Autore: Redazione
04/12/2019

Alla ricerca del ROI perduto: Facebook chiama a raccolta l’ìndustry

Un convegno milanese, con ospiti prestigiosi, quali Nielsen, GFK, UPA, Mindhsare, ha evidenziato i problemi italiani di un mercato che esprime parecchi dubbi sulle misurazioni, che non trova una linea e un linguaggio comune. Intanto, la piattaforma annuncia la crescita a 32 milioni degli utenti unici e prepara un 2020 di lanci

Alla ricerca del ROI perduto: Facebook chiama a raccolta l’ìndustry

Il ROI, quando lo si sente arrivare è come una festa, un abbraccio collettivo che profuma di commozione, il Natale dell’industry. Ma prima… Prima l’attesa è stata spasmodica, perché il Return On Investment è uno spauracchio, crea dipendenza e quindi un senso di apprensione, di affanno. E ormai sono passati più di dieci anni da quando il famigerato ritorno sugli investimenti ha cominciato a fare finta di nulla. La crisi, infinita, si dice conclusa, ma non è mica vero. Nel mentre sono cambiati tutti i parametri e così le difficoltà sono aumentate, perché si sa che piove sul bagnato. Prendete il campo della comunicazione pubblicitaria e dintorni: prima gli schemi erano tracciati, si sapeva dove andare a parare, ma ora la Tv è diventata un’altra cosa, anzi un sacco di cose insieme, cui gli addetti ai lavori devono per fora tenere conto, altrimenti tanti saluti ROI.

Evviva il digitale, insomma…

Facebook, che di cambiamenti se ne intende, ha convocato ieri a Milano una bella riunione per provare a capire come domare l’anelato Return Of Investment. Una serie di interventi, di opinioni, di pensieri, di punti di partenza noti, ma anche di arrivo meno conosciuti, quando non ancora realizzati, perché fra 4 mesi, o quattro settimane, tutto potrebbe essere già cambiato. Il benvenuto di Tommaso Galli, Facebook Italy Marketing Science Lead, il quale ha sottolineato la simbiosi raggiunta dall’uomo con la sua propaggine più evidente, lo smartphone, attraverso il quale si sta quasi sempre connessi per l’intero arco di una giornata. Siamo esseri digitalizzati, un giorno saremo magari digitali, ma intanto, a spulciare i dati della più recente ricerca si scopre che non ci fidiamo del digital, né tantomeno dei suoi strumenti di misurazione. Un paradosso, verrebbe da dire. Al quale lo stesso Facebook prova a porre rimedio, grazie a una ricca offerta di soluzioni proprietarie e non.

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Non mi fido

Come possiamo misurare le performance sula piattaforma social più famosa del mondo? Il 50% degli intervistati dice di utilizzare il MMM (Marketing Mix Modeling), mentre il 42% fa uso di modelli di attribuzione. Tutto a posto, quindi. Non proprio. Perché, se poi si chiede quanto ci si fidi di questi strumenti di misurazione, il 41% ci crede ma solo in parte, l’8% ripone fiducia totale, il 32%, si avvicina, il 2% non si fida, il 17% non li usa proprio.

Misurare Facebook, ecco come

Quando poi qualcuno avanza la domanda su come i canali digitali performino in generale nella misurazione delle vendite generate, il 30/31% dice bene e anche molto bene, ma poi c’è un 20% che rimane interdetto e dichiara di non sapere. Cosa impedisce allora un maggiore bilanciamento degli investimenti verso i media digitali? Per il 23% una mancanza di fiducia nei risultati del digitale; mentre, secondo il 30% ci sarebbe un problema legato alla misurazione dei canali digitali, o meglio alla sua mancanza. In realtà non è vero, perché i sistemi di misurazione ci sono. Servirebbe allora tornare sui banchi di scuola… Tommaso Galli ha dato quindi prova di grande pazienza, elencando tre punti attraverso i quali misurare Facebook in maniera corretta: dati giusti, e lo sono se si lavora con partner certificati; analizzarli per il meglio questi dati giusti, in particolare le impression; conoscere il contesto in cui lavora l’azienda e la piattaforma sul quale si vuole operare. In caso contrario ci troveremo sempre di fronte a meri numeri senza un preciso utilizzo.

