Centromarca, Ivo Ferrario: «Filiera sotto pressione, l’infodemia rallenta, strategico il ruolo dei mezzi di informazione»
Il direttore comunicazione dell’associazione italiana dell’industria di marca spiega come aziende e logistica, pur sottoposte a stress in questo momento stiano reagendo però non solo sul fronte produttivo ma anche su quello delle relazioni interne
Ivo Ferrario
A Ivo Ferrario, direttore comunicazione di Centromarca, l’associazione italiana dell’industria di marca, abbiamo chiesto alcune valutazioni sull’emergenza determinata da virus Covid-19, sugli effetti sull’attività delle grandi industrie leader nel mercato dei beni di consumo e sul comportamento del mondo della comunicazione.
Qual è la situazione oggi nelle imprese aderenti a Centromarca?
La priorità è garantire la sicurezza dei lavoratori che operano sulle linee e dare continuità alla produzione. Se gli stabilimenti si fermano la catena logistica si interrompe, gli scaffali restano vuoti e si creano le condizioni per il generarsi di forme di instabilità sociale. In questo momento la filiera regge grazie al senso di responsabilità di tutte le funzioni aziendali. In particolare di chi garantisce le attività di produzione e movimentazione delle merci, figure che per la natura delle loro mansioni non possono operare con forme di lavoro agile. A protezione di queste persone, fondamentali, ci sono controlli e regole di comportamento da adottare che sono parte del protocollo siglato la scorsa settimana dalle parti sociali. Non possiamo dire che la situazione sia facile. Materiali indispensabili, come le mascherine o i prodotti igienizzanti, per esempio, sono approvvigionati con sforzi oltre ogni logica, perché la gran parte delle merci va giustamente a sostenere il personale sanitario. Servirebbe un maggior coordinamento tra istituzioni, perché le attività produttive sono strategiche in questa crisi. Anche la riorganizzazione del lavoro per garantire la massima sicurezza comporta la definizione di nuovi comportamenti, procedure, spazi di lavoro… Dobbiamo molto alle persone in produzione. Mai come in questo periodo ci si sta accorgendo dell’importanza della fabbrica, della gente che produce qualcosa che è vitale per la sopravvivenza delle famiglie.
I consumi sono esplosi in modo schizofrenico…
Per i beni di consumo siamo passati da una domanda stagnante a una richiesta paragonabile a quella del periodo pre-natalizio. Un fatto non programmato, non prevedibile che mette sotto pressione le reti logistiche. Le passo alcuni numeri che ho già condiviso. Secondo le rilevazioni della società di ricerche Iri tra il 2 e l’8 marzo gli acquisti nella grande distribuzione sono cresciuti del 10,6% a parità di punti di vendita. Al Sud la crescita ha toccato il 20,5%. E’ l’effetto dello spostamento dei consumi dal fuori casa all’ambiente domestico e comunque del clima di emergenza che influisce sul comportamento delle persone. Nell’e-commerce la crescita sull’anno precedente tra 22 febbraio e l’8 marzo è stata del 73%. Il click & collect (selezione e pagamento online con ritiro al pdv) nello stesso periodo è incrementato al ritmo del 150%. Numeri impensabili in una situazione pregressa di sostanziale stagnazione della domanda. Secondo il centro studi Centromarca, le vendite delle grandi marche grocery alla moderna distribuzione nei primi due mesi dell’anno sono incrementate in misura superiore all’8%.
Che valutazione dà della comunicazione in questi giorni?
Le industrie di marca si sono impegnate in un’ampia e approfondita attività di comunicazione interna. Attraverso circolari, intranet, numeri telefonici, caselle mail dedicate e strumenti come Whatsapp l’informazione è stata diffusa a tutti i livelli con grande rapidità. In questo modo sono state date disposizioni in merito alle azioni per evitare la diffusione della malattia, allo smartworking, all’apertura o meno delle sedi centrali e periferiche, alle policy inerenti i viaggi, alla partecipazione a eventi e incontri aziendali e personali. La tecnologia digitale ha dato una grossa mano: non abbiamo dati, ma penso che il ricorso a videoconferenze, conference call, skype, Zoom e altri strumenti di comunicazione proprietari non sia mai stato così ampio e intenso.
Sul fronte esterno il quadro è parso meno razionale.
All’inizio della crisi senza dubbio. Si è scatenata un’infodemia, che ha favorito l’ansia da Coronavirus. È circolata una quantità abnorme di informazioni, anche contraddittorie o non verificate a sufficienza, che hanno reso più difficile per il cittadino orientarsi e capire a quali fonti fare riferimento. L’assalto ai supermercati è una derivata dell’infodemia. Ora mi sembra, spero di non essere smentito nelle prossime ore, che la situazione sia più controllata. In situazioni di crisi servono chiarezza nei contenuti, senso della misura, precisione, autorevolezza della fonte.
I media hanno occasione per riprendere il loro ruolo di certificatori delle notizie?
Sì se fanno il loro mestiere. Ho fatto il cronista per dieci anni e sono dalla parte dei giornalisti. Se le fonti istituzionali sono precise loro lo scrivono. Se le fonti istituzionali sono confuse è un fatto di mestiere evidenziarlo. È contenuto informativo. Altra cosa è non trattare i temi in modo oggettivo. Certo i titoli sono fondamentali per attrarre il lettore, il telespettatore, l’ascoltatore, ma ritengo che a fronte di un’emergenza drammatica come quella che stiamo tutti vivendo quello che dovrebbe emergere sono i fondamentali del lavoro giornalistico, da cui deriva il suo valore e riconoscimento sociale.
Ci sono state speculazioni nella comunicazione che è circolata?
Ognuno può leggere, guardare la tv o ascoltare la radio e liberamente farsi un’idea.
Ma lei che pensa?
Che questo è il momento di lavorare per superare Covid-19. Di fare il proprio dovere, di aiutare il Paese. Anche non contribuire ad alimentare il rumore di fondo.