Autore: Redazione
28/07/2023

Chiara Gnocchi, Novartis Italia: “Reinventare la comunicazione farmaceutica”

La Country Communication & Patient Engagement Head spiega come sta costruendo una nuova mappa per la comunicazione scientifica e farmaceutica in azienda

Chiara Gnocchi, Novartis Italia: “Reinventare la comunicazione farmaceutica”

Chiara Gnocchi, Country Communication & Patient Engagement Head in Novartis Italia

A un anno dalla sua nomina a Country Communication & Patient Engagement Head in Novartis Italia, abbiamo parlato con Chiara Gnocchi, laureata in Biotecnologie Farmaceutiche, ricercatrice forte di oltre 20 anni di esperienza maturata in diverse aziende pharma e innestata da 10 anni nel mondo della comunicazione e del patient engagement. Chiara persegue il compito che le è stato affidato, ossia di costruire una nuova mappa per la comunicazione scientifica e farmaceutica in azienda, puntando all’innovatività, ma anche mettendo a sistema quanto imparato dopo lo shock pandemico.   

Ascolto e dialogo

“Il paziente deve essere al centro della comunicazione di un’azienda come la nostra e va facilitato l’ascolto diretto e chiaro dei suoi bisogni per una comprensione più profonda. Allo stesso tempo, bisogna adoperarsi affinché ci sia una comunione di intenti nelle relazioni che si instaurano tra tutti gli attori del contesto della salute, dal clinico al paziente, dal payor al caregiver. Novartis ha intrapreso già da tempo questo percorso. Ma ora è stato tradotto più incisivamente su questo paradigma. In concreto significa dialogare. Intensificare la conversazione con le Associazioni dei Pazienti, con le Società Scientifiche e con le Istituzioni, ma anche lavorare con ogni singola persona della nostra organizzazione. Avviare campagne di grandissimo impatto non basta, se poi i valori dichiarati non vengono confermati dai comportamenti che abbiamo verso l’esterno. La nostra ragion d’essere è quella di essere un’azienda che “produce salute e vita”. Il farmaco è il mezzo, non il fine”. 

Etica e ricerca

Un’affermazione “potente”, soprattutto ora che, dopo la pandemia, alcuni pregiudizi “storici” riguardanti il pharma hanno ripreso voce.

“Il pregiudizio si basa su conoscenze sommarie e preconcetti. Essere un’azienda, non significa giocoforza rinunciare a valori quali “etica” e “ricerca”. Valori che assumono consistenza nel momento in cui vengono conosciuti e comunicati nella loro concretezza, fatta di progetti correttamente presentati. Questo per noi è il focus principale. E sono convinta che lo sia anche per gran parte degli attori di questo settore. Lo ripeto: noi produciamo salute. Non ci sono concesse approssimazioni o poca trasparenza. Nel 2021, Novartis ha realizzato il cortometraggio REIMAGINE MEDICINE per valorizzare la cultura della ricerca, e lo ha fatto per raggiungere un pubblico più vasto, andando oltre i propri interlocutori tradizionali, per incrementare la consapevolezza e la conoscenza scientifica in modo da consentire al cittadino di formarsi un’opinione argomentata. Le persone devono potersi fidare della scienza e noi abbiamo il preciso dovere morale di fornire i “mattoni culturali” che costruiscono questa fiducia. E lo facciamo anche attraverso progetti come Mudimed, il nostro programma di health literacy realizzato con il Ministero della Cultura, che è il primo museo interamente digitale della storia del Metodo Scientifico in Medicina.

La comunicazione

Come è strutturata la comunicazione in Novartis?

La nostra struttura di comunicazione assomiglia molto a una “media company”, il team interno, composto da un gruppo di comunicatrici competenti e appassionate, collabora con un pool di agenzie che sono partner di Novartis da diverso tempo: McCann Health per la creatività, Golin Italy e Weber Shandwick per le PR nelle diverse aree terapeutiche, Omnicom per le PR in area oncologica e Jakala per il media planning. Parlo di “media company”, perché di fatto le agenzie con Novartis costituiscono un’unica, grande squadra collaborativa e sinergica. L’unico modo, a mio parere, per raggiungere gli obiettivi che siamo dati.  Soprattutto dopo il COVID, siamo stati chiamati a “reinventarci”. Non tanto sugli strumenti della comunicazione, ma sul come attivarli. Un esempio è la campagna Novartis sulla sclerosi multipla: una patologia che affligge sempre più pazienti e pazienti sempre più giovani. Li abbiamo ascoltati e tutti, al momento in cui sono venuti a conoscenza della diagnosi, ci hanno detto di aver associato un’immagine precisa: la sedia a rotelle. Una sorta di ineluttabile condanna. La realtà, fortunatamente e grazie ai progressi della ricerca, è molto diversa. Meno del 20% dei pazienti affetti da sclerosi multipla dovrà infatti affrontare l’esperienza della sedia a rotelle. Questa cosa va conosciuta. Nei luoghi e con le parole dei giovani. Abbiamo quindi ingaggiato un designer e attraverso la rimodulazione di una “wheelchair” gli abbiamo affidato la creazione di una “willchair”. Una poltrona di design che sdrammatizza lo stigma di un oggetto indissolubilmente legato alla disabilità. Questa sedia è salita sul palco del Concertone del 1° maggio 2022, ha accolto molti degli artisti presenti alla kermesse e ci ha dato la possibilità di diffondere un messaggio di speranza, confortato da un’informazione molto importante: la sclerosi multipla, oggi, non è più il mostro di prima. Questo è stato il punto di partenza per la creazione di una community con cui attivare un dialogo continuativo, positivo e costruttivo. Naturalmente non ci fermiamo qui. Ma ho citato questa esperienza perché paradigmatica di un nuovo modo di parlare di salute e patologie.

Responsabilità

La posizione che ricopre è davvero una sfida che richiede un impegno e una responsabilità “importante” …

“Si, lo è, ma se mi sta chiedendo se sono un spaventata dalla missione che mi è stata affidata le rispondo con un sereno no. Ho il DNA della ricercatrice. Che significa non temere il rischio, provare e riprovare senza l’opzione della resa. Questo è il valore che voglio portare a Novartis nella mia nuova posizione di leader della comunicazione e dell’engagement del paziente. E l’eredità morale che voglio lasciare alle mie figlie”.