Bruno Bertelli (Publicis): la comunicazione post pandemica passa dallo storytelling allo story doing
Il nuovo consumatore plasmato dalla consapevolezza indotta dal covid ha un rapporto più funzionale con i prodotti, resta emotiva la relazione con il brand che deve sostenere valori legati alla contemporaneità

Bruno Bertelli
I valori trasmessi da un prodotto e non solo le sue caratteristiche sono diventati un driver determinante delle scelte d’acquisto del “nuovo” consumatore, plasmato dalla pandemia al pragmatismo e all’attenzione rispetto alle conseguenze del consumare. I brand si devono adattare e con loro la comunicazione pubblicitaria. Ne ha parlato Bruno Bertelli, Global CCO di Publicis Worldwide e CCO Publicis Groupe Italia, con il direttore di Wired Federico Ferrazza, nel corso della prima giornata dei Wired Trends che si tengono online fino a domani. «La pandemia ha accelerato la relazione con il digitale.
Molte persone con poca dimestichezza ne hanno preso coscienza ed è diventato parte della loro vita. E’ stata anche un fenomeno globale che ha avvicinato persone di estrazione e nazioni diverse, e come la seconda guerra mondiale ha portato consapevolezza e accelerato fenomeni trasversali» spiega Bertelli.
Prodotti funzionali, brand emozionali
Per quanto riguarda i consumi, la pandemia ha introdotto un approccio più concreto e questo riguarda in particolar modo i target giovani: «Lo chiamo il fenomeno della forbice: i prodotti hanno un ruolo sempre più funzionale, quindi c’è una consapevolezza da parte del consumatore della funzionalità del prodotto, e allo stesso tempo un distacco emotivo».
Si comprano i prodotti perché servono; e questo atteggiamento riguarda soprattutto la Gen Z. Questo atteggiamento convive però con una relazione emotiva molto forte con i marchi, che devono fornire supporto: «Da un lato quindi una relazione funzionale con i prodotti e dall’altro emozionale con i brand» spiega Bertelli. I settori in cui questo fenomeno della forbice è più evidente, secondo Bertelli, sono il fashion e l’entertainment: «Anche con questo mondo c’è stato un chiaro rapporto funzionale ma allo stesso tempo emotivo, basta citare Netflix che è diventato uno dei dieci love brand mondiali. Questo si vede nel momento della scelta del contenuto, una volta più casuale e adesso effettuata sapendo già cosa si vuole vedere. Il rapporto con l’entertainment è più strutturato».
Il processo della scelta è più razionale forse perché la vastità dell’offerta permette una maggiore targetizzazione rispetto ai gusti del pubblico. Allo stesso tempo emergono trend particolari: «La pandemia ci fa cercare contenuti molto lontani dalla realtà, distanti da noi in termini sia temporale sia geografico». Un esempio è successo di “Squid Game”: una storia distopica ambientata in Corea.
Dallo story telling allo story doing
Il nuovo paradigma si basa su un dialogo con i consumatori: «C’è stato un periodo in cui i brand hanno cercato di creare una reazione emotiva, questo funzionava sui Millennial, ora vogliono dare un supporto alle persone nelle loro scelte. Allo stesso tempo c’è una presa di posizione valoriale rispetto a temi contingenti, rilevanti nel momento presente».
Superata la fase della comunicazione “manifesto”, i marchi si affidano meno a strategie generiche e cercano maggior legame con l’attualità. E’ forse un atteggiamento più tattico: «La pandemia ha riequilibrato il ruolo dei brand rispetto alla contemporaneità. I marchi devono essere rilevanti rispetto ai temi importanti per la società» e per i consumatori. Il lavoro delle agenzie «oggi consiste nel cercare di capire in che modo i brand possono fare qualcosa di attivo a sostegno della società o rispetto ad alcuni eventi. Io penso sempre al periodo dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando è nato il marketing e i brand hanno cercato di prendere posizione a fianco delle persone dopo questo evento gigantesco.
La sostenibilità è senz’altro il tema più facile. Si passa dallo storytelling allo story doing: cioè fare». E le aziende devono essere promotrici del tema da affrontare, ma anche perseguire sul serio determinati obiettivi: «La prima cosa che succede quando un’azienda prende una posizione è controllare su internet se è un’operazione di visibilità oppure se realmente ci sono attività a supporto di tale posizione».
L’uso dei dati
I dati sono centrali per la costruzione dei progetti di comunicazione ma anche in questo caso è cambiato il paradigma del loro utilizzo, prima improntato sull’efficienza e adesso sull’efficacia. «I dati sono stati utilizzati fin’ora per ottimizzare i messaggi. Oggi, invece, usiamo i dati all’inizio del processo per identificare il trend prima che diventi fenomeno di massa, mettendolo in relazione con il consumatore per anticipare i suoi comportamenti».
Sempre con l’obiettivo di realizzare progetti di comunicazione attuali anche le professionalità cambiano. Oggi conta avere in agenzia professionisti di estrazione molto diversa e farli collaborare: «La rivoluzione nel nostro mestiere è stata mettere insieme copywriter e art director, chi si occupa delle parole e chi delle immagini. Oggi la “coppia creativa” è composta da persone che arrivano dallo storytelling e altre dal design quindi molto più analitici». Infine, per realizzare campagne di successo «bisogna cercare di anticipare i comportamenti del consumatore lavorando sui trend a sei mesi».