Autore: Redazione
29/10/2018

GreatPixel: l’evoluzione dell’artificial intelligence ha dato vita agli SmartBot

Una nuova generazione di bot in grado di tenere conversazioni più naturali con gli utenti, aumentando la propria efficacia grazie all’incrocio di tecnologie che limitano i bias dei cosiddetti DumbBot. E gli internauti apprezzano la tecnologia sempre di più

GreatPixel: l’evoluzione dell’artificial intelligence ha dato vita agli SmartBot

I tempi non sono ancora maturi per scambiare quattro chiacchiere con un robot, e chissà se lo saranno mai. Intanto però l’artificial intelligence è in grado di svolgere molte funzioni con una certa scioltezza, facendosi scambiare in alcuni casi per un essere umano. Le applicazioni di questa tecnologia sono molto diverse. Già nel campo aziendale, la sua capacità di navigare nei dati per fare previsioni è sfruttata, per esempio, «da Fastweb per prevedere il carico del traffico sulla rete o da Candy tramite bot sulle lavatrici in modo che essi suggeriscano il tipo di cottura o di lavaggio», spiega Giovanni Pola, Founder e Ceo di GreatPixel. Ci sono poi realtà in cui l’utilizzo dell’AI è più consolidato, «come l’ecommerce, in cui il 30% delle entrate dei principali marketplace online proviene dai sistemi di raccomandazione che sfruttano gli algoritmi di artificial intelligence, capaci di promuovere prodotti, e ora anche esperienze e servizi», e altre che invece vi si stanno addentrando, «come il mondo dei media, dove stanno nascendo ottimizzatori in grado di accendere e spegnere campagne in tempo reale per ottenere il massimo rapporto tra costi ed efficacia», continua Pola.

Utenti e artificial intelligence

Dove la tecnologia è più radicata - nell’ecommerce - gli utenti sono in grado di riconoscere i servizi che ne usufruiscono. Tra i 13,5 milioni di italiani che comprano online almeno una volta al mese – secondo la seconda edizione della Ricerca Experience Matters, Polimi e GreatPixel - , il 64% considera positivamente la tecnologia, il 30% ne rimane indifferente, mentre solo il 6% ha maturato un’idea negativa. In generale, le aspettative verso l’AI sono molto alte: il 52% la associa ad una maggiore velocità, il 46% è convinto che porti più servizi e funzionalità, il 43% maggiore aderenza alle esigenze personali e il 37% maggior gradevolezza dell’interazione e della navigazione. Il 4% la definisce “inutile” e “finta”, mentre il 10% addirittura “pericolosa”. «Gli acquirenti più evoluti riconoscono spesso quando dietro a un servizio si nasconde l’artificial intelligenc e stanno diventando sempre più esigenti», commenta Pola. Non basta più, per esempio, un’assistenza incanalata in alberature rigide, ma deve sciogliersi in una dimensione più “umana”.

Dai DumbBot agli SmartBot

In questo senso, l’evoluzione dei bot procede spedita, e una seconda generazione è pronta a prendere il posto della prima. «I bot di prima generazione, che chiameremo DumbBot, fanno una cosa molto semplice: capiscono le intenzioni dell’utente e rispondono. Più le persone che vi interagiscono aumentano, più il chatbot sarà in grado di parlare in modo naturale, e così l’utente che vi si interfaccia utilizzerà lo stesso linguaggio che utilizzerebbe con un operatore umano. Il problema è che il chatbot non è altrettanto intelligente», spiega Pola. Il meccanismo di funzionamento dell’AI è sviluppato dall’uomo, e per questo porta con sé alcuni bias cognitivi. Non sempre infatti è facile farci capire da un bot, nonostante la sua capacità di interpretare il linguaggio naturale degli utentiu «Il passaggio ai bot 2.0, o SmartBot, si basa invece sull’aggancio di tecnologie diverse che tendono a superare alcuni degli attuali limiti. All’atto pratico, la chiacchierata con l’utente diventa la traccia di ciò che è stato detto in conversazioni precedenti - il bot è collegato all’ID utente e “ricorda” di cosa hanno parlato in passato - ma non solo: gli SmartBot saranno anche in grado di adattare il tono conversazionale e il gergo linguistico a quello dell’interlocutore, in modo da risultare chiari sia a un ragazzo con una certa esperienza nel tech, sia a un anziano che potrebbe fare più fatica a comprendere alcune indicazioni. Il passaggio definitivo che sono chiamati a compiere va nella direzione della chiusura di contratti: gli SmartBot dovranno essere in grado di prendere decisioni vincolanti, trascrivendo le conversazioni nella blockchain per certificare accordi con gli utenti che diventino ufficiali.

Il 2018 di GreatPixel

Dopo un primo semestre del 2018 che ha segnato una crescita del 30% sull’anno precedente, la società punta a chiudere l’anno con un bilancio superiore a quello del 2017 del 50%. Oltre il 40% dei ricavi sono dovuti all’ampliamento del porfolio clienti, che ha aggiunto alle conferme dello scorso anno - tra cui spiccano Sole 24 Ore, Sea Aereoporti, Cerved, POLI.design, Trussardi - nuovi nomi come Fattoria Scaldasole, Sperlari, aSmallWorld, Soulgreen (di proprietà del gruppo Percassi) ed Expert. «Il nostro 2018 è molto positivo e sta rispettando le nostre aspettative», ha commentato Pola.