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Conquistare la fiducia

Ma che futuro ci aspetta? Spaventoso, sicuramente e come sempre, ma anche ricco di opportunità. Direttamente dagli States è atterrata Lana Busignani, Executive Vice President, Global Analytics di Nielsen, secondo cui, tra cookies in via di sparizione e cambi progressivi ed epocali di media classici, le aziende dovranno mettersi in testa che la fiducia del consumatore dovrà essere conquistata di volta in volta, rispettandone la privacy e al contempo solleticandone la fantasia con contenuti sempre più mirati. E all’interno di un mercato sempre più ricco, frastagliato, anche difficile da leggere, si potranno misurare le persone, quelle vere, così da ottimizzare gli investimenti.

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A che serve comunicare?

Tra i protagonisti della giornata anche Roberto Borghini, Commercial Director Advanced Solution di GFK, il quale ha evidenziato uno dei must al contrario del marketing nazionale: la scarsa capacità di guardare oltre il proprio naso, ossia oltre i risultati immediati, che dal 2006 sono sempre gli stessi, in calo. A crescere sono solo le promozioni, ossia il taglio dei prezzi, e quindi degli investimenti, che porta alla stagnazione del mercato al calo reddituale. Si vogliono subito i risultati, invece ci vuole tempo, occorre sperimentare, svilupparlo il benedetto mercato, piuttosto che spostarne quote, attuando così l’ennesima strategia difensiva. Perché se gli indicatori dicono “meno”, a che serve comunicare?

Sintesi e predizione

La sontuosa tavola rotonda finale si è intelligentemente riallacciata a questi temi: moderata da Roberto Binaghi, Ceo di Mindshare Italy, il quale ha interrogato Luca Colombo, Country Director di Facebook Italy, Luca Bordin, GM di Nielsen Italy, Enzo Frasio, Chairman of the Board of Directors di GFK Italy e Vittorio Meloni, General Manager di UPA su questo pessimismo un po’ allarmante. Si è giunti alla prima conclusione che si tratti di un sentimento molto italiano, come se mancasse una positività culturale, quando invece servirebbe come il pane crescere, cambiare e lavorare insieme. A mancare è anche una lingua comune che porti a una misurabilità più appropriata. Si persevera nel seguire determinati valori, che però non funzionano più, come la rincorsa alle best practice, anche perché quello che ha funzionato ieri oggi potrebbe non avere più senso, ma potrebbe succedere pure il contrario, ossia che ciò che ieri non ha trovato cittadinanza, domani possa trasformarsi in leader. Il mondo futuro insomma, mettetevi l’anima in pace, sarà ancora più complesso, e mentre un pensiero corre pietoso a chi dovrà raccontarlo, è evidente come la difficoltà celi sempre un aumento delle possibilità di misurazione, di interpretazione. Sarà sempre più difficoltoso misurare il presente e ci si dovrà invece affidare a modelli predittivi, quindi a una sintesi odierna per arrivare a comprendere il futuro prossimo venturo.

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I traguardi di Facebook

Ma intanto siamo ancora nel 2019, e allora perché non chiedere a Luca Colombo come si sia comportato Facebook nel corso del 2019? Detto fatto: il country director ha assicurato che per la piattaforma è stato un anno positivo, a supporto un numero che, in quanto tale, non mente: 32 milioni di utenti attivi, un milione in più rispetto al 2018. In tutto questo, la società è sempre impegnata nello scovare, migliorare e offrire i suoi prodotti così da venire incontro alle aziende che investono su Facebook e Instagram. Il 2020 porterà il lancio di nuovi prodotti, come accaduto con Facebook Pay, presentato negli States e prossimamente esteso anche su Instagram e WhatsApp, ancora in Nord America, per arrivare, un bel giorno anche in Europa. Sempre il Country Director ha sottolineato come il numero degli utenti presenti sul digitale sia in costante crescita, anche dopo i 65 anni. Non più anziani di fronte ai cantieri ma invece a visitare le pagine del proprio smartphone? Chissà, il futuro è alle porte.