L’arte incontra il digitale, Zero Contenuti racconta un dialogo che profuma di futuro
I nuovi tragitti della comunicazione culturale, che deve entrare nei luoghi dove le persone passano il loro tempo: i social, le piattaforme digitali, i formati brevi. Ne parliamo con Flavia Scerbo Iose, founder e CEO di Zero Contenuti, agenzia di content marketing specializzata nel settore

Flavia Scerbo Iose
Luoghi comuni, frasi fatte, convinzioni radicate: “Una laurea umanistica è poco richiesta nel mondo del lavoro, che te ne fai?”. Eppure, se un tempo, neanche tanto lontano, si poteva parlare di preoccupazioni fondate, oggi la questione appare sempre più superata e distante dalla realtà. Negli ultimi tempi, sempre più giovani scelgono di intraprendere carriere umanistiche e artistiche e sfidano lo stereotipo della laurea “inutile”. I dati dell’anagrafe degli studenti universitari hanno evidenziato una maggiore attrattiva per i corsi di arte e design e rilevato una crescita di iscritti per l’anno accademico 2024/2025. Inoltre, sempre più startup scelgono la cultura come terreno per innovare e in tale contesto si inserisce Zero Contenuti, agenzia di content marketing specializzata in arte e cultura, che valorizza progetti creativi attraverso strategie editoriali mirate. Ne parliamo con Flavia Scerbo Iose, founder e CEO della struttura (ospite di DailyOnAir - The Sound Of Adv)
Come si comunica la cultura oggi?
«Oggi la cultura si comunica in modo molto diverso rispetto al passato. Non basta più il catalogo, la brochure o il comunicato stampa. La cultura deve entrare nei luoghi dove le persone passano il loro tempo: i social, le piattaforme digitali, i formati brevi. Significa imparare a usare strumenti come TikTok o Instagram non solo per promuovere, ma per raccontare storie che parlino a pubblici diversi. La sfida è trovare un equilibrio: non banalizzare i contenuti, ma neanche chiuderli in linguaggi accademici che rischiano di escludere. È un lavoro di traduzione continua, un po’ come passare da una lingua antica a una contemporanea: il senso resta lo stesso, ma la forma deve adattarsi».
Quali settori si prestano meglio?
«Quelli che hanno contenuti forti da raccontare: musei, fondazioni, istituzioni culturali. Ma anche artisti singoli, festival, università e persino brand che vogliono legarsi a valori culturali. Per esempio, un museo non comunica solo opere, ma anche storie di persone, architetture, aneddoti. Un artista non mostra solo quadri, ma processi, idee, pensieri. Persino un festival può raccontare non solo il programma, ma l’esperienza, il dietro le quinte. La cultura ha un vantaggio enorme: i contenuti non mancano mai. Il punto è saperli rendere accessibili, emozionanti, e soprattutto coerenti con i linguaggi digitali di oggi».
Come ci si muove in Italia e quali sono gli esempi più performanti a livello internazionale?
«In Italia qualcosa accade, ma non è ancora abbastanza. Spesso la comunicazione culturale viene vista come un ‘di più’, non come parte integrante del progetto, il che porta a strategie poco strutturate o troppo episodiche. All’estero invece ci sono realtà che hanno fatto scuola. Il Louvre con i suoi format digitali, il Rijksmuseum con la capacità di rendere virali anche opere antiche, il MoMA con un uso fortissimo del video; sono esempi che dimostrano come la cultura possa stare nel feed delle persone senza perdere autorevolezza; anzi, può guadagnarne, se sa raccontarsi con intelligenza e creatività».
Come nasce Zero Contenuti?
«Zero Contenuti nasce da un vuoto che per me era evidente: abbiamo il patrimonio culturale più ricco al mondo, ma non sappiamo raccontarlo online. Io, nel caso specifico, sono una storica e durante gli anni universitari, durante i quali già lavoravo come copywriter, mi sono resa conto del vuoto presente in questo mercato. Quindi, dopo un po’ di sana gavetta ho deciso che era il momento di colmare il vuoto. Siamo nate ufficialmente nel 2023 e parlo al femminile perché il nostro è un team costituito (senza volerlo) da sole ragazze under 30, tutte con una formazione umanistica e competenze digitali. Insieme, abbiamo scelto di trasformare quella che spesso viene considerata una fragilità, il percorso umanistico, in un vero punto di forza».
In cosa consiste la vostra offerta?
«Abbiamo ideato un approccio che chiamiamo ‘Human Content Marketing’: tutto parte dalle persone. Ascoltiamo storie, valori, identità e li traduciamo in contenuti digitali che abbiano un impatto reale. Offriamo strategie editoriali, copywriting, gestione social, ma anche podcast, newsletter e progetti di brand identity. Non si tratta mai solo di fare un copy, ma di costruire un racconto coerente e strategico. In poco più di due anni di attività abbiamo lavorato al personal branding di artisti come Laura Zeni, scultrice, pittrice che da oltre 20 anni smuove il territorio milanese, ma anche con realtà sociali e culturali come il Rotary, fino ad arrivare a enti pubblici come il Comune di Firenze, per il quale da qualche mese gestiamo la Firenze Card e di conseguenza la comunicazione di oltre 60 tra musei e palazzi storici. Ovviamente, tutta la nostra esperienza passa dalle università, nelle quali formiamo studenti umanisti sul valore della comunicazione digitale».
Quali saranno i vostri prossimi step? E quelli del mercato?
«Il nostro obiettivo è scalare il modello. Vogliamo replicare esperienze come Firenze Card in altre città d’arte italiane, portare il nostro approccio anche fuori dall’Italia e sviluppare sempre di più la nostra parte creativa, essenziale nell’utilizzare il digitale in modo strategico. Il mercato va chiaramente in tale direzione: la cultura dovrà sempre più dialogare con il digitale e non sarà più pensata come preservazione o promozione e basta, ma come un ecosistema narrativo che unisce fisico e digitale. Chi saprà cogliere la sfida non solo avrà più pubblico, ma riuscirà anche a creare un valore economico e sociale duraturo».