Autore: Redazione
06/10/2017

Ad fraud: in Italia il traffico fasullo all’interno dei video ads raggiunge il 20%

Frodi sulle pubblicità al 20%

Ad fraud: in Italia il traffico fasullo all’interno dei video ads raggiunge il 20%

Il problema dell’ad fraud continua a tormentare editori e inserzionisti. Asia, Europa e Americhe, nessun continente riesce a sfuggire a questo buco nero che assorbe investimenti per miliardi di dollari l’anno. Solo nel 2016, si stima che 7,4 miliardi di dollari in display adv siano andati persi su scala globale. Una cifra che, secondo Forrester, raggiungerà i 10,9 miliardi nel 2021, ma ci sono report che indicano addirittura una crescita maggiore. La scorsa settimana, il CMO Council ha pubblicato un report secondo cui il 72% dei chief marketing officer subisce la pressione dei propri superiori che spingono per risolvere il problema della fiducia tra brand, agenzie, editori e utenti, e per ottenere un controllo più stretto sulla pubblicità. Un problema che ha scavalcato il dipartimento marketing per espandersi a tutta l’azienda. Diverse formE di frodE Le frodi online assumono varie forme: ci sono i click farm (aziende fraudolente che assumono persone il cui unico compito è cliccare continuamente su una serie di banner che appaiono ininterrottamente), i bot (algoritmi che visualizzano siti e banner), il domain spoofing (la sostituzione di un url autentico con uno falso, dove atterreranno le inserzioni) e un arbitraggio senza scrupoli da parte di reseller che rivendono senza autorizzazione le inventory degli editori. All’interno di questo gruppo è stato inserito anche l’ad misplacement, ovvero inserzioni che appaiono in contesti poco calzanti per i brand o offensivi/violenti. Ad fraud: un problema globale I massimi livelli di traffico fraudolento si registrano in Giappone dove, secondo un report sulla prevenzione di questo tipo di pratiche condotto da Pixalate, solo 2 ads ogni 10 (vendute in programmatic) appaiono a una persona reale. Nei primi tre mesi del 2017, è infatti l’81% delle inserzioni giapponesi su desktop acquistate in programmatic ad essere fraudolente. Secondo, per numero di inventory maligne, c’è il Brasile con il 38% di traffico negativo, terzi gli Stati Uniti con il 37%. Segue un nutrito gruppo di Paesi europei: Germania (35%), UK (18%), Francia (16%), Spagna (16%). Cosa ne pensano i marketer L’ad fraud e il misplacement sono la seconda preoccupazione dei marketer, subito dopo i rischi legati ai social media e il management della reputazione. Nonostante questi, il 54% dei marketer ha deciso di continuare a investire sul digitale, e il restante 46% potrebbe o ha già rimosso i suoi budget dal media. Video: il contenuto più ambito dalle frodi Gli imbrogli avvengono dove ci sono più soldi, e dal momento che il video corrisponde al 45% dello spending è una normale conseguenza che il 64% delle frodi avvenga su questi contenuti. In particolare è il programmatic video ad essere la materia più problematica, e conta il 67% di frodi in più del direct video (secondo Forrester). In India, ben 34% delle impression non sono valide, in USA il 27%. Compare anche l’Italia, che segna il 20% di frodi sul video, inserendosi come quinta nazione mondiale e seconda europea, dopo la Francia. Nemmeno il mobile è indenne al traffico non valido Non solo desktop, anche i dispositivi mobili sono soggetti alle frodi. In Gran Bretagna il numero di mobile media planner che usano verifiche di terze parti per individuare frodi o convalidare la brand safety su alcune campagne crescerà dal 24 al 45% nei prossimi 12 mesi (secondo un report di ExchangeWire e GroundTruth). Tra quelli che stanno già adoperando questi strumenti, il 62% dichiara che avere media partners che utilizzano tools di brand safety è più importante del prezzo che chiedono. <
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