Autore: Redazione
28/09/2023

Spazi collettivi e tecnologia esperienziale: il futuro del Retail è già qui

Dall’avvio del “The Wall Tour 2023” all’urgenza di ripensare in modo integrato al binomio tecnologia-contenuto; tra evidenze e mancanze, parola a Michele Kerschbaumer, Head of Digital Signage Sales ACS Data Systems

Spazi collettivi e tecnologia esperienziale: il futuro del Retail è già qui

Michele Kerschbaumer, Head of Digital Signage Sales di ACS Data Systems

Costruire il negozio del futuro, in un mondo dominato sempre più dall’online; un dilemma sottile e, nel contempo, pressante. Qualche giorno fa ha avuto luogo un incontro, una vera e propria tavola rotonda con alcuni dei massimi esperti  nel settore della progettazione di spazi collettivi nell’era della tecnologia esperienziale. L’iniziativa nasce dalla volontà di sensibilizzare l’intera filiera sull’urgenza di ripensare in modo integrato al binomio tecnologia-contenuto come punto focale nel disegno delle esperienze future e di tracciare i criteri imprescindibili per uno sviluppo sostenibile del business del Digital Signage. La giornata è stata denominata “The Wall Tour 2023”, un ciclo di incontri organizzato per riscrivere le regole della progettazione degli spazi collettivi nell’era della tecnologia esperienziale, voluto da ACS Data Systems e Samsung insieme ad APCI. Ne è scaturito un manifesto programmatico, TheWallTourManifesto. Ma cosa è la tecnologia esperienziale, come impatta sul Retail, chi sono i suoi protagonisti? Ne parliamo con Michele Kerschbaumer, Head of Digital Signage Sales ACS Data Systems (protagonista anche della puntata di DailyOnAir - The Sound Of Adv).

Quali sono oggi i punti cardine per un’appropriata tecnologia esperienziale?

«Partiamo dal presupposto che i progetti possano essere analizzati sotto vari punti di vista. Da tanti anni siamo convinti che il contenuto sia fondamentale, ossia che cosa il cliente voglia portare sui monitor; magari non assecondiamo del tutto, ma ce ne preoccupiamo. Creiamo così dei network facili, stabili e misurabili, circuiti solidi, con contenuti costruiti ad hoc, differenti da una pubblicità online o da uno spot tv, nella consapevolezza che serva sempre una strategia di comunicazione ad hoc. Lo stesso mercato, visto nella sua interezza, porta a ragionare in maniera differente: ci sono dei settori più avanzati, come il fashion, ma se guardiamo il mondo bancario, il corporate vi troviamo addetti non pronti a fare un salto dall’analogico al digitale. E attenzione: non è solo un discorso italiano; a tal proposito, ragioniamo sull’automotive, sulla pubblicità e sulla comunicazione all’interno di un ambiente: ebbene, sono due cose diverse. Nella pubblicità devi mettere in evidenza le qualità del brand, ma nel punti vendita devi invitare un cliente che sa già cosa vuole ad acquistare un modello preciso, quindi serve uno step in più, un ulteriore touch point, ossia un prodotto fatto per te. La personalizzazione allora diventa fondamentale, i monitor devono diventare più intelligenti, devono parlarti, deve conoscerti. Ed è quello che stiamo studiando, la commistione tra online e offline, con il Retail che sta modificando la propria natura, prova a unificare realtà naturalmente scollate. Prendiamo tutte le briciole che vengono seminate in Rete e, attraverso una geolocalizzazione di alto livello, in mezzo ai meandri della privacy, capiamo chi entra, non il suo nome ma i suoi interessi. I dati diventano un mezzo per colpire in modo giusto. Il problema è che inondiamo il mercato di display, con soluzioni spente o troppo statiche; occorre essere dinamici, cambiare ogni tot, avere una strategia varia. Serve un costante cambio di marcia sul tempo, sulle campagne, sulle offerte. Un contenuto non deve stare più di una settimana, almeno che non sia qualcosa di estremamente tecnico, collegato a una storia precisa. Sette giorni il massimo. La stessa attività sui social si dovrebbe fare anche sul posto».

Chi sono gli attori protagonisti e qual è il loro compito?

«L’ambito cerca sempre di più sviluppatori software. Noi abbiamo bisogno di lavorare con il cliente, sentire la sua storia, ma anche quella dell’architetto ingaggiato dal cliente, del suo content manager, e sono tre figure basilari che vediamo poco insieme. Il digital signed deve vivere, deve essere aggiornato. Purtroppo le singole parti non sempre si vedono, c’è un muro che le divide, occorre superarlo con progetti più qualitativi. Il settore deve assolutamente coinvolgere le parti, soprattutto i content manager, spesso troppo lontani dai progetti, magari in ritardo, presenti solo a giochi fatti. Il mercato progredisce, cerchiamo di elevare i discorsi, anche perché i brand stranieri sono protagonisti anche in Italia, non possiamo farci trovare impreparati, ma purtroppo accade e neanche di rado». 

Come si trasformerà il Retail?

«Sarà più esperienziale, con meno punti vendita, con quelli presenti più belli, meno quantità più qualità, al massimo livello, soprattutto tecnologico, anche perché i clienti sono sempre più giovani, maggiormente integrati con la rete, e i punti vendita non venderanno più i materiali ma le esperienze; sta già accadendo».

Esistono dei punti che potrebbero essere ulteriormente migliorati e se sì in che modo?

«Abbiano la necessità che crescano figure professionali super partes, architetti digitali, ma mancano le facoltà, indirizzi di studio che trasformino l’architetto in digital architect».