Veni, video, vici: tra misurazioni, Rete incontenibile e l’esplosione della TV 2.0
La consueta fotografia di inizio stagione di Beintoo descrive un mercato ricco di suggestioni, “ostaggio” di probabili fraintendimenti dovuti a focus di difficile interpretazione
un momento dell'incontro BeintooTalks
In una stagione autunnale che stenta a decollare serve un colpo di mano. Provvidenziale arriva, come di consueto, il BeintooTalks, incontro aziendale organizzato dall’ad-tech company andato in scena negli scorsi giorni. La formazione scesa in campo ha visto, oltre al capitano Andrea Campana, CEO della struttura, Cristina Ughes, General Manager di Starcom, Federica Pappalardo, Head of Media - Internet & Interactive Communication Manager di Vodafone, Federico Gavazzi, Digital Marketing Senior Manager - Digital Transformation di EssilorLuxottica, Eleonora Galdieri, Integrated Media Manager - Personal Care & Beauty di Bolton Group. A rompere il ghiaccio ci ha pensato Denise Ronconi, direttrice dell’Osservatorio Internet Media, la quale ha acceso i riflettori su un mercato sempre più guidato dal video e dall’esplosione della TV 2.0.
Tutti nella Rete
Il momento storico sintetizzato anche grazie alla proverbiale e puntuale ricerca degli Osservatori del Politecnico di Milano e ben descritta da Denise Ronconi, direttrice dell’Osservatorio Internet Media: quello dell’internet media è un mercato che sfiorerà a fine anno i 10 miliardi di valore, la cui crescita non vede cedimenti e che si prevede peserà per il 49% del totale, con il 55% del totale investito che sarà legato Video, declinato ovunque e comunque: TikTok, influencer, classica dv televisivo, l’ormai sempiterno programmatic all’interno della Connected Tv come pure nel rinnovato Out Of Home, con Milano, in questo senso, città sempre all’avanguardia. Ovviamente i rischi sono sempre dietro l’angolo e parlano la lingua dell’esposizione sin troppo massiccia, della difficoltà legata alle misurazioni e di quella conseguente delle pianificazioni. Troppe suggestioni creano confusione. Una ricetta appropriata dovrebbe considerare la progettazione di pianificazioni non a compartimento stagno, il focus sulla video strategy, la consapevolezza che la “nuova tv” permetta di raggiungere target specifici, quindi di catturare i più giovanissimi, i quali oggi appaiono completamente slegati dalla piccolo schermo tradizionale; Cristina Ughes ne è certa: «Le pianificazioni sono cambiate, come attestano gli incrementi della OOH e della CTV; quest’ultima può essere utilizzata in doppia opzione: chi la aggiunge alla classica tv e chi la sceglie perché può far leva su budget più bassi», e infatti il 78% della aziende rilevate (e l’81% del Food & Beverage) si serve già di una pianificazione che unisca la tv lineare e quella connessa. La ricerca del Politecnico intanto conferma la superiorità del video (vale il 36% dell’internet adv, con una crescita di 11% nell’anno). È la TV 2.0 che si issa agli onori della cronaca, con una crescita quadruplicata dal 2020, che oggi vale 467 milioni, per un’offerta sempre più ricca, presa per mano dagli eventi sportivi, dalla SVOD e dai nuovi protagonisti dell’AVOD. E il programmatic? C’è ovviamente anche nella TV2.0, ma non fa ancora molto rumore, tra sperimentazioni e giustificate attese.
Capire la tecnologia in un contesto complesso
Che la comunicazione sia in rapida trasformazione e che attraversi, di stagione in stagione, trame via via sempre più complesse ormai non è più un mistero; Federico Gavazzi di Luxottica lo dice chiaro e tondo: «Il tema tecnologico è sempre di più in primo piano, ecco perché abbiamo creato una nostra struttura dedicata, capace di effettuare test in housing. Ma intanto, dopo l’epoca pandemica, ci si è accorti che il 95% delle vendite avviene ancora nei negozi, l’e-commerce in Europa non è così preponderante, se non in Inghilterra, mercato in cui effettivamente pesa di più». È come se fossimo di fronte a un sintesi poliedrica: «Il consumatore lo intercettiamo attraverso l’OOH, intanto crescono gli investimenti nell’audio e c’è tanto digitale». Cosa fare di fronte a un contesto così complesso? Per Federica Pappalardo, di Vodafone «Il primo elemento da rimarcare è la flessibilità, ossia stare attenti ai cambiamenti di mercato e al consumo mediatico dei clienti. Come fare? Aprendo il media mix, segmentando l’audience, anche a livello macro, per raggiungere multicanalità e diversificazione dei messaggi, con la personalizzazione in primo piano. Differenziamo, misuriamo e ottimizziamo, ritengo che nulla deve essere lasciato di intentato». Eleonora Galdieri avvisa che «Il consumatore è sempre più schizofrenico ed è uno stato che dipende anche da noi e dalla nostra offerta caratterizzata da una miriade di suggestioni, da una moltitudine di e-commerce e di punti di accesso. Diviene allora complicato misurare».
Dietro la costruzione di un brand
Federico Gavazzi sottolinea e nel contempo ammonisce: «ll marchio, una volta costruito, va mantenuto; operiamo in un mondo in cui tutto può cambiare molto velocemente, in un’epoca in cui i social e la conseguente viralizzazione possono scombinare le carte in tavola, distruggere tutto. Una problematica da non trascurare è quella dell’iper misurazione legata a una moltitudine di dati spesso inutili. Si parla sempre più di attention, ma esisteva già, anche senza l’attuale ed esagerata aggregazione di elementi privi di un senso pratico che non hanno risvolti sulle azioni concrete. Non appiattiamoci sui numeri, che sì ci offrono una chiave di lettura, la quale però non può essere esaustiva. Non tutto può e deve essere misurato perché poi si cade facilmente nell’approssimazione, nella parzialità. La costruzione del brand non può essere misurata. Si rischiano risultati parziali. Di fatto occorre chiedersi: cosa misuriamo? L’impatto sui kpi di brand e quello sulle vendite; invece ci stiamo spostando sull’incremento legato ai singoli media che spesso non servono, con conseguenti investimenti che non sono messi nelle condizioni di poter funzionare».
Un confronto costante?
Il veleno sta nella quantità, come dicevano i nonni, ma chi decide il peso? Il cliente o l’agenzia? Gavazzi evidenzia: «Servono competenze interne, non ci deve essere asimmetria informativa tra cliente e agenzie; è capitato e non è stato positivo. Il rapporto con l’agenzia è fondamentale, la collaborazione deve essere ibrida affinché non scaturiscano campagne fini a se stesse. Abbiamo bisogno di capacità strategiche organizzative per far parlare i numeri». La conferma arriva da Eleonora Galdieri: «Siamo d’accordo sulla versione ibrida, con un buying internalizzato nel nostro centro media. All’interno dell’azienda ci deve essere sempre un data analyst». La soluzione quindi potrebbe e dovrebbe essere quella di creare un focus preciso, qualcosa di concreto da raggiungere, senza però dimenticare il giusto mix tra i diversi elementi di contenuto, CRM, social media etc.».