Autore: Redazione
01/07/2020

Anna Vitiello (CXO di FUSE): «Nella comunicazione post Covid il brand deve puntare su autenticità e “reason why”

La manager, anche OBE Academy Director, spiega cosa ha funzionato e cosa no nello storytelling delle aziende durante la crisi sanitaria; «L’assenza di comunicazione non ha giovato alla reputazione dei marchi»

Anna Vitiello (CXO di FUSE): «Nella comunicazione post Covid il brand deve puntare su autenticità e “reason why”

Anna Vitiello, OBE Academy Director e CXO di FUSE

Durante l’emergenza da Covid-19 si è posto per le aziende un dilemma, vale a dire come comunicare senza commettere errori che infastidissero i consumatori. Dalle analisi condotte da OBE Insight Hub con BVA Doxa si scopre che l’errore più grande, in realtà, è stato non comunicare. Secondo la ricerca “La narrazione di brand in periodo di crisi”, condotta su un panel di 1500 interviste libere, e successivamente rielaborate in termini statistici, il 33% delle menzioni negative, vale a dire brand che hanno ricevuto un feedback negativo da parte degli intervistati, dipende proprio dalla loro assenza durante la crisi sanitaria.

Per contro, solo nel 4% dei casi il fatto che il brand avesse smesso di comunicare è stato citato come un motivo di apprezzamento. «Paragoniamo l’atteggiamento dei brand a quello degli amici. Durante un momento di crisi, i buoni amici si rendono presenti, ma se qualcuno mancherà all’appello procurerà una doppia delusione. Lo stesso accade con i love brand, i marchi a cui siamo legati» spiega Anna Vitiello, OBE Academy Director e CXO di FUSE.

Comunicare ha fatto bene ai brand

L’atteggiamento tenuto durante la crisi sanitaria è stato determinante per condizionare la reputazione del brand e la “benevolenza” accordatagli dai consumatori. Nella top 50 elaborata a seguito delle citazioni di brand che hanno colpito di più i consumatori – circa due o tre citazioni spontanee in media – spicca in cima Amazon con il 64% subito seguito da marchi italiani come Parmigiano Reggiano, Barilla ed Esselunga a quota 56%.

I brand Made in Italy sono più citati dai target maturi, mentre i più giovani, dai 18-24, accordano maggiore consenso ad aziende globali come Amazon e McDonald's anche grazie a una comunicazione particolarmente orientata a questi target. «La regola del “fare” è la prima motivazione per accordare benevolenza al brand. Ma è anche importante l’essere presenti, in dimostrare vicinanza e proattività. Insomma, “esserci” e “agire” sono due condizioni fondamentali per posizionarsi come lovebrand, mentre smettere di comunicare non è un’opzione» commenta ancora Vitiello.

In tempo di crisi l’adv è fondamentale

Ogni target ha un suo atteggiamento rispetto allo storytelling: se per i giovani il brand deve avere un ruolo sociale, i 25-35enni sono più pragmatici e guardano all’aspetto economico tra sconti e promozioni; negli adulti aumenta la sensibilità per lavoro e tutele, e infine i più maturi vogliono concretezza ma anche emotività.

«Sono due le indicazioni che riceviamo da questa esperienza: che in tempo di crisi il brand deve essere presente, autentico e consapevole del suo ruolo sociale, nonché agire di conseguenza. E naturalmente, saperlo raccontare bene». 

Lo storytelling dei marchi

In questo periodo lo storytelling dei brand è cambiato, abbinando all’adv una serie di attività tra donazioni e altre iniziative e creando una comunicazione molto articolata: «Sembra una strada rilevante e punto di non ritorno. I brand devono avere un ruolo attivo nella società, devono avere un “perché” distintivo e dimostrare che è autentico e non solo un’immagine».

Coerenza, autenticità, consapevolezza, attitudine all’azione: quando mancano il brand fallisce la comunicazione con il consumatore e perde credibilità. «La stessa cosa che è successa ai brand è successa alle celebrity. E’ stato premiato chi si è mosso per primo, pensiamo per esempio a Giorgio Armani e a Giovanni Rana, e chi non ha comunicato ha perso».

Sul fronte della narrazione «non c’è un messaggio che è piaciuto di più, l’arma vincente è stata quella di essere una presenza coerente con il proprio “purpose. La Ferrari per esempio ha puntato sul territorio e così anche Parmigiano Reggiano. Esselunga sul servizio, Barilla sul brand, Rana sulla tutela dei dipendenti, Armani sul suo amore per Milano».

La comunicazione del rilancio

Cosa succederà “dopo”, quando la normalità non sarà più così nuova? «Non lo sappiamo, ma una cosa è certa, ci ricorderemo chi ci ha colpito favorevolmente, e ha soddisfatto le nostre aspettative. Per contro, non dimenticheremo chi ci ha deluso. E comunque questo è un processo irreversibile».

La comunicazione del rilancio punterà sul peso del brand e sulla sua capacità di fare la differenza. «E’ stato definito una sorta di circolo virtuoso tra coraggio, autenticità, e fiducia nel proprio ruolo sociale. I brand dovranno prima definire la propria identità, la loro “reason why” e successivamente raccogliere intorno a loro una comunità che li apprezza. E questa identità deve coinvolgere tutta la filiera intorno al brand. In definitiva i consumatori non comprano il prodotto ma la storia che racconta. Però bisogna fare attenzione, oggi l’autenticità è al centro, bisogna che i brand sappiano chi sono e si concentrino sul loro “perché”».