Autore: Redazione
19/09/2018

UPA si dichiara contraria a ridistribuzioni “per legge” degli investimenti. Sassoli: «Le aziende, anche quelle pubbliche, stanno nel mercato. Anacronistiche le imposizioni»

Il presidente degli utenti spiega come le strategie degli spenders rispondano solo a scelte di concorrenza che non si possono coartare dall’alto; si dichiara favorevole a una “Netflix” dell’editoria e conferma la stima di chiusura d’anno al +1,5% per gli investimenti

UPA si dichiara contraria a ridistribuzioni “per legge” degli investimenti. Sassoli: «Le aziende, anche quelle pubbliche, stanno nel mercato. Anacronistiche le imposizioni»

L’assunto che “la pacchia è finita” anche nel mondo dei media, come ha sostanzialmente ribadito recentemente - dopo che lo slogan è stato lanciato dal ministro degli Interni Matteo Salvini in materia di clandestini - il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Editoria, Vito Crimi anche per quanto riguarda la industry della comunicazione, è già ben noto anche a UPA, che ha ovviamente il polso della situazione in materia di investimenti, consumi e orientamenti delle aziende. Sulle conseguenze che ne trae il citato Crimi e sulle sue proposte per dar sostanza alla direttiva però, il presidente di UPA, Lorenzo Sassoli de Bianchi, ha idee diverse e non mosse da convinzioni politiche, visto che - conversando in materia con DailyMedia in occasione della presentazione della prima edizione italiana del Premio Effie, che organizza insieme ad AssoCom  - le valuta come tale, ovvero per il ruolo che riveste alla guida delle aziende che investono in pubblicità.

La P.A. e i giornali

E proprio analizzando il problema da un punto di vista meramente tecnico, Sassoli, per prima cosa, si dichiara in disaccordo con la proposta-minaccia lanciata dal ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro, Luigi Di Maio, che ha paventato un limite alla pubblicità sui giornali da parte delle imprese partecipate dallo Stato, e che ha trovato il pieno consenso di Crimi. «Le aziende pubbliche operano in mercati competitivi – dice – e limitazioni imposte dall’alto ci lasciano per lo meno perplessi. Se fanno pubblicità anche sui quotidiani è evidentemente per contrastare anche attraverso questo mezzo la concorrenza che, del resto, infatti, continua a farne. Ugualmente difficile immaginare penalizzazioni o interventi ancora più pesanti nei confronti di giornali che verrebbero individuati come referenti di Gruppi di controllo che hanno anche altri interessi: si tratta per lo più di società quotate, dove i piccoli azionisti hanno già ampio modo di esprimere le loro opinioni e perplessità».

I tetti televisivi

Analoghe minacce sono state fatte per la televisione, in particolare Mediaset, ventilando tetti di raccolta molto più restrittivi, magari “in nome” di una più equa ridistribuzione delle risorse tra mezzi: cosa ne pensa? «Imposizioni di questo tipo, sempre in un mercato libero, non funzionano, anche se delle regole ci vogliono e noi stessi abbiamo contribuito a definire quelle che attualmente già ci sono - continua -. Le aziende, infatti, allocano i loro investimenti in base a precise strategie e l’assetto dei media non funziona secondo la legge dei vasi comunicanti. Le aziende inoltre hanno a disposizione sempre più alternative e, quindi, un’imposizione di qualsiasi tipo alla ripartizione dei budget è del tutto anacronistica. I provvedimenti legislativi devono avere degli obiettivi: se ne può discutere e accettarli – come nel caso del divieto alla pubblicità dei giochi online, pensato per contrastare la ludopatia - se sono mirati alla tutela dei cittadini ma, se sono funzionali solo a tattiche politiche, rischiano di essere controproducenti perché, nel caso della nostra industry, porterebbero solo a un aumento dei costi della pubblicità, con ricadute sempre sugli stessi consumatori».

Ma UPA per prima si è fatta promotrice di una riduzione della pubblicità sulla Rai…

«La nostra proposta è di toglierla da uno dei canali pubblici ma semplicemente per metterlo nelle condizioni di sperimentare una programmazione che non sia “coartata” da necessità di mercato e, quindi, al fine di poter migliorare la qualità dei contenuti. D’altra parte, potrebbe essere la stessa Rai ad avvantaggiarsene, riempendo maggiormente i bacini delle altre reti».

Piattafome nazionali

In generale, sempre al di là di soggettive valutazioni politiche, non le sembra che l’editoria “pretenda” una tutela preventiva anch’essa al di fuori delle regole del mercato?

«No, guardi, la stampa è un imprescindibile elemento di garanzia democratica, e ha un preciso senso che venga sostenuta, specie in una fase in cui soffre sia sul fronte diffusionale che della raccolta. In questo senso, noi plaudiamo all’approvazione della normativa europea sulla difesa del copyright, che giudico una conquista di civiltà, e personalmente sono invece d’accordo con la specifica proposta dello stesso Crimi di una “Netflix dell’editoria”, cioè una piattaforma tecnologica che, ad esempio, permetta al costo di un abbonamento, la lettura di tutti i giornali. Anzi, io la proporrei anche per i broadcaster italiani, un portale nazionale dei contenuti video che si possa contrapporre alle piattaforme globali. E naturalmente siamo a favore della tax credit per la stampa e della web tax, che permetterebbe di riversare risorse a favore dell’editoria».

Il forecast

Il Presidente di UPA sarà quindi contento della “quasi” tenuta dei quotidiani nel mese di luglio, con “solo” il -0,5% rispetto allo stesso periodo del 2017, così come evidenziato da Nielsen due giorni fa. «Piccoli segnali confortanti per una più consistente ripresa del mezzo – conclude -. Proprio a fronte di quello che è appena emerso come il quadro degli investimenti nei primi 7 mesi, che ha visto una tenuta della tv e la confermata crescita di digitale e radio, ne approfitto per confermare ancora la nostra stima di una chiusura d’anno al +1,5%. Il trend fino appunto a luglio ha beneficiato infatti dell’effetto-Mondiali e, ora, anche per ragioni legate a certi pericoli legati alla manovra finanziaria, ci aspettiamo un piccolo ridimensionamento che, però, non inciderà ulteriormente sul nostro forecast».