Autore: Redazione
12/10/2023

La tecnologia al servizio di istituzioni e cittadini: il modello Blu Oberon

L’azienda milanese di tecnologie e comunicazione racconta la sua visione di un digitale inclusivo, strumento di crescita personale e collettiva, tra plastici metavisuali ed esplorazioni in 3D, le parole di Paco Simone, founder & CEO della struttura

La tecnologia al servizio di istituzioni e cittadini: il modello Blu Oberon

Paco Simone, founder & CEO di Blu Oberon

Cosa si intende per smart city? Un concetto sempre più radicato, una nuova visione di contesto urbano in cui stakeholder istituzionali e cittadini cooperano con le nuove tecnologie per rendere le città più intelligenti, sostenibili e democratiche. In questo contesto, il Gemello Digitale ha attratto grande interesse da parte degli amministratori pubblici: un modello virtuale che ha l’obiettivo di raccogliere e analizzare grandi volumi di dati sulla città, per una profonda evoluzione dei processi di pianificazione e gestione dello spazio pubblico. Ad approfondire il tema ci ha pensato, durante l’appena trascorsa Milano Digital Week, Blu Oberon (https://bluoberon.it/), innovativa azienda milanese di tecnologie e comunicazione. DailyNet prende la palla al balzo e chiama a rapporto Paco Simone, founder & CEO della struttura (ospite della puntata di DailyOnAir - The Sound Of Adv).

Da quali presupposti nasce e di cosa si occupa Blu Oberon?

«Nasciamo sulla base di una formazione umanistica ma anche di una grande passione per le nuove tecnologie. Cerchiamo di catturare il meglio dell’ambito tech, senza pregiudizi, anche da mondi diversi, come il segmento videogame, le elaboriamo al servizio di un’istituzione e, con un approccio emozionale, anche con un linguaggio cinematografico, ma sempre con uno studio rigoroso dei dati che ci vengono forniti proprio dai “clienti”. I nostri prodotti devono essere spiegati bene e devono essere “a prova di nonno”».

Cosa avete portato all’attenzione della Milano Digital Week?

«Siamo stati protagonisti di un evento che racconta il digitale come una forma di crescita personale e collettiva. Abbiamo presentato dei prodotti che permettono la partecipazione attiva dei cittadini, siano essi pendolari, studenti, stakeholder, esponenti del terzo settore, parte attiva della comunità, tutti quelli che hanno voce in capitolo sulla trasformazione della città di Milano. Strumenti che aiutano il comune e il cittadino, che semplificano la vita».

Si parla sempre più spesso di Digital Twin, di cosa si tratta?

«È la replica virtuale informatica di risorse fisiche, potenziali ed effettive, che equivalgono a oggetti, processi, luoghi, infrastrutture, sistemi e dispositivi. Parliamo di Milano, che cerca sempre di distinguersi e che ha eseguito rilievi della città anche dal basso, per avere un modello 3D assolutamente dettagliato. Noi cerchiamo di estendere il concetto per renderlo fruibile e interattivo. Gli esempi altrove non mancano: come il modello di Singapore. Qualcuno ha iniziato, qualcun altro è a metà strada, sono sorti consorzi come quello di Barcellona e Bologna, per un digital twin anche inclusivo (una gestione autonoma, ma con scambio di dati tra le due città). Oltre alla rappresentazione fisica della città, che deve però essere alimentata dai sensori che rilevino tutti gli elementi che costituiscono la vita cittadina, il che crea scenari e analisi predittive, incrociamo dati su andamento popolazione, migrazioni, clima, e previsioni sullo stato di trasporti, industria, agricoltura. La città è un organismo vivo, che lascia tracce, in ogni strada, ricca di segnali che rimangono, che si trasformano in incipit per ulteriori cambiamenti ed evoluzioni. Pensiamo a Milano 20 anni fa, con l’amministrazione Albertini che prese zone dismesse per farle rinascere; oggi ci sono quartieri che hanno assunto sembianze differenti e che hanno letteralmente cambiato la stessa città. Quello che vogliamo proporre è che l’ecosistema urbano, con le sue dimensioni tecnologiche, sia rivolto ai cittadini, affinché mostri loro l’andamento dei servizi, con dati sempre accessibili. Come? Con prodotti specifici che siano sempre in grado di comunicare: il plastico metavisuale, che si può toccare, esposto in uno spazio pubblico, viene stampato in 3D, lo si proietta nella sua visuale tridimensionale; in questo modo possiamo vedere la luce del giorno e la pioggia che scende sul plastico, ma senza occhialini, senza essere distratti da una tecnologia difficile, siamo nel campo fisico, che si può toccare, attivare nei suoi contenuti specifici, come l’evoluzione storica dei quartieri o i programmi di cambiamento, le prossime riqualificazioni; l’esplorazione della città in 3D, passando dal plastico allo schermo, ma senza mouse o tastiere, attraverso i movimenti del corpo, per scoprire cosa succede e cosa potrebbe capitare, coinvolgendo i cittadini, anche in senso verticale, con prodotti efficaci, per capire che un cantiere che sembra una seccatura e che invece porteranno a una semplificazione del pensiero e della vita. La tecnologia serve, ma deve avvalersi di una guida che ci spieghi i pensieri della progettazione urbana. Abbiamo già realizzato vari plastici metavisuali ad Alghero per il Parco del Piccolo Principe, al Comune di Cagliari e per la Regione Sardegna la modellazione 3D è servita per le campagne istituzionali di fine mandato. Per la Regione abbiamo raccontato le infrastrutture della Lombardia del 2030, ricordandone i progressi. La tecnologia va vissuta in maniera naturale e non invasiva, eliminando ogni possibile barriera».

Quali saranno i prossimi passi di Blu Oberon?

«Ci piacerebbe creare un museo urbano di Milano, che sia di emanazione privata, ma con il permesso delle istituzioni, un modo per raccontare la città attraverso le grandi testimonianze, i suoi punti di eccellenza, tra comunicazione, moda e design, sempre in contatto con l’attualità, per non dimenticare le radici, per interfacciarsi, per raccontare la memoria, un data base in costante crescita, Un percorso che potrebbe avvalersi anche di iniziative itineranti».