Beyond Research Group presenta una ricerca sull’identità di genere vista da GenZ e Millennials
In esame la narrazione dell’inclusività sui media, sulle televisioni e sulle piattaforme. I social network sono il primo canale di diffusione di notizie, opinioni e trend sul tema. Il ruolo chiave di Netflix, Prime Video e Discovery+

È il mondo delle OTT quello che, oggi, incarna al meglio i valori di GenZ e dei Millennials. La televisione Fta (acronimo di free to air) cioè la tv trasmessa liberamente (non criptata) vie etere, nonostante alcuni esempi virtuosi come Propaganda Live o 4 Ristoranti, è ancora lontana dal linguaggio e dall’identità dei ragazzi di queste due generazioni (GenZ quelli nati dal 1996 al 2005, Millennials quelli nati dal 1986 al 1995) che hanno quindi una età compresa tra i 18 e i 37 anni. E inclusività è la parola d’ordine per tutt’e due le generazioni. È questo il risultato di una ricerca condotta da Beyond Research Group sul tema dell’identità di genere e i media sul campione GenZ e Millennials. Anzi diciamo pure che l’identità di genere è così scontata che viene considerata un “non tema”. Al punto che l’inclusività sulla televisione lineare - secondo i 18-37 enni - viene trattata in modo goffo, poco spontaneo e talvolta strumentalizzato. Netflix, Prime Video o Discovery+ - con i loro contenuti e sezioni dedicate a tematiche Lgbtq+ - sono le piattaforme che, più di altre, hanno contribuito a sdoganare e diffondere il tema dell’identità di genere tra i ragazzi. E programmi come X Factor o Drag Race Italia ma anche tanti influencer e personaggi dello spettacolo, che hanno preso precise posizioni sull’inclusività all’epoca dei dibattiti sul DDL Zan, hanno fatto il resto.
Un po’ di storia
Il fenomeno è esploso nel febbraio 2021 con i Maneskin che a Sanremo hanno fatto cadere certi stereotipi e ha avuto radici anche nel mondo dello sport durante Euro 2020 con alcuni sponsor e aziende del mondo della pubblicità che si sono schierate a favore dei diritti Lgbtq+. Non è rimasto immune neppure il mondo dei cartoni - anzi di più, quello dei supereroi - con Superman che fa coming out. Chi non si ricorda Fedez che si schiera contro Pillon? È anche il periodo in cui il pilota automobilistico Sebastian Vettel al Gran Premio di Ungheria di Formula 1, durante la cerimonia dell’inno ungherese pre-gara, lancia un chiaro messaggio di protesta contro la legge anti Lgbtq+ voluta dal presidente Viktor Orban. Il monitoraggio di Beyond Research Group su alcune pagine Instagram e piattaforme media segnala un’attenzione sempre maggiore da parte di aziende e dei media verso il tema dell’inclusività di genere. I social network sono oggi il primo canale di diffusione di notizie, opinioni, trend sul tema. Molti brand aziendali si colorano di rosa e/o arcobaleno durante i periodi dedicati alle donne e alla comunità Lgbtq+, spesso anche con campagne di sensibilizzazione. La rivoluzione culturale passa anche e soprattutto attraverso il linguaggio, sempre più neutro e inclusivo: schwa, asterischi e genere neutro. Pagine e testate giornalistiche come Freeda Media, le cui redazioni promuovono esplicitamente campagne in difesa dei diritti Lgbtq+, diventano un canale privilegiato per la pubblicità e i brand che vogliono comunicare le proprie iniziative.
I brand comunicano inclusività
Due esempi fra tutti: Gucci che si fa promotore di una campagna di sensibilizzazione accostando il proprio nome a due simboli dell’inclusività come Freeda e Rocco Fasano, l’attore che interpreta Niccolò, il ragazzo bisessuale di Skam o ancora l’iniziativa promossa durante il Pride Month in occasione del lancio della linea Havaianas Pride che ha devoluto una parte della vendita (il 7%) a All Our, organizzazione in difesa dei diritti della comunità Lgbtq+. E ancora: Lufthansa decide di abbandonare i termini binari come signore e signori per adottare termini più neutri come ospiti e passeggeri. E Apple inserisce sulla tastiera la schwa con il simbolino della ‘e’ rovesciata. Ma le aziende che vogliono seguire il trend a ogni costo con iniziative non organicamente inserite dentro il loro purpose rischiano di inciampare in pratiche di rainbow washing o pinkwashing che vengono fortemente criticate. I ragazzi insomma sono attenti osservatori e i valori dell’incisività dei brand devono essere autentici, realistici e diretti.
La generazione dei “sognatori” e quella dei “concreti”
L’inclusività è un valore condiviso da tutt’e due le generazioni prese in esame dalla ricerca Beyond, ma con sfumature differenti. I Millennials hanno una visione più sociale dell’inclusività mentre GenZ ha una visione più individualista. I millennials si sono fatti promotori di una vera e propria rivoluzione culturale che lotta per un mondo che non lascia indietro nessuno e per un futuro in cui la parola chiave è “uguaglianza”. Insomma i Millennials (28-37 enni) sono idealisti, sognatori e promotori del cambiamento. La parola chiave di GenZ invece è “determinazione”. I 18-27enni sono più concreti e determinati. I Millennials hanno incarnato la prima generazione che ha lottato per i diritti sull’uguaglianza di genere e ora hanno la responsabilità dei nuovi adulti, in molti casi anche nuovi genitori. GenZ invece ricerca una narrazione gender neutrale già autentica con risvolti pratichi in tutti i campi, dal mondo dei giocattoli al mondo della moda senza differenza fra uomo e donna. Non dicono più unisex ma ungendered.