEO Carmen Dal Monte
Carmen Dal Monte, CEO di Takeflight
Ogni anno è sempre la stesa storia: arriva settembre e ci risvegliamo in preda al panico sul tema back to school. Senza dimenticare il famigerato detto “Non si finisce mai di imparare”, che si riverbera anche nella vita post esami e nelle eterne analisi su aspirazioni, attitudini, treni persi, occasioni mancate. Chi siamo e cosa vogliamo (studiare e poi fare)? Si chiama Takeflight ed è una start up italo americana molto sensibile sull’argomento, nata con l’intento di rivoluzionare il mondo dell’istruzione, valorizzando la trasmissione delle conoscenze e utilizzando il supporto dell’intelligenza artificiale. Un’azienda che promuove lo sviluppo di un metodo, strutturato e scientifico, capace di offrire soluzioni personalizzate e adattabili alla didattica digitale. Il team multidisciplinare di Takeflight ha sviluppato il Metodo Kairos che rende possibile un approccio inclusivo volto a valorizzare le intelligenze di ogni singolo studente con l’obiettivo di rimuovere i principali ostacoli che poi sono causa di eventuale fallimento scolastico. Alla base di tutto c’è il PSA - Profile Student Assestement, elaborato con algoritmi proprietari grazie al quale è possibile definire il profilo iniziale di ogni singolo studente accompagnandolo nella creazione di uno stile proprio di apprendimento che permetta di raggiungere gli obiettivi personalizzati in modo positivo, valorizzando potenzialità e capacità. La base didattica rigorosa è accompagnata da elementi intuitivi che portano in evidenza i vantaggi del poter apprendere in modo consapevole favorendo la comprensione facilitata delle discipline e delle conoscenze. Uno degli obiettivi principali di Takeflight è quello di stimolare curiosità e interesse. Takeflight e il Metodo Kairos possono trovare applicazione anche in ambito aziendale all’interno dei processi di profilazione e ricerca delle risorse umane con l’obiettivo di riuscire a individuare i talenti migliori. Per saperne di più, abbiamo bussato alla porta di Carmen Dal Monte, CEO di Takeflight, startup italo-americana da lei fondata nel 2017. Filosofa di natura aristotelica, con un PHD in filosofia contemporanea, da sempre sensibile al tema dei ragazzi e della loro educazione, come testimonia il suo background di docente. Tra il 2002 e il 2015 ha pubblicato diversi libri incentrati principalmente su tematiche storiche e filosofiche. Autrice di “Ethos e Kairos. Un percorso etico dai sofisti all’economia globale” è ideatrice della collana Metodo Kairos di cui fa parte “123 Imparo a studiare la fisica”, primo volume di una serie di titoli di prossima uscita.
Come nasce Takeflight e come si evolve?
«Takeflight nasce nel 2017 con l’obiettivo di trasportare in chiave digitale un metodo di studio innovativo. I prodromi di tutto vanno però ricercati nel 2013, anno in cui cominciammo a muoverci attraverso il Metodo Kairos. Quattro anni dopo, come detto, fu varata la startup, con il sostegno da parte del dipartimento di statistica della Sapienza di Roma. Il punto di partenza del progetto, nonché primo passo per la costruzione di quella che poi sarebbe divenuta un’applicazione, è rappresentato da un questionario di profilazione, sorta di tutor per gli studenti. A distanza di cinque anni possiamo contare su due questionari, uno per gli studenti e un altro i lavoratori, documenti che fotografano la situazione attuale, che suggeriscono strategie di studio, metodologie di apprendimento, individuano l’ambiente di lavoro ideale, senza entrare nel merito della singola professione»
Cosa offrite in ambito prettamente scolastico?
«Un report dimensionale: gli istituti lo acquistano e ricevono un profilo del singolo studente, con suggerimenti specifici riguardanti le attitudini di studio. Suggerimenti che possono riguardare in campo lavorativo anche la gestione del gruppo e della retention. Il tutto viene portato avanti attraverso algoritmi proprietari. Il questionario è digitale, ed è molto importante sottolineare che non chiediamo niente di privato. L’applicazione scaturita dai nostri studi è sul mercato da un anno per gli studenti e da qualche mese per i professionisti e l’interesse si è triplicato, perché fotografa in maniera accurata dei settori di mercato».
Una fotografia non proprio positiva vien da sospettare…
«È indubbio che la scuola italiana sia in difficoltà: dopo due anni di didattica a distanza, si è creato un sentimento di rifiuto nei confronti della tecnologia e invece occorrerebbe far leva veramente sul digitale, per provare a fermare emorragie ormai certificate: 20% di bocciati, 13% di abbandono scolastico, senza contare i rimandati. E all’università la situazione è anche peggiore. Si sono iscritte 330mila matricole su 60 milioni di abitanti, di queste quasi il 55% non arriva alla triennale.
Le cause?
«Direi prima di tutto le carenze strutturali, ma anche le spese fatte di tasse universitarie eccessive, di costi folli legati al materiale scolastico. I fattori socio economici incidono molto. Siamo di fronte a numeri che evidenziano una scarsa percezione delle problematiche. Ecco perché è fondamentale conoscere a fondo le persone, gli studenti. Il nostro focus è stato quello di progettare un’app che sapesse monotorare gli studenti, ma anche per gli adulti. Profilare è il primo passo verso una soluzione».
L’obiettivo è rendere naturale l’uso dell’intelligenza artificiale?
«Ancora meglio: far sì che ogni utente riesca a far crescere la propria intelligenza artificiale, riuscendo ad andare di pari passo con il progresso».
Quale è la fotografia all’estero?
«Operiamo anche negli States, conosciamo la situazione in Israele e in Germania, e dai tedeschi non abbiano niente da imparare, visto che si muovono ancora con le classi differenziali. Da quelle parti decidono cosa dovrai studiare e le opzioni di scelta riguardo le scuola superiore non esistono. In Usa il servizio pubblico è scadente, quello privato invece è fortissimo, peccato costi molto, senza contare il problema di reclutamento dei docenti. Il tasso di insuccesso all’estero non è lontano da quello italiano, è più o meno lo stesso, le difficoltà sono altre e sono comuni: abbiamo perso la capacità di trasmettere cultura. E allora, riprendiamo il filo dall’inizio e proviamo a conoscere gli studenti all’interno dei loro contesti operativi».